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Omelia XXVII DOM. T.O. A del 2 Ottobre 2011

TRASCRIZIONE NON INTEGRALE. La prima lettura è più bella del vangelo; potrebbe essere l´ultimo poemetto che l´Isaia storico¸ quello dell´ottavo secolo¸ ha scritto¸ quasi come bilancio e amaro testamento della sua vita e della sua predicazione. Non dice all´inizio che colui che parla è Dio¸ ma lo si capisce dal seguito¸ dove dice- alle nubi comanderò di non inviare la pioggia-¸ e questa è una cosa che può fare soltanto Dio. Il profeta attribuisce a Dio un modo di pensare fortemente antropomorfico¸ però geniale; presenta un Dio disilluso¸ amareggiato¸ ferito dal comportamento della sua vigna che è il popolo di israele. Si domanda e domanda al mondo intero: cosa devo fare alla mia vigna¸ che io non abbia fatto? Quindi è un Dio il quale si interroga se ha fatto quello che doveva fare. E´ interessante questa descrizione di Dio¸ al quale non si addice il tradizionale aggettivo onnipotente¸ e neanche gli si addice quella visione di impassibilitภimmutabilitภeternità beata che è diventata caratteristica del pensiero cristiano di Dio in epoca soprattutto medioevale. L´ antico testamento non conosce ancora questa idea della immobilità e dell´assoluta beatitudine perché Dio è il tutto e non ha bisogno di niente. Il Dio della bibbia a differenza degli dei greci è unico¸ però ha gli stessi sentimenti¸ gli stessi problemi di coscienza che la mitologia greca attribuisce alla moltitudine delle sue divinitภe si è mantenuta questa umanizzazione di Dio¸ concentrata sull´unica figura di Jahvè¸ inserendo in lui i sentimenti più profondi e più seri¸ quelli che noi proviamo nei momenti di profondo impegno della nostra vita. Presenta Dio che fa un bilancio di quello che ha fatto¸ quasi dovesse autogiudicarsi e fare una specie di verifica di sé¸ e si domanda: cos´altro dovevo fare¸ perché non c´è stato il successo? L´intelligenza del profeta consiste anche nel non dare subito la risposta facile che noi abbiamo: perché deve rispettare la libertà dell´uomo; non conosce neanche la parola libertà il profeta Isaia¸ questa astratta spiegazione gli manca; lascia l´interrogativo aperto. Dio domanda agli abitanti di Gerusalemme: ditemi voi¸ dovevo fare qualcos´altro? E li mette a tacere¸ perché ha fatto tutto quello che nella loro modesta speranza si aspettavano che Dio facesse; non si aspettano il prodigio¸ il miracolo¸ la straordinaria meraviglia; sono uomini umili quelli che sono sottintesi in questo testo¸ gli basta avere delle buone vigne¸ poi lavorano loro; non chiedono a Dio di gestire l´universo con la bacchetta magica¸ come qualche volta anche noi moderni pretenderemmo che Dio facesse. Questo Dio prodigioso è una nostra idea¸ non è quella di Isaia. E´ interessante che la bibbia ci dica: modera le tue fantasie quando parli di Dio¸ non proiettare su Dio tutti i tuoi inconsci desideri¸ non creare un superuomo che chiami Dio; crealo piuttosto a immagine tua: Dio ha le stesse tue incertezze¸ soffre più di te¸ perché ha tutto il mondo sotto la sua responsabilitภe ti domanda dove ha sbagliato. E´ chiaro che gli risponderai che non ha sbagliato¸ ma voglio dire che questa strana immagine di Dio noi l´abbiamo un po´ dimenticata nella nostra assolutizzazione della potenza; dopo di che il Dio onnipotente¸ che è onnipotente ma non fa nulla¸ l´abbiamo scartato dicendo: meglio dire che non c´è. Il Dio della bibbia è a un livello più basso¸ almeno in questo testo¸ è più vicino a noi. E´ curioso che un altro profeta¸ contemporaneo di Isaia¸ Michea ha qualcosa di simile: popolo mio che male ti ho fatto¸ in che cosa ti ho contristato? Quegli improperi che il venerdí santo si mettono in bocca a Gesù crocifisso¸ che chiede ai suoi crocifissori- cosa vi ho fatto di male?- vengono da Michea. E´ curioso che questo modo di trattare Dio¸ come il più buono e il più intelligente tra noi¸ sia presente¸ con un modo di scrivere più maturo¸ nella lettera di san Paolo ai filippesi: non angustiatevi¸ ma in ogni circostanza fate presente a Dio le vostre richieste. Questa tenuità dell´espressione fate presente a Dio¸ perché tra voi e Dio c´è una comunanza di sentimenti. Per questo ho riletto come orazione quella di domenica scorsa: avere in noi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù¸ perché mi sembrava che concordasse con l´immagine divina che traspare dalla prima lettura¸ dal salmo e dalla lettera ai Filippesi: è in teoria l´onnipotente assoluto¸ ma ha nel suo essere una componente che è fatta di interrogativi¸ autocritica¸ ansia per il giudizio. Cioè assomiglia alle mie incertezze umane. Teologicamente questo si può considerare infantile¸ primitivo¸ mitologico¸ però nella bibbia c´è¸ e rimane anche nel nuovo testamento. Anche Gesù segue questa procedura; nella narrazione di Matteo con maggior freddezza e severità; è più secco il vangelo¸ non c´è quella mutua confidenza che c´era in Isaia e in Michea; basta pensare a Michea: voglio cantare per il mio diletto il mio cantico d´amore per la sua vigna. Il testo del vangelo è¸ direi¸ di tipo sindacal-giuridico: vado a ritirare la parte che mi spetta¸ mi hanno ammazzato i servi¸ quando vedono arrivare il figlio pensano che il padrone sia morto e dicono: questo è l´erede¸ ammazziamolo. E´ tragico il vangelo¸ è nella linea del severo giudizio¸ è nella linea del dominatore offeso che minaccia la catastrofe: li farà morire miseramente. E´ paradossale che sia più severo il nuovo che l´ antico testamento. E´ vero che poi Gesù parla in metafora della pietra scartata che diviene poi testata d´angolo: il figlio che volevate uccidere diventa qualcosa di più valido di tutto. La domanda è: voi Dio come ve lo immaginate? Secondo voi come è giusto immaginarlo? Quando troviamo nella bibbia queste strane descrizioni di Dio che ci affascinano non dobbiamo forse fare il sacrificio di lasciar perdere la razionalità ferrea del sillogismo¸ per cercare di aderire a questa immagine¸ più fantasiosa¸ più umana¸ e domandarci: ma non sarà veramente cosí Dio? La superiorità della bibbia non sta nella correttezza logica del discorso o nel rispetto delle regole della metafisica; la grandezza della bibbia sta nell´interpretare attraverso metafore e immagini la profondità del mistero¸ il mistero di Dio presentato come un Dio che si interroga¸ si pente¸ chiede di essere giudicato. Non è forse un Dio più vicino alla nostra sensibilità di oggi? Cerchiamo di non perdere la stima di Dio a causa di concetti estremi¸ e magari sbagliati¸ che non ci vengono dal suo libro¸ ma ci vengono dalla presunta sapienza dei filosofi e dei teologi.