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Omelia XVI DOM. T.O. C del 18 Luglio 2010

Prima lettura e vangelo vanno insieme perché parlano di due modi di accogliere Dio che viene a far visita in una casa¸ e non sono di difficile interpretazione né l’uno¸ né l’altro testo¸ ma siccome domenica scorsa ho incominciato a dare una spiegazione del testo della Lettera ai Colossesi¸ io proseguo riflettendo sulla seconda lettura cosí¸ se non altro¸ approfondiamo la conoscenza di un testo del N.T. che¸ immagino¸ non sia a tutti noto in ogni particolare. Il brano che si legge questa domenica suggerisce due o tre tematiche da trattare e incomincerei da quella che nel testo è in fondo¸ nella terza parte del testo. “Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo alle genti: Cristo in voi¸ speranza della gloria. E’ lui¸ infatti¸ che noi annunciamo ammonendo ogni uomo ed istruendo ciascuno con ogni sapienza per rendere ogni uomo perfetto in Cristo”. Il primo punto su cui potremmo riflettere è il significato di queste parole¸ o meglio¸ quello che sta dietro queste formulazioni dell’autore della Lettera. Lui vuole dire che è successa una grande apertura da parte di Dio: non si occupa più soltanto del popolo ebraico¸ quello che aveva scelto in Abramo¸ ma¸ grazie a Gesù Cristo¸ si occupa di ogni uomo superando quella ripartizione¸ quella suddivisione del mondo che era stata caratteristica dell’Antica alleanza. Tutto il mondo è di Dio¸ ma lui ha un popolo particolare. A questo popolo si rivela¸ agli altri¸ per il momento¸ no. Adesso questa differenza scompare e Paolo si sente soprattutto ministro di questa universalizzazione che ha cancellato le differenze per cui anche Cristo¸ e in Cristo Dio¸ viene annunciato senza più privilegi¸ differenze¸ distinzioni¸ a tutti gli uomini. E questo è il primo tema che emerge da questo testo. Ma la cosa più fine è il modo con cui Paolo cerca di riassumere con una brevissima frase la sostanza ed il contenuto di questa novità che Dio rivolge a tutti gli uomini: “Cristo in voi”. E’ un modo abbastanza sintetico e mi pare interessante. Voi sapete bene che nelle Lettere di Paolo la formula “in Cristo” è continuamente presente e gli studiosi dei testi paolini si sforzano di determinare che senso abbia questo modo sintetico di parlare. Qui la formula non è “voi in Cristo” ma “Cristo in voi” ed io vorrei porre la domanda: che cosa significa questo? Cosa intende dire Paolo con questo? Anche perché poi continua dicendo che “Noi annunciamo ammonendo ogni uomo¸ istruendo ciascuno con ogni sapienza per rendere ogni uomo perfetto in Cristo”. Cristo in voi¸ ogni uomo perfetto in Cristo. Essere cristiani vorrebbe dire diventare perfetti in Cristo. Che cosa comporta questo? Perché noi vorremmo essere cristiani¸ almeno penso¸ ma cosa vuol dire essere cristiani? Vuol dire credere teoricamente ad alcuni avvenimenti del passato che vedono come protagonista Gesù? Vuol dire credere a delle dottrine che si possono ricavare da questi avvenimenti¸ per cui credere che Dio esiste¸ che è uno in tre persone¸ cosa che non interessa a nessuno¸ che ha creato il mondo? Quando uno mette la firma sotto il Credo o sotto altre formule riassunti di dottrina è diventato cristiano? “No¸ forse ci vuole qualcosa di più” mi direte “Ci vuole l’osservanza di alcune regole morali di vita”¸ quindi¸ come gli ebrei hanno le loro regole¸ i laici hanno pure le loro regole morali di comportamento¸ anche noi abbiamo le nostre. Essere cristiani vorrebbe dire che¸ oltre alla moralità comune condivisa da tutti¸ abbiamo qualche regolina più specifica¸ che non è come quelle tradizionali degli ebrei di non mangiare la carne di maiale¸ di non mescolare il latte con la carne¸ anche se nella prima lettura abbiamo letto che è esattamente quello che ha fatto Abramo¸ perché ha fatto un vitello al latte – chiusa la parentesi. Solo per dire¸ con una puntina di malizia che ci sono molte incoerenze nelle tradizioni ebraiche¸ come ci sono nelle tradizioni cristiane. Essere cristiani significa aggiungere qualche maggiore rigore in alcuni settori: niente aborto¸ rispetto della vita fino all’ossessione? E’ questo? Paolo usa quest’altra formula: Cristo in voi¸ perfetti in Cristo. C’è qualcosa di diverso e qualcosa di più¸ direi di meno moralistico¸ di meno etico e di più¸ non so come dire¸ sui libri si dice esistenziale. Non è facile spiegarlo però è questo che dovrei io per primo cercare di mettere in pratica. Ma io me lo domando: cosa vuol dire che io sono cristiano? Vuol dire che io sono in Cristo e Cristo è in me. Ma come¸ in che modo? Devo diventare perfetto in Cristo¸ faccio una piccola parafrasi¸ invece di perfetto dico completo¸ maturo¸ e devo diventarlo in Cristo. Ma come faccio ad essere me stesso e nello stesso tempo essere in Cristo e di Cristo? Ecco¸ questo è essere cristiani. Il cristiano non è semplicemente un discepolo che ha studiato certe dottrine¸ che ammira il maestro che le ha insegnate e che aderisce ad una concezione della vita mettendo in pratica alcuni comandi¸ alcuni valori morali. E’ uno il quale non si sente sé stesso se non è intimamente e vitalmente unito a Gesù Cristo. Per questo è importante per il cristiano credere che Cristo non è un morto di cui si ricordano le grandi¸ geniali idee¸ come i grandi uomini del passato ma è vivente in Dio¸ più che risorto è ipervivo¸ è vivo come non si può essere altrimenti¸ è divinamente vivo. Questo è l’essere in lui. Molto difficile da tradurre in pratica¸ però c’è questa specie di fusione delle personalità. Il sacramento¸ il fare la comunione indica esattamente questo. Cosa significa dire: questo è il mio corpo¸ questo è il mio sangue¸ mangiatelo e andare a mangiarlo se non essere in lui¸ lui in me in maniera che io divento me stesso tramite lui ed in unione con lui. Qualche volta si fa l’esempio delle nozze: l’uomo diventa sé stesso quando è unito alla sua donna¸ la donna diventa sé stessa quando è unita al suo uomo¸ le mistiche nozze¸ paragone che regge fino ad un certo punto. Però è il paragone di fusione di persone più serio e più reale che possiamo immaginare¸ la coppia maschio – femmina¸ e costituisce una specie di una sola carne¸ dice la Bibbia. Però bisogna spogliarla da ogni fisicità altrimenti si cade nelle battutine da osteria. Questa è la prima cosa. Se non si capisce che c’è questo di più nel cristianesimo non ha senso il sacramento¸ non ha senso venire a messa e fare la comunione¸ cosa vuol dire? Vedete¸ capire questo¸ spiegare questo è difficilissimo perché è qualcosa che bisogna sperimentare¸ bisogna sentirlo¸ non si può dirlo soltanto con la ragione. Se non c’è questo¸ il cristianesimo perde la sua caratteristica che lo distingue da altri tipi di religione più deboli. In altre religioni si richiede soltanto l’adesione a certe dottrine e la pratica morale di certi doveri. Il cristianesimo non è questo¸ il cristianesimo è: Gesù è ipervivo¸ Gesù è divinamente potente e vivo¸ è in contatto continuo con me¸ io sono in lui e lui in me”. Io non so dirvi altro perché io stesso sono incapace¸ ma voi capite che se non c’è innanzitutto la consapevolezza di questo livello di contattabilitภse non lo si sa¸ non ci si pensa mai¸ non si prova a pregare¸ a sperimentarlo¸ non succederà mai niente. E non esisterà uomo cristiano. Poi c’è una seconda cosa che è ancora più complicata e posso soltanto accennarla ed è quella che c’è all’inizio del testo. La frasetta che c’è all’inizio del testo¸ anche queste sono cose che tutti i cristiani dovrebbero sapere¸ che si studiano nei seminari¸ la frasetta “Sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che dei patimenti di Cristo manca nella mia carne a favore del suo corpo che è la Chiesa”. Qui devo dire che i traduttori sono stati bravissimi perché sono riusciti finalmente a tradurre in una maniera tale che metterebbe a tacere tutte le polemiche che da sant’Agostino fino agli anni recenti si sono fatte nella Chiesa per spiegare questa frase di san Paolo. E’ perfino ridicolo rendersi conto di come esistano migliaia di articoli¸ libri¸ tesi di laurea per spiegare questa frase di cui¸ voi non vi siete accorti e mi complimento per questo¸ che abbia in sé qualcosa di cosí problematico. Il problema è questo: cosa pretende Paolo di dire cha dà compimento ai patimenti di Cristo per il bene della Chiesa? Cristo¸ con la sua passione e morte ha fatto tutto¸ ha riparato tutto¸ ha cancellato ogni peccato¸ nessuno può aggiungere niente. Cosa pretende Paolo di dire: do compimento? La parola greca che si traduce “a ciò che manca” è la parola che indica residuo¸ avanzo¸ quasi a dire che Cristo non ha fatto tutto¸ si è dimenticato una parte¸ c’è un residuo da completare¸ fortuna che vengo io e sistemo. I protestanti accaniti: solo Cristo¸ basta Cristo¸ tutto Cristo¸ cristocentrismo¸ cristototismo¸ col pericolo che poi si dicesse che la Madonna ha aggiunto qualcosina! Se Paolo sapesse che cosa si è fatto di questa sua frase¸ si rigirerebbe sulla sua nuvoletta. Quello però che dice di serio questa frase è un’ulteriore componente di quel Cristo in noi e noi in lui che è la partecipazione alla sua passione¸ cioè la dimensione sofferenza. Si può essere cristiani senza partecipare in qualche modo¸ ma non perché si deve completare¸ lasciate perdere¸ avrà sbagliato a dire “Do compimento”¸ ma che in ogni caso si deve condividere qualcosa di analogo a quello che Cristo ha subito perché è necessario¸ per il bene nostro¸ che ci sia una dimensione di¸ preferisco dire di fatica ed anche di sofferenza. Questo è il secondo punto. Essere cristiani vuol dire avere a che fare con la passione di Cristo. Ed essere in Cristo¸ Cristo in noi¸ volergli bene e stare dalla sua parte¸ vuol dire essere contenti¸ qualche volta¸ che ci sia sofferenza nella vita perché la passione di Cristo ha dimostrato che soffrire fa bene all’umanitภun soffrire che abbia senso. Ma forse la passione di Cristo dice che anche molte sofferenze¸ che a prima vista non sembrano non avere nessun senso¸ un senso ce l’hanno. Paolo pensa¸ soprattutto¸ non alle malattie¸ pensa ai sacrifici¸ alle sofferenze¸ alle rinunce che si devono fare per difendere la giustizia¸ il bene. Ci sono stati periodi nella storia della Chiesa in cui forse si è perfino esagerato¸ magari da parte di alcuni ordini religiosi. Tutti i santi che si chiamano Giovanni della Croce¸ Paolo della Croce fondatore dei Passionisti¸ poi c’è tutta un’altra schiera di santi i quali hanno detto: “Almeno di una sofferenza bisogna farsi carico¸ quella di poveri innocenti che muoiono di fame¸ sono malati negli ospedali” e qui ci sono tutti gli ordini religiosi nati per “Mi sacrifico per aiutare questi poveretti¸ per supplire quello che la medicina non può ottenere”. Oggi la medicina ottiene il 90 %¸ ma c’è ancora un residuo¸ eccolo il residuo: “Quello che manca all’arte medica lo faccio io”. E nascono tutti gli ordini religiosi e la passione di Cristo diventa: dov’è Dio? Là dove si soffre. Questo è più facile capirlo e dà forse contenuto a quello che dicevo prima¸ col pericolo che¸ qualche volta¸ ci dimentichiamo di questo e non siamo più capaci neanche di sopportare i piccoli disagi che qualche volta sono necessari¸ io per primo non sono capace¸ per aver pazienza¸ per sopportare la vita con le sue difficoltà. Siccome mi piace vedere i paesaggi dei posti dove non posso andare perché non ci passa il treno¸ guardo volentieri il Giro di Francia. Mi interessano i paesaggi però penso a quanto soffrono i ciclisti¸ i calciatori soffrono molto meno¸ i ciclisti non ne possono più e soffrono volentieri e mi domando se la passione di Cristo¸ sia pure per un valore¸ è un valore¸ per caritภdimostrare a sé stessi di essere capaci di superare traguardi che sembrerebbero impossibili. Lo sport estremo ha un suo valore¸ ce l’avrebbe molto di più una carità estrema la quale dice: Si¸ è bello il Giro di Francia¸ ma è ancora più bello andare ad imboccare gli ammalati all’ospedale. Liberamente¸ per caritภchi si sente lo fa¸ chi non si sente non lo fa¸ però almeno non piagnucola continuamente perché le cose vanno male. E soprattutto non dice che le cose vanno male perché abbiamo un po’ meno conforto e perché i nostri investimenti rendono un po’ meno¸ quel piagnisteo dell’occidente perché abbiamo perso un micron di sviluppo¸ è una cosa schifosa. Non si può essere di Cristo ed essere cosí preoccupati del P.I.L.¸ ne ho già parlato altre volte di queste cose¸ e di vedere questo mondo che soffre per la troppa ricchezza che non è capace di gestire. Ecco¸ non è semplice essere di Cristo.