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Omelia VI DOM. T.O. C del 14 Febbraio 2010

Ho scelto questo vangelo perché si adatta benissimo alla festa di una martire¸ perché parla delle persecuzioni e della pazienza nell’accettare il contrasto nel mondo. E’ il vangelo che si legge in tutta la Chiesa in questa giorno e quindi non c’era motivo di cambiarlo con un altro. E’ l’ultima domenica che possiamo seguire la lettura continuativa di Luca perché poi incomincia la Quaresima con i suoi testi¸ scelti con altri criteri¸ e per di più è un testo molto interessante perché presenta le Beatitudini cosí come le ha strutturate Luca¸ che¸ come avete sentito sono notevolmente diverse dalla forma più consueta che siamo abituati a sentire che è quella di Matteo¸ la quale¸ per certi versi¸ può essere considerata più profonda e più elaborata di quella di Luca ma è anche interessante vedere la differente impostazione di Luca. Come tutti già sapete¸ la prima differenza è di tipo topografico ed è palese: mentre Matteo colloca queste parole di Gesù sulla montagna¸ Luca le colloca in pianura perché dice che Gesù si fermò in un luogo pianeggiante¸ e gli antichi evangelisti non avevano paura di introdurre nei loro testi queste diversitภse volete perfino contraddizioni¸ perché si ritenevano¸ non soltanto liberi e autorizzati¸ ma ritenevano che fosse loro dovere di modificare il quadro ambientale o la strutturazione del loro discorso per mettere in luce i diversi significati ed i diversi valori che la parola di Gesù poteva avere. Matteo e Luca tra di loro non si sono probabilmente conosciuti perché Luca non conosce il testo di Matteo e Matteo lavora indipendentemente e non conosce il testo di Luca. Entrambi¸ però¸ si ritengono¸ ripeto¸ non soltanto autorizzati¸ ma in dovere di offrire al loro lettore una interpretazione che possa mettere in luce l’aspetto che¸ a loro parere ed a parere della Chiesa nella quale vivono¸ è importante ricavare dal ricordo di Gesù. E il fatto che in comunità differenti ed in autori differenti si sottolineino cose diverse può sembrare a prima vista una contraddizione ma¸ in realtภè un arricchimento perché quello che a loro interessa non è tanto la ricostruzione¸ direi¸ giuridicamente storiografica¸ quasi come nel verbale di un processo di quello che Gesù ha fatto¸ ma far capire la portata ed il valore di quello che Gesù ha detto ed anche di ciò che è implicito e ricavabile mediante riflessione da quello che lui ha detto. Noi preti nella Liturgia delle Ore o Breviario¸ come lo si chiamava una volta¸ leggiamo oggi un brano di un diacono¸ Efrem Siro il quale spiega proprio questa caratteristica della Sacra Scrittura. La Sacra Scrittura è piena di molteplici significati che si sovrappongono che possono essere tutti racchiusi in un medesimo episodio e la varietà delle interpretazioni è costitutiva del dono che Dio ci ha fatto mandando Gesù Cristo e poi incaricando persone di parlare di lui e di raccontare quello che ha fatto perché il suo insegnamento è talmente a spettro ampio e ricco che non si può ridurre ad una sola singola conclusione. Per questo¸ qualche volta¸ mi è scappato detto¸ immagino anche qui¸ che quando il catechismo¸ per ragioni didattiche di brevitภcerca di sintetizzare tutto in una frase¸ compie una operazione che non è del tutto adeguata all’intento con cui Dio ha fatto esistere la nostra Bibbia¸ perché la nostra Bibbia è una fonte di una moltitudine di pensieri¸ di possibilitภdi ipotesi e di possibili conclusioni. Quando Matteo mette il discorso sul monte vuole che il lettore di ricordi di Mosè ed invece di dire che Gesù ha portato a compimento quello che Mosè aveva insegnato in maniera provvisoria¸ si limita a disegnare Gesù che parla sul monte perché questi scrittori hanno fiducia nella cultura e nell’intelligenza dei loro lettori. Sarà il lettore che dice: “Ma guarda¸ è andato sul monte come Mosè¸ allora forse quello che lui dice devo confrontarlo con quello che leggo come attribuito a Mosè¸ forse sta presentando un rinnovamento della vecchia Torah che era stata data a Mosè”. Ed allora la lettura di questi brani suscita l’attività critica¸ la riflessione¸ il ripensamento di tutti i credenti. Con ogni probabilità Luca è più vicino alla realtà brutale dei fatti: Gesù si è fermato scendendo dalla collina dove era salito a pregare la sera prima¸ si è fermato in un pianoro e lí la gente si è riunita e lí ha cercato di parlare. Può darsi che sia più realistica la versione di Luca¸ può darsi che sia semplicemente di nuovo un’altra raffigurazione¸ come quella che farebbe un pittore per indicare la prossimità di Gesù alle persone che hanno bisogno e sono venute per ascoltarlo. E per questo c’è un tratto anche qui diverso da quello di Matteo¸ Matteo dice che Gesù abbandona la folla ai piedi del monte¸ solo con i discepoli si mette a sedere¸ i discepoli stanno intorno¸ la gente non lo vede e lui istruisce i discepoli. Perché quella di Matteo è una lezione alla scuola dei suoi discepoli¸ quella di Luca è una predica fatta a voce¸ se volete¸ più gridata che anche le folle sentano perché sono tutti lí che cercano di toccarlo. “E alzando gli occhi verso i suoi discepoli disse…” o diceva¸ e non si capisce bene a chi si rivolge se ai discepoli¸ alle folle¸ a tutti e pronuncia una serie di Beatitudini che secondo Luca sono soltanto tre più uno¸ mentre in Matteo sono otto più uno e¸ poi¸ alla fine avrebbe anche pronunciato tre “Guai” più uno che sono assenti nel vangelo di Matteo. E’ chiaro che Luca presenta la situazione dei discepoli come una situazione di contrapposizione tra due prospettive differenti: quella del ricco¸ quella di chi sta bene¸ quella di chi gode¸ che può permettersi di ridere perché ha mangiato bene e perché ha soldi per mangiare anche domani¸ e quella del povero che piange¸ è afflitto¸ aspetta di essere aiutato¸ ha fame¸ non sa quando mangerà. E Gesù dice che è beato questo secondo e mette in guardia quell’altro. Allora il modo di parlare di Luca non è una istruzione come quello che fa Matteo per i suoi discepoli¸ una istruzione pacata come quella di un sapiente che parla della vita non sotto l’urgenza di un bisogno cha ha davanti ma direi¸ in teoria¸ tant’è vero che dice “Poveri in spirito” mentre Luca si limita a dire “Poveri”¸ non usa piangere e ridere ma dice “Essere afflitti” che è tutto un modo più educato¸ più scolastico di parlare perché Matteo sta facendo una presentazione teorica¸ che è utilissima perché prescinde dall’emozione del momento. Luca cerca di collocare le parole di Gesù in una situazione dove l’emozione è invece primaria¸ dove la gente che ha fame¸ che sta male¸ che vuole toccare Gesù¸ perché è priva di aiuto è lí¸ la si vede e allora prende spunto da questo per criticare l’indifferenza¸ l’egoismo¸ la cecità del ricco il quale crede di essere autosufficiente¸ si gode i suoi beni e non si cura degli altri. Allora capite che quella di Luca diventa soprattutto un ammonimento¸ per non dire addirittura una minaccia di castigo¸ per coloro che rimangono indifferenti al bisogno degli altri. Ecco¸ allora¸ perché dice “Voi che ridete¸ piangerete anche voi” e mette anche in confronto¸ usa anche un piccolo avverbio¸ che in Luca non c’è¸ e che non è sottolineato bene¸ neanche nella nuova traduzione¸ c’è l’avverbio ma sfugge: “Beati voi che ora avete fame¸ beati voi che ora piangete” che è un ammonimento sull’incertezza del futuro. Quegli altri che invece ridono¸ mangiano e stanno bene¸ i ricchi tendono a dimenticarsi che le cose possono cambiare col tempo¸ hanno l’impressione che il loro adesso¸ che è l’adesso del benessere¸ duri in eterno¸ allora dice: “Guai a voi che non sapete che cosa potrebbe capitarvi¸ che cosa vi aspetta” perché una delle caratteristiche del povero è che sta male nel presente ma spera nel futuro. La caratteristica del ricco è quella che spera che non cambi niente. Il ricco è conservatore per natura sua¸ perché gli va già bene¸ spera che non cambi niente¸ che tutto vada nella medesima direzione. Il povero è sempre più pieno di fantasia e di ricchezza¸ se non altro perché è spinto dal bisogno e vuole il cambiamento della realtภil povero aspetta qualcosa di meglio. Il ricco aspetta qualcosa di più¸ che è assai diverso. E’ il contrasto tra adesso e dopo. E questo mi serve per ricordarvi che incomincia la Quaresima¸ Quaresima che viene presentata come “Ecco il tempo favorevole!”¸ tempo di cambiare. La Quaresima è fatta per i poveri¸ ai ricchi non interessa¸ il ricco non si accorge di niente perché gli dà fastidio il cambiamento. Ed è curioso vedere¸ è una sciocchezza quella che sto per dire come molte delle cose che dico¸ è curioso vedere come questo concetto del momento importante¸ nella nostra tradizione occidentale¸ è stato arricchito¸ direi¸ con partecipazione popolare nel passaggio carnevale – Quaresima. Il carnevale sembra inventato proprio per mettere in luce il contrario del giorno dopo. Certo¸ bisognerebbe viverle queste cose come si vivevano una volta quando¸ dopo la notte del martedí tutto finiva e la parola d’ordine era: “Adesso basta!”. E arrivava l’austerità delle ceneri¸ il digiuno¸ si spegneva tutto. Adesso che Viareggio¸ San Remo¸ i carnevali vanno avanti fino… Non ha più senso niente¸ si è perso il segno di questa… che è stata¸ ripeto¸ un’invenzione della gente: “Esageriamo la baldoria perché questo ci fa capire quanto è stupida¸ dopo di che diciamo la parola d’ordine: Adesso basta”. La Quaresima significa essere capaci di dire: “Adesso Basta. La Quaresima è come rivivere il passaggio dalla adolescenza o dalla giovinezza spensierata all’età adulta. Quando uno si sposa e mette su famiglia dice: “Adesso basta fare lo stupido!”. Adesso basta. Il ricco raramente è capace di dire: “Adesso basta”¸ continua sempre la festa¸ la baldoria¸ la stupidità. Per Luca il ricco è stupido¸ ci sono anche dei ricchi intelligenti¸ anche il ricco¸ qualche volta¸ è capace di dire: “Adesso è ora di cambiare qualcosa”¸ ma nella mentalitภse volete un po’ radicalista di Gesù e di Luca il povero è più fortunato perché il povero è sempre sveglio¸ non è mai addormentato¸ appesantito dalle ubriachezze e dalle indigestioni¸ dal sovraccarico di beni¸ del lusso opprimente. Ma¸ senza entrare nei particolari¸ direi che può bastarci questo. E cosí finisco per fare una predica che è di introduzione alla Quaresima¸ domenica prossima poi saremo già nel pieno della Quaresima e ci saranno già le tentazioni del Signore¸ ci sarà altro da dire. Che cosa c’entra sant’Agata? Sant’Agata c’entra perché¸ se ci avete badato¸ il discorso di Luca¸ che non si capisce bene se è rivolto alle folle¸ ai discepoli¸ a tutte due¸ solo agli uni o solo agli altri¸ contiene però una lunga Beatitudine: “Beati voi¸ quando gli uomini vi odieranno¸ quando vi metteranno al bando¸ vi insulteranno disprezzando il vostro nome come infame a causa del Figlio dell’Uomo”. Questo è ciò che riguarda la vita del martire. Il martire è colui il quale dice: “Adesso basta” anche se tutti lo deridono¸ segue il consiglio di Gesù anche quando il mondo va tutto in senso contrario. Di nuovo il martire appare come la persona che ha una personalità e che non va dietro al verso del legno¸ come si dice in dialetto¸ che non segue l’andazzo comune¸ che non è semplicemente un imitatore della vacuità della vita del ricco e¸ per questo¸ viene criticato ma ha il coraggio di opporsi. E’ la descrizione della persona che è piena di dignità. Il mondo dei primi secoli rimaneva meravigliato dal fatto che di questa capacità di essere persone padrone di sé era capitato anche a dei giovani e a delle fanciulle. La cultura maschilista del tempo¸ che ancora si vede nella preghiera¸ era cosí ingenuamente maschilista da dire¸ c’è anche nel prefazio¸ che: “Doni ad inermi la forza del martirio¸ che anche a deboli fanciulle hai dato di riportare la palma del martirio”. E’ il vecchio concetto della fanciullina che non sa resistere. Questo è il modo con cui il vecchio maschilista dei secoli III¸ IV e V esprimeva questo prodigio. Noi non scriveremmo più una preghiera in questi termini¸ loro¸ però¸ rimanevano incantati da questo che¸ nella loro cultura popolare¸ sembrava impossibile “Perfino una bambina è capace di resistere a questi idoli del potere” ed allora il martire diventava segno di questo dono della libertà e della dignità che il cristianesimo sapeva dare a tutti.