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Omelia TUTTI I SANTI del 1 Novembre 2011

TRASCRIZIONE NON INTEGRALE Nella parte del vangelo di domenica scorsa che non abbiamo letto Gesù se la prendeva con scribi e farisei chiamandoli ipocriti¸ nonostante fossero gli osservanti di tutte le norme della legge. Buona parte dell´ antico testamento fa capire che per ottenere la santitภossia la somiglianza con Dio¸ il giusto rapporto con Dio¸ che è poi anche la giusta realizzazione di quello che l´uomo è chiamato ad essere¸ bisogna osservare tutte le norme della legge. Si dà un rilievo particolare ai dieci comandamenti¸ che sono normative molto generali¸ ma subito dopo c´è un codice¸ il codice dell´alleanza¸ e poi c´è tutto il libro del Levitico che è pieno di una quantità di norme e codici molto minuziosi. Al tempo di Gesù si potevano contare 630 norme che dovevano essere accuratamente osservate. La domanda di domenica scorsa¸ che Gesù suggeriva¸ era: essere santi significa avere un codice con 630 norme o più e osservarle con scrupolo? Ci pareva di capire che Gesù rispondeva di no; anzi sembrava che lui ritenesse che c´è un pericolo in questa elencazione delle cose da fare per essere graditi a Dio¸ il pericolo della esecuzione materiale¸ esteriore¸ senza nessuna partecipazione della coscienza. Gesù usava una parola interessante¸ che storicamente risale probabilmente a lui¸ per definire questa attitudine¸ ed è la parola ipocriti. Pare che questa parola¸ che in greco si dava agli attori sulla scena¸ andava bene per dire: voi sembrate¸ ma non siete; fate le operazioni prescritte¸ ma Dio che vede il cuore potrebbe accorgersi che voi fate tutto esteriormente ma di dentro non ve ne importa niente. La legge non produce santità. Nessuna legge. La legge non è capace di interferire con le scelte della coscienza¸ ci vuole qualcosa d´altro. Nei testi letti oggi ci sono due parole chiave¸ la parola servo e la parola figlio. L´apocalisse parla di coloro che ricevono il segno per essere salvati perché hanno -servito- Dio. La lettera di Giovanni supera il termine servo e introduce il termine figlio. La parola servo direi che è sottintesa¸ ma molto sottintesa anche nelle beatitudini ; -di essi è il regno dei cieli- è la clausola della prima e dell´ultima. Che cosa vorrà dire che i poveri di spirito¸ i miti¸ i perseguitati¸ quelli che hanno fame della giustizia¸ possiedono il regno di Dio? L´impressione è che saranno fedeli servitori di Dio e compiranno la sua volontà; vale il vecchio slogan che servire Deo regnare est. Il povero che accetta la sua situazione¸ colui che è nel pianto¸ colui che si sforza di purificare se stesso è una persona che serve Dio. Il vecchio catechismo di Pio X¸ giustamente vituperato¸ diceva però che il fine dell´uomo è amare e -servire- Dio. E metteva insieme i due verbi. Il servire evoca l´immagine del servitore fedele¸ l´amare sottolinea la generosità gratuita del figlio che per amore del Padre va anche oltre quello che dice la legge. La santità nasce da questo¸ è la profonda convinzione della coscienza messa in pratica; non in rispetto esteriore¸ formale della lista dei precetti. Diventare santi vuol dire convincersi del primato di Dio¸ del regnare di Dio. I poveri¸ i miti¸ i misericordiosi che si affaticano e soffrono nella vita per la condizione in cui si trovano possiedono il regno di Dio perché accettano questa condizione come un servizio reso al piano di salvezza che Dio sta mettendo in opera. Questo modo di vedere le cose¸ l´uomo è re quando si sottomette al dovere morale¸ è un concetto caratteristico dello stoicismo antico. Il sapiente è re¸ il sapiente non è soggetto a nessuno perché compie il bene e tutti i sacrifici che esso comporta per fedeltà al dettame della sua coscienza¸ e in esso trova la beatitudine e la felicitภperché ubbidisce a se stesso¸ è coerente con le convinzioni profonde del suo spirito. Assomigliano molto le parole di Gesù alla concezione dello stoicismo antico¸ infatti anche san Paolo prende continuamente dalla conoscenza popolare della spiritualità dello stoicismo molti dei suoi insegnamenti morali. Ho l´impressione che al giorno d´oggi continui questa coincidenza tra una visione laica delle cose¸ come era quella dello stoico dell´età antica¸ e molte affermazioni del nuovo testamento¸ solo che oggi parleremmo di valori¸ di convinzioni alle quali uno dedica tutta la sua vita¸ del primato del senso interiore della verità e della giustizia. La parola più usata è valore¸ l´interiore ricerca della suprema bontà e giustizia¸ di ciò che veramente soddisfa la coscienza che uno ha di se stesso. Servire Dio equivale al laico servire i valori. Ed è questa la santità. Ecco perché ci sono molte persone che meriterebbero il titolo di santo anche se non partecipano a nessuna comunità religiosa; sono coloro che¸ forse in maniera Kantiana¸ cercano di sottomettere se stessi al primato del bene¸ della giustizia¸ della veritภdella imparzialitภdell´uguaglianza¸ della solidarietà. Questo è il vero beato¸ il vero re. E tutto questo va al di là dell´elenco delle norme. La persona che si pone in questa situazione osserva anche tutti i regolamenti¸ però non è per il fatto che c´è l´obbligo che lui fa quel che sta facendo¸ ma la ragione profonda è la sua convinzione interiore del valore. Essere santi significa essere in contatto diretto con quello che si ritiene l´assoluto principio da cui deriva ogni norma di vita. Il laico si limita a dire assoluto principio¸ il credente lo chiama Dio. C´è quindi una coincidenza tra il concetto evangelico di santitภservizio di Dio¸ e un concetto laico di servizio della giustizia¸ della verità. Questa festa di tutti i santi è anche la festa di quelli che si chiamano gli uomini di buona volontà. C´è una piccola cosa da aggiungere: il nuovo testamento¸ specialmente il vangelo¸ sembra che dia maggiore importanza¸ in questa presentazione della fedeltà ai valori¸ alla sofferenza¸ all´umiltภalla pazienza¸ alla resistenza nel soffrire; come fanno le beatitudini; e qualche commentatore ha osservato che il cristianesimo sembra essere la religione dei sottomessi¸ dei sacrificati¸ di coloro che devono portare la croce¸ e lo è; ed è questa la cosa che più impressiona e direi più conforta nella visione cristiana delle cose. La liturgia ci ha fatto leggere l´altra frase di Matteo: venite a me voi tutti che siete stanchi e oppressi¸ e io vi darò ristoro. Ma nel nuovo testamento è valorizzata anche un´altra dimensione della santitภforse un po´ più ambigua della precedente¸ cioè la santità del rischio¸ la santità di perseguire il valore cercando di scoprire nuove possibilità di benessere per la vita umana¸ la dedizione alla ricerca¸ alla scoperta di possibilità di migliorare la vita di tutti¸ del ricercatore¸ dell´imprenditore. La grande parabola di Gesù che valorizza questa forma di santità è la famosa parabola dei talenti che si deve far fruttare. Non si vorrebbe cioè che l´attenzione che molti testi evangelici danno agli umili¸ ai miti¸ ai misericordiosi¸ ai pacificatori¸ agli oppressi¸ agli stanchi dia l´impressione che il cristianesimo presenta la santità delle persone inerti¸ deboli¸ pazienti¸ sofferenti. Certamente questo¸ perché queste hanno bisogno di conforto e stima¸ ma non dimentica la santità di colui il quale si sforza con il lavoro¸ la ricerca¸ la fatica¸ per migliorare; è la parabola dei talenti. Siccome capita il 13 novembre e non la leggeremo perché è sant´Omobono¸ ve l´ho ricordata perché mettiamo insieme questi due poli della santità: tolleranza¸ pazienza¸ sopportazione¸ attivitภesercizio¸ coraggio di rischiare di provare¸ di tentare¸ di mettere perfino in pericolo¸ non dico la propria vita¸ ma la propria salute¸ per ottenere risultati di successo. Anche questa è una forma¸ meno lodata¸ ma altrettanto reale di santificazione.