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Omelia II PASQUA A del 27 Aprile 2014

27 Aprile 2014 – II PASQUA A – At 2¸42-47; 1Pt 1¸3-9; Gv 20¸19-31 La chiesa¸ la persona¸ il Cristo è l´ideale struttura delle tre letture nel tempo pasquale. La prima lettura parla della comunità e ha un´impostazione diversa da quello che troveremo nel Vangelo. Loro continuavano a frequentare il Tempio¸ ed erano quindi allo stesso tempo fedeli alla tradizionale liturgia ebraica¸ e in più credevano anche in Gesù. Il vangelo di Giovanni dà tutta un´altra impressione. Secondo Giovanni tutto quello che l´ebraismo conteneva è stato superato nella persona di Gesù in maniera tale da diventare inutile. Gesù è il nuovo tempio; in lui c´è tutto quello che gli ebrei andavano a cercare nelle singole celebrazioni. La modalità con cui si incontra Dio è il rapporto personale con Dio¸ non azioni celebrative rituali. Perché Luca è cosí diverso da Giovanni? Perché Luca negli Atti vuole ricordare che all´inizio fu come dice lui¸ mentre il vangelo di Giovanni che è stato scritto molti anni dopo tiene conto della situazione che si è creata negli anni 80-90. Nei primi giorni i cristiani frequentavano il Tempio perché pensavano che tutti avrebbero inserito Gesù all´interno della loro memoria ebraica¸ Gesù sarebbe diventato il centro della vita¸ gli ebrei in grande maggioranza avrebbero accettato Gesù come messia e salvatore. Solo quando hanno continuato a incontrare ostilità da parte delle autorità ebraiche si sono rivolti ai pagani¸ ed è cambiato tutto. Dal capitolo 13-14 degli Atti si parla solo di Paolo e il centro si sposta da Gerusalemme a Roma. Il Tempio verrà distrutto e i cristiani non hanno perso nulla¸ perché in Cristo hanno trovato tutto¸ si è passati da una struttura a una persona. Ecco perché i cristiani intendono sempre che il centro della fede non è la struttura istituzionale¸ non è neanche la cerimonia che stiamo qui predicando¸ anche questa è finalizzata al personale¸ individuale incontro con Gesù Cristo. Il vangelo ci dice anche che il Cristo con cui ci si rapporta è più il Cristo terreno che non il Cristo risuscitato¸ del quale non abbiamo una visione diretta. Quello che il cristiano cerca di vedere non è tanto la invisibile gloria del risorto¸ ma la memoria della sua vita terrena. Ha ragione Tommaso quando dice: se io vedo che è quello di prima¸ se ci sono ancora le piaghe e la ferita¸ credo; perché non vuole che la figura di Gesù svanisca in una specie di eroe risuscitato di cui si dimenticano le prove e le sofferenze che ha vissuto¸ e di cui soprattutto si dimentica l´umanità. Per questo Tommaso¸ quando vede che ci sono ancora i segni della crocifissione¸ non ha più bisogno di toccare niente¸ e pronuncia la professione di fede più elevata di tutto il Nuovo Testamento: mio Signore e mio Dio. E´ il primo e l´unico che adopera il termine Dio¸ senza specificazioni¸ per chiamare Gesù. Ha riconosciuto in Cristo colui che era stato uomo insieme con noi¸ che era passato facendo del bene¸ in un mondo in cui alla fine ha prevalso il male¸ e ha sperimentato cosa significa l´incontro con il male. Tommaso è colui il quale vede in Cristo il sostegno e fondamento della vita futura sua e di tutti¸ perché ricorda il coraggio¸ la fede¸ la serenità con cui Gesù ha affrontato le fatiche della vita. Anche Pietro¸ nella seconda lettura¸ sostiene questa visione delle cose. Il Cristo che è al di là della sofferenza¸ della fatica¸ il Cristo della fede¸ della speranza¸ del possesso tranquillo dei risultati¸ questo Cristo non è visibile¸ non è incontrabile; si manifesterà; ma adesso il Cristo che sta di fronte a noi è il Cristo che Tommaso voleva vedere. Tommaso non si fidava di uno che aveva attraversato le prove della vita per poi dimenticarle¸ per poi salire altrove¸ presso Dio¸ dove non c´è più nulla di quello che c´è quaggiù. Lui voleva ancora incontrare un Cristo che potesse capire i dubbi¸ le fatiche¸ le prove della vita di quaggiù¸ e per questo voleva vedere i segni delle piaghe. Anche per noi essere cristiani significa non sognare l´aldilภma riflettere su quello che Cristo farebbe al nostro posto se fosse in questa vita; è questo il Cristo visibile nel quale noi¸ in questa vita¸ incontriamo Dio. C´è la speranza nell´aldilภma è talmente oscura¸ talmente inimmaginabile¸ talmente ignota che la si può tenere come sostegno di riserva¸ ma quello che si deve pensare è l´esempio¸ il modello¸ la forza¸ il coraggio che Gesù ci dà nella vita. E´ per questo che noi lo mangiamo come pane¸ e lo beviamo come vino; si è reso presente nell´eucarestia come cibo e bevanda perché vuole essere colui che ci trasmette ogni giorno il modello del suo vivere su questa terra; è il presente quello che deve interessarci¸ la fatica del presente. Per questo Pietro dice: fortunati voi che non l´avete visto¸ e credete senza averlo visto glorioso; vi racconteremo noi come è stato quando era quaggiù¸ quando anche lui aveva di fronte a sé la prospettiva della morte. Noi¸ come dice un filosofo moderno¸ siamo esseri per la morte¸ buttati nel mondo¸ con la consapevolezza¸ che nessuno ha come noi¸ che siamo esseri per la morte. Ma che devono capire di sfruttare al meglio e al massimo¸ sempre¸ le gioie della vita. Questo coraggio di affrontare quel momento è il dono che Cristo ci fa; guai se lo vedessimo risorto¸ finiremmo per essere abbagliati da qualcosa che non ci riguarda¸ finiremmo per dimenticare il nostro dovere nel presente. Nel testo del Vangelo¸ e di tutti i Vangeli¸ Gesù risorto non dice mai che come è risorto lui risorgeremo anche noi; questa parola non viene mai messa in bocca a Gesù. Prima di morire l´ha detta a Maria e a Marta¸ ma dopo la risurrezione non ne ha più parlato. Ha parlato invece di altre cose: il perdono dei peccati¸ la missione a cui bisogna andare per predicare. Il fatto che lui stesso non parli di risurrezione¸ conferma che celebrare la Pasqua significa ricordare colui il quale ha scavalcato la morte¸ perché ha saputo vivere con serietภcon coraggio¸ con fede la vita presente. Potrà manifestarsi ancora¸ senza più morte¸ perché ha accettato la fatica di questa vita. L´ordine che dà ai discepoli potrebbe voler dire non tanto la consegna agli apostoli di un diritto a giudicare¸ a chi li rimetterete-a chi non li rimetterete; forse non parlava di un tribunale¸ ma di un altro tipo di obbligo: ricevete lo Spirito Santo¸ cercate di combattere il peccato¸ cercate di distruggere il peccato¸ eliminare il peccato¸ mandar via il peccato¸ allontanare il peccato¸ perché se non lo fate voi il peccato rimane. Non è un giudizio¸ non è una potestà di giudizio¸ quello che viene affidato alla chiesa¸ ma una energia e una forza di rinnovamento perché il peccato scompaia¸ attraverso la predicazione¸ l´educazione¸ la propaganda per il bene¸ l´esempio. Questo è quello che Gesù comanda ai discepoli. Non: confessate e decidete a chi dare l´assoluzione. Se anche c´è questo significato giudiziale¸ il testo ne contiene anche un altro più importante: io vi do lo Spirito Santo perché siate operatori di giustizia¸ perché vi sacrifichiate per far trionfare il bene invece del male¸ perché la cattiveria consapevole (questo è il peccato) cessi di esistere. Non cessa di esistere assolvendo o non assolvendo¸ cessa di esistere educando¸ dando esempio. E´ questo che secondo me Gesù risorto ha detto ai discepoli: prendete di mira la malvagitภe cacciatela via¸ perché se non lo fate voi rimane lí.