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Omelia XXIX DOM. T.O. C del 17 Ottobre 2010

La prima lettura la possiamo lasciar perdere perché se la preghiera è una questione di ginnastica¸ allora¸ appunto¸ lasciam perdere. Invece ci sarebbe la possibilità di fare due prediche¸ entrambe utili¸ sia a partire dalla seconda lettura sia a partire dal vangelo perché la seconda lettura contiene l’unico brano della Sacra Scrittura nel quale si usa l’aggettivo ispirato – ispirata per parlare della Sacra Scrittura e siccome il concetto di ispirazione della Bibbia non penso che vi sia noto in tutte le sue sfumature¸ sarebbe interessante parlare di questo¸ anche perché è uno dei pochissimi passi della Bibbia nei quali la Bibbia parla di sé stessa e cerca di auto presentarsi. L’altra predica¸ invece¸ andrebbe fatta a partire dal vangelo e scelgo questa. Vorrà dire che della Sacra Scrittura cercherò di parlare in altra occasione o in altra sede. Questa è la seconda volta che Luca ci presenta una parabola nella quale vuol dire che per ottenere qualcosa da Dio bisogna pregare a lungo¸ bisogna insistere¸ bisogna essere importuni¸ rompere le scatole si direbbe volgarmente. Vi ricordate l’altra¸ quella dell’amico che va a svegliare un suo amico di notte perché è arrivato un altro amico e deve dargli da mangiare¸ allora insiste¸ “Se anche non glieli vorrà per bontภfinirà per darglieli per la sua insistenza”. E’ un po’ irriverente presentare Dio come uno pigro¸ sordo che starebbe comodo per suo conto e che alla fine si decide perché “Bisogna accontentarlo questo fastidioso!”. E’ un immagine di Dio¸ direi¸ da versetti satanici più che da Sacra Scrittura ispirata da Dio stesso. Nella parabola di oggi la questione si aggrava perché addirittura si tratta di un giudice menefreghista¸ questa è la parola giusta più che disonesto¸ il quale è stufo di questa vedova che viene a chiedere giustizia. Ad un certo punto¸ per liberarsene¸ finisce per accontentarla. Voi capite che¸ lo so che le parabole non bisogna allegorizzarle e non bisogna dire che i loro protagonisti sono un’immagine di Dio¸ però alla fine il bravo ascoltatore ingenuo dice: “Ma Luca ha paragonato il mio rapporto con Dio con quello di un amico dal quale posso ottenere qualcosa se insisto fino al punto di farlo scoppiare. Adesso mi dice che se voglio ottenere qualcosa da Dio devo¸ anche qui¸ essere petulante perché in fondo mi fa capire che a Dio non importa niente di me”. E la cosa¸ capite¸ io l’ho volgarizzata forse un po’ troppo¸ ma lascia perplesso il lettore del vangelo il quale dice: “Che maniera è questa di presentare Dio all’interno della Bibbia?”. Ecco perché forse sarebbe utile avere tempo anche per andare nella seconda lettura e cercare di capire cosa vuol dire ispirata. Sarà Dio che ispira di trattarlo in questa maniera? Come mai nella Bibbia ispirata ci sono accostamenti tra Dio ed una figura umana che in qualche modo dovrebbe alludere a lui che è una figura sgradevole? E’ una situazione sgradevole¸ come mai? Il problema non è facile¸ io tento una soluzione che non ho inventato io ma l’ho rielaborata¸ una soluzione che è dotta e che forse non vi soddisfa ma che forse è quella che vuole farci capire come stanno le cose. Come metodo per capire un brano di vangelo bisognerebbe non leggerlo soltanto qui ma andare a vedere nel libro dove si trova¸ perché¸ come insegnano tutti¸ il contesto aiuta ad interpretare il brano che va letto all’interno del contesto cioè dell’insieme nel quale è inserito. Questa parabola conclude il discorso di Luca sulla fine del mondo il quale comprende anche¸ al suo interno¸ l’annuncio della prossima e fine e distruzione di Gerusalemme. Mentre gli altri evangelisti questo discorso lo mettono come ultimo discorso di Gesù¸ Luca lo mette al capitolo 18 cioè nella seconda parte del vangelo ma in mezzo ad altri avvenimenti¸ non lo confina alla fine. Quindi lui ha lungamente parlato della venuta del Figlio dell’Uomo che sarà preceduta dalla distruzione di Gerusalemme con tutte le minacce che contiene questo discorso. Alla fine conclude con questa parabola. Voi vi ricordate che alcune domeniche fa avevamo trovato qualcosa di simile alla situazione che è creata qui nel vangelo nel famoso testo di Abacuc “Fino a quando¸ Signore¸ non ci ascolterai¸ quando ti deciderai a salvarci dai nostri oppressori?”. La risposta vi ricordate che era: “Quando voglio io¸ a suo tempo. Il giusto vivrà se ha fede”¸ e dicevamo¸ qui fede significa soprattutto speranza¸ pazienza di attendere. E’ interessante il fatto che a Qumran è stato scoperto un commento al Libro di Abacuc. Per molti di voi¸ probabilmente¸ il nome di Abacuc era la prima volta che lo sentivano ed immagino che la metà di voi non abbia mai letto il librettino di Abacuc che è nella Bibbia¸ ma a Qumran si trovò un commento di Abacuc il quale è commentato in maniera molto curiosa¸ abbastanza unica nell’A.T.¸ cioè vengono scritte alcune parole di Abacuc e poi si dice: “Cioè…” e si allude alla situazione del momento cioè Abacuc viene proprio attualizzato¸ Abacuc parlava della Siria¸ quindi seicento anni prima¸ i qumranici lo applicano alla loro situazione. Anche la frase tipica¸ poi citata da san Paolo “Il giusto vivrà grazie alla sua fede” è commentata in questo testo. Altra piccola notizia erudita¸ poi arrivo al punto¸ molti studiosi¸ analizzando il testo di Luca¸ soprattutto il Libro degli Atti ma anche il vangelo¸ hanno l’impressione da certe frasi greche che lui aveva adoperato¸ che abbia conosciuto¸ letto la storia di Flavio Giuseppe che racconta in una maniera a dir poco raccapricciante quello che avvenne nella guerra giudaica e che preparò la distruzione di Gerusalemme. Allora la mia chiave di interpretazione di questo testo è: Luca dice questa parabola perché quando scrive il suo vangelo Gerusalemme è già caduta¸ è stata una tragedia con massacri incredibili. Prima che arrivassero i romani gli ebrei si sono massacrati tra di loro perché quelli che volevano la rivolta mettevano a morte i moderati che invece cercavano la pace e l’accordo e c’è una cosa che era stata dimenticata¸ devo dirlo¸ era stata in gran parte dimenticata dagli ebrei di allora: non pregavano ma combattevano¸ avevano smesso di pregare. Il tempio era diventato il luogo dove si trovavano quelli che resistevano contro i romani¸ era diventato il luogo dove si raccoglievano le munizioni¸ anche perché era l’unica fortezza all’interno della città con le mura alte. Lí si tramava¸ lí si facevano i piani della rivolta e la preghiera era scomparsa. Allora¸ ecco il senso dell’ultima frase: “Quando il Figlio dell’Uomo verrภtroverà ancora la fede sulla terra?”. Come se Luca dicesse: “Per caritภnoi cristiani cerchiamo di non imitare i nostri fratelli maggiori in questo! Si sono autodistrutti perché non hanno avuto pazienza¸ hanno voluto fare da soli¸ liberarsi da soli¸ combattere”. Perché? “Perché Dio non ci ascolta¸ l’abbiamo pregato a lungo¸ non ci ascolta più”. Allora gli zeloti comprano la spada¸ i sicari comprano il pugnale corto per uccidere alle spalle il soldato romano¸ non fanno più il sacrificio¸ non pregano più per l’imperatore nel tempio perché è un delitto. Ed incomincia: “Faremo noi”. Il violento perisce per la sua iniziativa¸ il giusto vivrà per la fede. I qumranici non hanno partecipato a questo perché i qumranici¸ che sono gli esseni¸ i pii¸ devoti¸ buoni¸ quelli che gli altri consideravano i vigliacchi perché loro prendevano sul serio la frase di Abacuc “Il giusto vivrà per la fede”¸ “Vogliamo sopravvivere¸ vogliamo fare in modo che Dio ci aiuti. Noi non siamo capaci di fare come i romani¸ deve pensarci lui¸ ma quando lo farà? Quando noi saremo giusti”. E i qumranici¸ infatti¸ praticavano un’ascesi severa e cercavano¸ soprattutto¸ di praticare tra loro l’ospitalitภl’accoglienza¸ la carità. I cristiani assomigliano molto ai qumranici¸ forse molti di loro venivano da quell’ambiente. Quando incominciò la rivolta molti cristiani scapparono via¸ si rifugiarono in Transgiordania ed alla fine sopravvissero. Anche alcuni rabbini fecero cosí: si misero d’accordo con i romani e i romani concessero loro di vivere nella città di Amia¸ sulle rive del Mediterraneo e loro lí salvarono libri¸ tradizioni. Gli altri¸ i ribelli¸ i violenti¸ invece di pregare¸ vollero fare da sé. Secondo me è questa la lezione che lui vuole dare in questo testo. Capite che questa interpretazione allontana di molto la figura antipatica del giudice dall’immagine di Dio. E¸ direi¸ che allora diventa non già un testo un pochino irriverente¸ ma diventa un testo volutamente delicato¸ far capire senza offendere nessuno¸ parlando non di soldati¸ di uomini¸ ma di una povera vedova¸ la quale continua a confidare in Dio nonostante tutto. Non insegna¸ quindi¸ che per ottenere da Dio le cose bisogna importunarlo¸ insegna che bisogna avere il coraggio¸ quando ci si rende conto che una reazione umana sarebbe o perdente o sarebbe troppo pericolosa¸ o sarebbe soprattutto fonte di delitto¸ di morte di innocenti¸ la guerra. Allora non si deve resistere¸ non si fanno rivoluzioni a vuoto per il gusto di farle. E questo lo stiamo imparando adesso¸ molta parte del mondo non l’ha ancora imparato questo. Si aspetta¸ se non sei credente e vuoi parlare da ateo¸ dí semplicemente che si aspetta il momento favorevole. Quando si possono ottenere dei risultati senza spargimenti di sangue¸ massacri¸ lotte civili¸ odi altrimenti rinuncia¸ aspetta. Imparare ad attendere il tempo opportuno¸ la prudenza nell’agire¸ il principio di cautela. Se non sei sicuro che vada tutto liscio e non ci sono interferenze malvagie¸ non fare¸ aspetta. L’attesa è quella che ti rende¸ se non giusto¸ almeno¸ non violento¸ peccatore. Se sei un credente¸ prega e aspetta come ti ha insegnato Abacuc. Ecco¸ vedete¸ con un pochino di erudizione¸ si colloca il testo¸ è soltanto un’ipotesi la mia¸ per carità è una congettura¸ non si può dimostrare che è cosí¸ però io mi sono rappacificato con questo testo quando ho scoperto¸ leggiucchiando qua e là che era possibile fare questa correlazione. E’ un testo scritto dopo il 70¸ sarebbe come dire che è un testo scritto dopo Hiroshima¸ dove allora si fa una parabola per capire: credevamo che fosse l’unica soluzione¸ lo è anche stata perché Hiroshima è andata molto meglio di Gerusalemme¸ in un certo senso¸ perché una buona parte del mondo si è salvata¸ però ci si è resi conto “Speriamo di non doverlo più fare” e quando non si può più fare niente¸ cosa si fa se non si può fare niente di concreto? Il laico può dire: “Si aspetta o si lavora sotto terra”¸ il credente dice: “Si prega perché può anche darsi che ci sia davvero qualcuno che può gestire i tempi e presentarci le occasioni opportune per ottenere risultati senza troppo danno”.