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Omelia XXIV DOM.T.O. A del 17 Settembre 2017

17 Settembre 2017- XXIV DOM. T.O. A - Sir 27¸30-28¸7; Mt 18¸21-35 Non è facile trovare nell´a.t. testi che inducano a perdonare senza riserve e senza limiti. Anche nella descrizione dell´agire di Dio¸ nell´a.t.¸ sono prevalenti le minacce di castigo. L´a.t. è consapevole che non c´è possibilità per l´uomo di riparare il male che ha fatto¸ come non c´era possibilità per il primo personaggio della parabola di restituire quell´immensa somma di denaro di dieci talenti. Le parabole della seconda parte del vangelo non sono simili alle parabole precedenti¸ non sono neanche delle parabole¸ sono dei lunghi racconti¸ più aneddoti di vita vissuta¸ che mettono in scena un personaggio¸ esagerandone le caratteristiche¸ e dove tutto è esagerato¸ rasentando la caricatura. Marco non ne ha neanche una di queste parabole¸ e alcuni studiosi si domandano se risalgono veramente a Gesù¸ nella forma in cui sono scritte nei vangeli. A pensarci bene la parabola non dice niente di nuovo¸ non c´era bisogno di Gesù per inventare questo. Che una persona che ha ricevuto un favore¸ debba cercare di essere altrettanto gentile e paziente è ovvio. Purtroppo succede nella vita che una persona si dimentica di essere stata bisognosa e di aver ricevuto aiuto¸ al punto che si rifiuta di aiutare un altro che ha un bisogno inferiore. Succede anche a noi. Il fatto strano è che questa parabola non suggerisce un vero rimedio¸ se non il castigo. C´è una piccola incoerenza in questo testo. Pietro deve perdonare senza limiti; la parabola però racconta che Dio si è rifiutato di perdonare una seconda volta l´indegno truffatore che pretendeva la restituzione del prestito fatto. Allora gli uomini sono obbligati a perdonare sempre¸ e Dio no? E´ questo che il testo vuol dire? Probabilmente no¸ ma è chiaro che la parabola non è del tutto ben costruita. Fa riflettere sull´incoerenza della quale tutti siamo vittime¸ e ci raccomanda di tenerne conto. In fondo è un commento alla classica sigla: amare il prossimo come se stesso. La domanda però rimane¸ e riguarda anche il tema di domenica scorsa: l´agire di Dio è simile all´agire del re di cui si parla in questa parabola? Cioè Dio perdona senza limiti¸ ma una volta sola? Tema interessante¸ perché in almeno altri due punti del n.t.¸ lettera agli ebrei e prima lettera di Giovanni¸ si insinua questo pensiero: chi è diventato cristiano e ha ricevuto gratuitamente il perdono di tutte le sue colpe¸ se alla fine tradisce la sua appartenenza alla chiesa¸ non avrà una seconda possibilità di salvezza; oppure ci sarà una seconda possibilità di salvezza¸ ma non una terza. Mentre il 70 volte 7 di Pietro dà l´impressione che noi dobbiamo sempre perdonare. Dobbiamo sempre perdonare perché noi non siamo i detentori della giustizia in senso assoluto. Possiamo perdonare perché in fondo siamo sempre anche noi peccatori. Il racconto forse vuol dire che non possiamo spostare su Dio per intero quello che è richiesto a noi¸ che siamo povere persone¸ deboli¸ imperfette. Noi abbiamo sempre bisogno di perdonare e di essere perdonati¸ perché in quello che facciamo non si manifesta mai la profondità totale di quello che vogliamo essere nella vita. Le nostre colpe sono spesso in gran parte scusabili¸ abbiamo sempre delle attenuanti¸ e dobbiamo riconoscere negli altri le attenuanti. Nel rapporto con Dio bisogna invece ricordarsi che quello che riguarda la relazione nostra con lui è qualcosa di cosí importante¸ di cosí definitivo¸ che al massimo si può pensare di ricevere una seconda tavola di salvezza¸ ma non una terza. Vero però che la maggioranza degli altri testi e la maggioranza della tradizione teologica cristiana ritiene che anche Dio¸ come Pietro¸ perdona sempre. La posizione di papa Francesco è quest´ultima. Non c´è limite al perdono di Dio¸ come non ci deve essere limite al perdono umano. Molte persone si chiedono cosa vanno a confessarsi a fare¸ che poi le piccole cose che commettono le ripetono sempre¸ fanno sempre propositi e poi non li mantengono. A parte forse che l´errore lí sta nel fare propositi che non sono da fare. E´ una persona debole che non sa tenere a bada i suoi difetti che fanno parte del suo temperamento e della sua natura. E´ naturale che questa persona continuerà a ripetere. Qualcuno¸ più con l´aiuto dello psicologo che del confessore¸ riesce a cambiare il suo temperamento¸ ma la maggioranza delle persone rimane per tutta la vita quella che è¸ con i suoi difetti. La maggioranza delle persone continua per tutta la vita a rammaricarsi del male che fa¸ senza riuscire a venirne fuori. Ecco perché il sacramento della confessione veniva raccomandato come un sacramento che si deve ricevere continuamente¸ spesso. Ci possono essere discussioni a questo proposito. La tradizione della chiesa quindi è in parte differente dalla severità attribuita a Dio che pare emergere da questo racconto. Secondo me il settanta volte sette¸ cioè non c´è limite al perdono¸ è qualcosa che vale anche per Dio nei nostri confronti. Un´altra domenica vi avevo forse meravigliato dicendo che il dualismo inferno-paradiso¸ buono-cattivo¸ assolto-peccatore¸ è una meschineria che non attribuisce a Dio la possibilità di trovare delle vie intermedie¸ delle sfumature; è una debolezza stilistica del linguaggio biblico. Il purgatorio venne inventato per rispondere a quel dualismo di valutazione che la carità cristiana¸ e l´immagine di Dio come colui che ci conosce¸ perché ci ha creato e ci ama¸ esige che non ci sia. Ecco perché la perentorietà di questo testo non deve più riguardare l´agire di Dio nei nostri confronti.