» Home » Domande - Risposte   » Libro deglio ospiti    » Contatti  
Omelia IV PASQUA C del 25 Aprile 2010

La messa di domenica scorsa era eccezionalmente lunga e quella di oggi è sproporzionatamente breve. Quella di domenica scorsa era ricca di una quantità di temi e questa non lo è più. Ma questo non è colpa di nessuno¸ se non di quelli che hanno preparato la distribuzione delle letture nel lezionario. E questo lo dico tutti gli anni quando capita questa domenica. C’è¸ però¸ un testo di grande interesse che abbiamo trascurato domenica scorsa¸ proprio perché c’erano tante altre cose da dire sul vangelo e che viene¸ però¸ in parte ripreso e continuato nella seconda lettura di questa domenica ed è la visione iniziale del Libro dell’Apocalisse di cui si leggeva dal capitolo 5 domenica scorsa e si legge dal capitolo 7 in questa domenica. Sono due parti della visione inaugurale del Libro dell’Apocalisse che è interessante per vari motivi: innanzi tutto si può dire che di solito la liturgia trascura tutta quella serie di catastrofi che vengono utilizzate dall’autore dell’Apocalisse secondo la tradizione delle apocalissi ebraiche e siccome¸ come avete sentito nella prima lettura¸ il cristianesimo è nato in antitesi con l’ebraismo (gli ebrei possono arrabbiarsi ed offendersi finché vogliono ma le cose sono andate cosí)¸ l’Apocalisse cristiana aggiunge un elemento che era abbastanza infrequente nelle apocalissi ebraiche e cioè le visione positive della salvezza¸ della lode¸ della gloria di Dio dalle quali sono stati tratti i brani di queste due domeniche. Ma c’è un altro aspetto interessante che¸ invece¸ è in consonanza con la struttura che l’ebraismo aveva dato a questo tipo di letteratura che si chiama la letteratura di rivelazione¸ cioè apocalittica¸ e cioè l’uso degli animali come simboli che il cristianesimo eredita certamente da questa tardiva cultura ebraica perché questo uso dell’immagine dell’animale entra praticamente in gioco verso il secondo¸ terzo secolo prima di Cristo. Per esempio¸ vi ricordate che domenica scorsa c’era la rete piena di centocinquantatre grossi pesci che Pietro è riuscito ad estrarre dal mare perché Gesù gli ha detto “Getta a destra le reti” e¸ da sempre¸ i commentatori dicono: “Questi centocinquantatre grossi pesci rappresentano quello che non è scritto nel quarto vangelo¸ ma è scritto in Marco e Matteo: “Diventerai pescatore di uomini” e¸ quindi¸ sono il simbolo del raduno dell’umanità della Chiesa. A noi può sembrare un po’ grottesco paragonare i credenti che entrano nella Chiesa a dei grossi pesci che entrano nella rete¸ ma questo è uno di quegli elementi¸ che dicevo prima¸ dell’utilizzo delle immagini prese dal mondo animale e dal normale rapporto dell’uomo con gli animali che entrano nell’uso dell’ebraismo tardo e poi diventano abbastanza presenti¸ in maniera molto forte¸ nel cristianesimo primitivo. Bisogna abituarsi a queste immagini perché¸ ripeto¸ all’inizio possono sembrare grottesche e non è facile cogliere il loro significato. Più facile è cogliere il significato di un’immagine che è diffusa anche altrove¸ questa era anche antica¸ quella del gregge e delle pecore. Ed è questa che domina la lettura di queste domeniche dopo Pasqua perché i vangeli sono tutti presi dal capitolo 10 del vangelo dove si presenta la figura di Gesù che è buon pastore che cura le pecore. Ma del resto¸ anche nel vangelo di domenica scorsa la rete era piena di pesci¸ ma a Pietro si dice¸ dopo avergli chiesto per tre volte se ama¸ e di questo abbiamo parlato domenica scorsa¸ gli si dice: “Pasci le mie pecore¸ pasci i miei agnelli¸ pasci le mie pecore”¸ utilizzando¸ fra l’altro¸ vocaboli sempre differenti¸ tanto che qualcuno si domanda se questo uso diverso di parole per designare lo stesso tipo di animale non abbia anche questo un sottosignificato simbolico¸ oltre a quello globale che ha l’immagine della pecora. La pecora è un po’ più facile del pesce¸ è un animale con il quale possiamo avere rapporti un pochino più diretti ed intensi. E’ un mammifero¸ assomiglia a tanti altri animali i quali hanno gli occhi che ci guardano¸ belano¸ sono gli animali dei quali noi diremmo che gli manca solo la parola¸ come lo è per molti il cavallo¸ che lo è per noi moderni ma non lo era per gli uomini della Bibbia¸ eventualmente loro conoscevano di più l’asino. Viceversa noi adoperiamo in maniera un po’ sarcastica ed ironica in qualche novella. La pecora è abbastanza comune in tutti gli ambienti anche per la sua docilitภper la sua gradevolezza¸ la sua dolcezza. Si incomincia con la favola della pecora e del lupo di Esopo. Quindi la pecora è il segno di chi ha bisogno di aiuto¸ di colui che non è aggressivo¸ qualche volta lo è la capra¸ l’agnello non ha le corna¸ che è debole¸ che è indifeso¸ che viene tosato ma non si lamenta ed è una figura che lentamente ha accumulato su di sé una quantità di significati simbolici. Il fatto che gli ebrei lo usassero¸ come tanti altri popoli¸ nel sacrificio per ottenere il perdono dei peccati¸ per ottenere la protezione divina¸ era molto più frequente che si offrisse una pecora¸ solo in occasioni solenni e da parte di ricchi si poteva offrire un vitello giovane. Allora ecco che la pecora¸ soprattutto l’agnello che fa tenerezza¸ che suscita simpatia diventa anche la figura dell’agnello sacrificato. L’uomo antico non si rendeva conto dell’aspetto crudele¸ e per noi ripugnante¸ che c’era in questa idea che per placare Dio occorresse uccidere un animale innocente¸ non se ne rendevano conto¸ vivevano questi rituali sacrificali¸ anche gli ebrei¸ come un dovere da compiere e¸ probabilmente¸ mettevano a tacere quella spontanea sensibilitภquella spontanea compassione che si ha per una bestiola. Che colpa ha lei? E questo interessa molto gli studiosi di quelle complesse mentalità che stanno alla radice di tutte le religioni e che diventano sempre meno comprensibili a noi moderni. Ma ciò non toglie che l’agnello avesse su di sé¸ direi¸ questa contraddittoria: era una bestia adorabile che però bisognava uccidere per far piacere a Dio¸ quasi riassumendo in sé questa tensione continuamente presente nella mente dell’uomo. Come ci salviamo dal pericolo? Con la fiducia o con la paura? Anticipando l’aggressione e la violenza¸ come quando si ammazza la pecora¸ o accettando la via paradossale della dolcezza e della mitezza? E di nuovo viene in mente il lupo e l’agnello di Esopo dove l’agnello all’inizio se la cava con l’intelligenza e la furbizia¸ poi¸ alla fine¸ il lupo lo inganna e lo divora. Voglio dire che dietro a questi simboli¸ che a prima vista ci sembrano non facilmente comprensibili¸ si capiscono di più se ci si rende conto che c’è tutta questa storia¸ tutti questi archetipi antichissimi che ancora hanno lasciato qualche traccia in noi. Ma la cosa più sorprendente¸ alla quale devo arrivare dopo di che posso finire la predica¸ la cosa più sorprendente e più audace è che nell’Apocalisse¸ e c’è una anticipazione solo nel quarto vangelo nelle parole del Battista all’inizio¸ il pastore Gesù diventa l’agnello. Questo è straordinario¸ se ci pensate. Finché siamo chiamate pecore noi¸ che abbiamo bisogno di guida¸ di protezione¸ la cosa direi che è in linea abbastanza ovvia di una interpretazione umana che si allarga¸ si estende¸ si allunga¸ ma l’autore dell’Apocalisse ha questa grande genialità: il Figlio di Dio¸ notate bene quello che¸ l’avere sentito nella seconda lettura di domenica scorsa¸ quello al quale tutte le creature si inchinano per adorarlo¸ perché questo era il tema di domenica scorsa: “Voce di molti angeli attorno al trono¸ esseri viventi anziani¸ miriadi di miriadi¸ migliaia di migliaia¸ quasi una specie di universale convegno¸ l’agnello che è stato immolato è degno di ricevere potenza¸ ricchezza¸ sapienza¸ forza¸ onore¸ gloria¸ benedizione. E tutte le creature del cielo e della terra¸ sottoterra e nel mare¸ e tutti gli esseri che vi si trovavano¸ tutti che dicevano a colui che siede sul trono¸ e all’agnello: lode¸ onore¸ gloria¸ potenza”. L’idea geniale è questa: questo uomo¸ che da sempre meritava gloria¸ onore¸ potenza¸ si è fatto agnello ed è morto come noi uccidiamo gli agnelli e questa è la sua divina grandezza. Questo è un modo¸ direi¸ grafico¸ disegnato di dire la stessa cosa che il dogma cerca di dire quando dice: incarnazione¸ Dio è uomo¸ uomo vero¸ come diciamo nel Credo¸ ma¸ nello stesso tempo Dio vero da Dio vero¸ luce da luce. E qui c’è questa audacia intellettuale di trovare questa immagine: agnello. Tra l’altro¸ è anche curioso notare che è stato dominante nei mosaici bizantini. L’agnello nell’abside delle Chiese¸ c’è a Ravenna¸ con tutte le pecorelle che vanno a bere dall’acqua nella quale si è trasformato il suo sangue¸ come c’è nella lettura di oggi: “Quelli che hanno lavato le loro vesti nel sangue dell’agnello rendendole candide”. Come si fa a rendere candido un vestito nel sangue dell’agnello? E’ perché il sangue è uscito dal suo costato insieme con l’acqua ed è il simbolo della purificazione battesimale. C’è una arditezza di simbologia¸ che poi sarà anche criticata dal punto di vista di una analisi stilistico – culturale perché effettivamente qualche volta è arzigogolata¸ è costruita con fatica¸ però l’intenzione profonda è geniale. Noi adoriamo grande e pari a Dio uno che può essere raffigurato in maniera appropriata come un agnello ucciso nel sacrificio e¸ allora¸ capite che tutto quello che cercavo di riassumere prima¸ di questa tipologia dell’agnello nella mente dell’uomo antico¸ che poi trovava nell’A.T. alcune sottolineature poetiche: il servo di Dio¸ l’innocente che soffre è paragonato all’agnello che di fronte a quelli che lo tosano non dice niente¸ è Gesù che è agnello¸ il pastore che è agnello¸ per cui noi non siamo guidati da uno che ci comanda perché è superiore ma da uno che si è fatto più piccolo di noi che siamo pecore. Ed è interessante che non si dica più “Sacrificate agnelli!” ma si dica a Pietro: “Da’ da mangiare e bere¸ porta al pascolo i miei agnelli e le mie pecorelle”. Ed il pastore diventa pastore perché è stato agnello e¸ quindi¸ conosce la nostra debolezza¸ tutto quello che noi diciamo su Cristo che condivide la nostra povertภquello che c’è nell’Inno ai Filippesi: “Colui che viveva in condizione divina non ha ritenuto di tener per sé questo privilegio ma si è umiliato¸ ha preso la figura di servo¸ si è fatto ubbidiente fino alla morte”¸ questo è l’agnello. Là è detto con parole¸ qui è raffigurato. Tutti sanno che il famoso quadro dell’agnello mistico che si trova a Gand¸ in Belgio è il primo capolavoro pittorico¸ che poi non ha avuto molto seguito¸ ed è un quadro celeberrimo in tutta Europa¸ almeno¸ sia per la finezza della pittura ma sia anche per questa raffigurazione mistica dell’Apocalisse. E’ stato presente nella cultura bizantina¸ poi ritornato in questa fase e poi praticamente scomparso. Si trova ancora qualche immaginetta con un agnellino. Io sono convinto che se lo Spirito Santo ci avesse ispirato di non esporre il crocifisso¸ che poi quando è piccolino… Monsignor Tantardini diceva: “Sembra un pipistrello!”¸ ma l’agnello¸ il simbolo dell’agnello forse avrebbe avuto una pienezza di significato¸ una capacità di evocazione simbolica che si poteva far capire e credere anche ai musulmani. Noi abbiamo trascurato molto della ricchezza della Bibbia¸ ci siamo fossilizzati su alcuni simbolucci e litighiamo per quelli. C’è molta fantasia nella Bibbia. Provate a pensare se voi nella preghiera avete mai pensato: “Adesso dico una preghiera¸ prego Gesù che è un agnello che è morto diversamente da tutti gli agnelli morti prima¸ che ammazzavamo noi per rendere onore a Dio. Lui si è fatto agnello per l’ultima volta per dare onore a noi¸ per tirarci fuori da questo equivoco balordo in cui le religioni antiche sguazzavano¸ ebraismo compreso: per onorare gli dei bisogna dare il sangue degli animali”. Il fatto che Gesù Cristo abbia chiuso tutto questo per cui non esiste più niente di questo dicendo: “L’ultimo sangue ce lo metto io¸ ma è acqua che vi disseta e che vi purifica”. Questo capovolgimento di tutto per cui il mondo antico è finito con Gesù Cristo ed è incominciata la modernitภla fine del conflitto con gli dei¸ la fine della paura. Ecco perché il cristianesimo si vanta di essere sempre attuale e la religione del futuro¸ anche se¸ purtroppo¸ molti cristiani¸ anche perché noi preti non li istruiamo a sufficienza¸ non sono in grado di rendersene conto. Approfittate di quest’immagine dell’agnello.