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Omelia III PASQUA C del 18 Aprile 2010

Quello che abbiamo letto è l’ultimo capitolo del quarto vangelo¸ manca l’ultima parte del capitolo stesso¸ quella nella quale si confronta la sorte del discepolo che Gesù amava che sopravvive al martirio di Pietro¸ martirio al quale allude la parte finale del testo dove si dice: “Quando sarai vecchio tenderai le tue mani¸ un altro ti vestirภti porterà dove tu non vuoi”¸ modo enigmatico per indicare che avrebbe glorificato Dio con il martirio. Probabilmente¸ chi ha scritto questo capitolo¸ che non è la stessa persona che ha composto i precedenti capitoli del vangelo¸ doveva giustificare il fatto che¸ invece¸ il discepolo che Gesù amava era ancora in vita e non si prevedeva che non sarebbe morto martire. E forse¸ a quel tempo¸ si pensava che non morire martiri era un disonore. Può darsi che questa sia la ragione¸ ma questa ultima parte non è stata scelta dagli estensori del testo liturgico per essere letta e¸ quindi¸ non tocca a noi commentarla. Ho detto che questa parte di vangelo¸ come sapete¸ non fa parte del progetto originario perché alla fine del capitolo precedente c’era già una conclusione del vangelo che diceva: “Questo è stato scritto…”¸ quindi questa è certamente un’aggiunta¸ a cui segue poi un’ulteriore piccola conclusione e questa aggiunta è interessante per vari motivi. Direi che è più facile fare un commento di tipo stilistico – letterario che non forse di contenuto teologico e può darsi che io mi perda in questo livello stilistico. Pazienza! Perché sembra scritta da una persona che conosce il vangelo¸ già sostanzialmente predisposto da chi l’ha preceduto in questa opera di risistemazione finale delle cose. Sembra che conosca anche gli altri vangeli¸ che già sono stati scritti¸ specialmente Luca¸ perché vi ricordate che il solo Luca parla di una pesca miracolosa¸ Matteo e Marco non ce l’hanno questo episodio¸ però ne parla nella vita terrena di Gesù non dopo Pasqua. Allora si discute molto se in origine questo racconto di una pesca miracolosa venisse collegato alla vita precedente la morte di Gesù o alla vita successiva. Luca lo mette prima¸ capitolo 5 più o meno¸ e questo signore lo mette alla fine. A me sembra¸ in questo caso¸ più verosimile che questo tardivo autore di questo capitolo conosce Luca e vuole sfruttare quell’episodio per una sua particolare intenzione e¸ secondo me¸ l’intenzione di chi ha scritto questo capitolo¸ non so se riuscirò a spiegarmi ma cerco¸ è quella di presentare la figura di Pietro¸ che è certamente il protagonista¸ il discepolo che Gesù amava ha anche lui la sua parte importante ma sempre secondaria¸ presentare la figura di Pietro come se fosse una persona che entra dentro nella sua testa e vede¸ intuisce i ricordi che si affacciano nella mente di Pietro. Infatti il racconto inizia in maniera molto simile a come il quarto vangelo aveva incominciato l’inizio. Vi ricordate che¸ all’inizio¸ si dice che due discepoli del Battista seguono Gesù¸ Gesù dice loro: “Cosa cercate?”. “L’agnello di Dio di cui ha parlato il Battista: Dove abiti?” domandano a Gesù. “Venite e vedrete”¸ vanno¸ vedono¸ restano con lui. Uno di loro era Andrea. Andrea vide suo fratello Pietro¸ gli disse: “Abbiamo trovato il Messia”¸ poi viene un altro¸ che non è presente qui¸ Filippo¸ il quale pure va da Gesù e poi incontrano Natanaele di Cana¸ che è quello che c’è qua. E quando Natanaele viene¸ Gesù gli dice: “Ecco un israelita in cui non c’è inganno”. Giacobbe¸ che era capostipite degli ebrei¸ figli di Israele¸ era quello che aveva imbrogliato tutto nella sua vita¸ ad incominciare dalla nascita perché¸ come gemello¸ doveva venir fuori dopo di Esaù¸ ma¸ in realtภuscí per primo tenendo in mano il calcagno. Imbroglione fin dall’inizio. Anche gli ebrei sorridevano di questo loro capostipite che aveva ottenuto tutto con l’inganno¸ con la furbizia¸ perché per tutti gli orientali la furbizia è una virtù. Questo Natanaele viene riconosciuto: “Ecco un israelita in cui non c’è imbroglio”: E’ curioso tutto questo perché Natanaele ritorna qua come se in un certo senso l’autore volesse dire: “E’ finito tutto¸ sono tornati in Galilea¸ hanno visto Gesù a Gerusalemme ma non hanno preso nessuna decisione. Non sanno cosa fare. Sono tornati e si trovano il vecchio Natanaele di Cana di Galilea”. Ad essi si aggiunge Tommaso¸ detto Didimo¸ quello di domenica scorsa¸ quello che aveva creduto per aver visto¸ il dubbioso¸ i figli di Zebedeo ed altri due discepoli. Poi scopriremo che degli altri due discepoli uno era il discepolo che Gesù amava il quale¸ secondo questo testo¸ non può essere Giovanni figlio di Zebedeo perché i due figli di Zebedeo sono Giacomo e Giovanni e non può essere chiamato il discepolo che Gesù amava distintamente da questo. Ecco perché gli studiosi dicono che il quarto vangelo va sotto il nome di Giovanni¸ figlio di Zebedeo¸ ma il testo stesso fa capire che non è lui l’autore¸ sarà l’ispiratore. E’ come se si ritornasse agli inizi¸ quasi che Pietro venga presentato come una persona che dice: “Ma sí¸ è stato bello¸ Gesù è presso Dio”¸ lo riconoscono questo¸ “E’ il santo di Dio¸ vive in cielo e noi continueremo a fare i pescatori sulla terra”. Manca il senso del dovere di una missione¸ capite¸ non è ancora emerso nella loro mente. Cosí presenta le cose l’autore. Sono contenti che sia risorto¸ magari sperano che nel futuro riapparirภma non hanno ancora deciso che cosa fare. Si trovano insieme in Galilea poi Pietro dice: “Facciamo come prima¸ io vado a pescare!”. Quello che a me pare interessante in questo capitolo¸ è questa presa di posizione di chi lo scrive che si mette dal punto di vista di uno che dall’esterno guarda dentro nella testa di Pietro e dice: “Guarda a cosa pensava¸ gli venivano in mente i ricordi e si domandava: Cambierà qualcosa o rimane tutto come prima? Siamo tornati in Galilea¸ abbiamo una massa di ricordi nella mente¸ questi ricordi non sappiamo come utilizzarli¸ come interpretarli”. Notate che in Luca la pesca miracolosa presuppone già che i discepoli hanno incontrato Gesù e sono entusiasti di lui e¸ una mattina¸ li vede sulla riva¸ non hanno preso niente. Qui¸ invece¸ l’evangelista dice chiaramente che loro hanno visto una persona sulla spiaggia ma non avevano la minima idea che fosse Gesù. Gettano la rete perché un tizio qualunque ha detto loro: “Provate a destra”¸ per cui è come se ci fosse una illuminazione che non ha fondamento¸ che parte da zero. Ecco perché è proprio una rivelazione del nuovo modo di essere presente di Gesù nella loro vita. Ripeto¸ loro hanno provato a gettare la rete perché avranno pensato: “Abbiamo lavorato tutta notte¸ un altro quarto d’ora di lavoro¸ proviamo¸ magari quello là ha ragione¸ sarà un pescatore più pratico di noi”. E¸ quindi¸ il discepolo che Gesù amava¸ che domenica scorsa e il giorno di Pasqua precede¸ ma poi lascia il primo posto a Pietro¸ gli dice: “E’ il Signore!”. E Pietro si muove. L’autore di questo capitolo lo copia dalla storia del sepolcro dove uno pure corre¸ stavolta è Pietro che corre. E poi c’è un altro particolare curioso che forse solo chi legge in greco lo può capire¸ quello dell’antracite¸ il fuoco di brace. Io penso che lo scrittore voglia che noi ci accorgiamo che mentre Pietro nuota per andare a riva¸ si accorge che là c’è un fuocherello di carbonella. La parola greca è quella da cui deriva l’ antracite e questo non può non far venire in mente a Pietro quello che viene in mente al lettore attento del vangelo in greco: mentre Gesù era interrogato da Caifa¸ è andato a scaldarsi dove c’era un fuoco di carbonella e lí gli hanno detto¸ vedendo la sua faccia alla luce della brace: “Ma anche tu eri uno di loro”¸ e Pietro ha rinnegato. E mi piace vedere questa finezza del narratore che¸ mentre Pietro arriva¸ gli viene in mente: “Oddio¸ se è Gesù¸ cosa mi dirà adesso?”. Quella carbonella accesa gli fa venire in mente un’altra carbonella dove lui si scaldava le mani¸ e lo ha rinnegato per paura di una serva. E¸ allora¸ capisce perché Gesù gli domanda: “Mi vuoi bene? Mi vuoi bene? Mi ami?”. E i traduttori hanno scelto di tradurre il verbo “agapan” che¸ come ho già spiegato tante volte è quello tipico dell’amore come lo pensa il N.T.¸ hanno pensato di tradurlo “Mi ami?”. L’altro che è il “filein”¸ quello della cultura greca¸ l’amore della amicizia¸ l’amore più nobile lo hanno tradotto “Ti voglio bene” ed hanno rispettato la differenza dei verbi. Ma anche questo è importante per l’evangelista. La cosa più interessante è che¸ a differenza¸ e qui devo ricordare che nella sua prima enciclica il Papa queste cose le ha messe in luce con chiarezza¸ direi¸ da esegeta¸ mentre una volta si diceva “La caritas¸ l’agapan dei cristiani è l’amore supremo che Cristo ci ha insegnato”¸ in questo racconto si parte da questo ma si arriva alla fine al “filein”¸ ti voglio bene¸ quasi che l’evangelista dicesse: “Guardate che i greci hanno già capito¸ con la loro lingua¸ quale è il vero amore: è quello dell’amico”. Non ho tempo di spiegarlo qui¸ ma bisognerebbe approfondirlo questo tema e¸ direi¸ che sotto¸ sotto sta un altro pensiero: deve farlo tutto il lettore questo lavoro? Per tre volte glielo domanda¸ Pietro quasi si inquieta ed alla fine se la cava dicendo: “Ma insomma¸ tu sai tutto¸ lo sai che ti voglio bene anche se ti ho tradito¸ perché anche uno che ama può tradire” e questa è una grande veritภquesta è la conoscenza divina dell’uomo non la presunzione dell’astratto moralista o filosofo che dice: “L’amico è colui che fino alla fine¸ a costo di morire¸ non tradisce”¸ no¸ anche l’amico tradisce perché siamo della povera gente e non è che tradire significhi non essere più capaci di amare. Quanto adulteri lo sanno e Gesù¸ infatti¸ all’adultera dice: “Hai visto? Nessuno ti ha condannato”. Quanto moralismo viene distrutto da questa parola: “Ti voglio bene”. Gesù lo interroga perché Pietro capisca¸ notate che non c’è un cenno sulla bocca di Gesù al “Come ti sei comportato male sotto la croce!” perché Pietro capisce che Gesù gli dice: “Guarda che la fedeltà può convivere con il peccato¸ il tradimento con l’amore”¸ basta che¸ come diceva il primo salmo “Il tradimento finisca la sera¸ e la mattina ricominci l’amore. Ti esalterò¸ Signore¸ perché mi hai risollevato”. Ed in questo dialogo di Pietro c’è tutta la spiegazione di quella frase: “A chi rimetterete i peccati saranno rimessi¸ a chi non li rimetterete saranno ritenuti”. Questo perdono¸ che nasce dal realismo della vita non dall’acredine dei moralisti teorici che non ritirano mai l’accusa¸ che non credono nella possibilità di convivere insieme nell’intrecciarsi continuo di bene e di male. Ed è a questo uomo¸ perché è fatto cosí e perché ha vissuto questa esperienza che Gesù dice: “Pasci i miei agnelli¸ pasci le mie pecore”. Avrei avuto tante altre cose da dire¸ ma non c’è tempo.