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Omelia BATTESIMO DEL SIGNORE del 10 Gennaio 2010

Nella tradizione antica il Battesimo faceva parte del ciclo della Manifestazione del Signore insieme all’Epifania ed alle nozze di Cana dove Gesù si manifesta capace di trasformare l’acqua in vino¸ tant’è vero che nella liturgia dell’Epifania¸ che adoperiamo ancora noi preti nella Liturgia delle Ore¸ vengono sempre ricordati insieme tutti e tre gli avvenimenti. Addirittura c’è una famosa antifona¸ che ho già citato anche l’anno scorso¸ nella quale si dice: “Il Figlio di Dio è venuto a prendere gli uomini come uno sposo prende con sé la sposa¸ allora dall’oriente vengono i re e portano doni e tutti si rallegrano e festeggiano con l’acqua trasformata in vino”. E cosí¸ in questa maniera¸ se volete poetica¸ si presenta la fusione dei tre momenti: la manifestazione del bambino riconosciuto importante dai magi dell’oriente¸ la autopresentazione di Gesù e la voce divina che spiega chi è nel momento del Battesimo e il primo gesto¸ che è questo gesto di solidarietà e amore con tutti gli uomini¸ simile al matrimonio. E’ un modo strano¸ direi arcaico se volete¸ di mescolare insieme i fatti¸ al di là della loro sequenza storica¸ per vedere in essi una specie di rivelazione del mistero che dovrebbe rispondere alla domanda: chi è veramente Gesù e che cosa c’è in Gesù che manifesta veramente il disegno di Dio sulla nostra vita¸ sulla nostra storia? Cos’è venuto a fare? Che cosa c’è di caratteristico¸ di proprio¸ di autentico nella venuta di Gesù? E loro cercavano di rispondere con tutto questo tipo si domande: è colui che ha il potere supremo però si presenta nella forma umile del bambino. E’ colui il quale è santo e giusto ma¸ insieme con i peccatori¸ accetta di essere battezzato. E’ colui che supera i limiti del giudaismo e apre a tutto l’universo la salvezza. Sono stati tutti tentativi di leggere¸ attraverso le righe sella simbologia evangelica¸ la vera identità di Gesù e¸ soprattutto¸ la vera caratteristica della sua opera di salvezza. Perché dobbiamo considerarlo il salvatore definitivo? Quale è la sua caratteristica essenziale? E direi che¸ per noi che siamo meno abituati a questo gioco di simboli¸ a questa specie di visione sostanzialmente mitologica delle cose¸ direi che la cosa si può riassumere in due polarità: la potenza e la debolezza¸ la forza e la tolleranza. Se volete¸ si possono perfino usare due parole: la potenza e l’amore. Giovanni il Battista dice che lui battezza con acqua ma dopo di lui verrà uno che battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Quando Gesù ha battezzato in fuoco? Giovanni il Battista dice che viene uno più forte di lui. Dov’è la forza di Gesù? Ecco che appare il contrasto tra l’attesa della potenza¸ dell’energia¸ della forza¸ del dominio¸ della vittoria¸ del trionfo che è presente¸ per esempio¸ nella prima lettura¸ che non so perché hanno scelto per il Battesimo di Gesù perché è la stessa che si legge nelle prime domeniche d’Avvento¸ anche nella prima lettura c’è la compresenza di queste due cose: la potenza straordinaria¸ le valli innalzate¸ il monte abbassato¸ il terreno accidentato in piano. E’ quella lettura che nella prima domenica di Avvento viene interpretata metaforicamente¸ con le parole del Battista¸ dicendo che questo livellamento deve accadere non sulle montagne¸ esteriormente sulle strade ma nella coscienza delle persone le quali devono preparare la via per far entrare il Signore nel loro cuore. Se si accantona questa interpretazione metaforica¸ la prima lettura suona come questa specie di grande potenza mitica¸ una specie di titani che buttano giù colline¸ riempiono le valli e si fanno strada sulla quale gli esiliati possono tornare da Babilonia. Vengono annunciate le liete notizie a Gerusalemme: ecco la potenza¸ la forza¸ la vittoria¸ il trionfo però in fondo c’è anche l’altra componente¸ la tenerezza. “Come un pastore fa pascolare il gregge” ed è a metà strada perché anche il pastore comanda però “Porta gli agnellini sul petto¸ conduce dolcemente le pecore madri”. E’ questa continua alternanza fra la forza potente¸ e qualche volta addirittura bruta¸ e la tenerezza e la dolcezza. Il Battista si aspettava una esplosione di forza: “Più forza di me… Fuoco…”. Gesù è venuto in un’altra via¸ la via della debolezza¸ la via della mitezza: “Sono mite e umile di cuore. Il mio giogo è leggero”. E’ il crocifisso che si lascia abbattere. La grande tesi del N.T. sembra essere proprio questa: la vera forza sta nella pazienza¸ tolleranza¸ debolezza¸ costanza. E’ la resistenza di saper continuare¸ la fatica¸ la sofferenza¸ il dolore¸ l’attesa¸ la speranza. E’ la forza che si manifesta come costanza non è la forza che si manifesta come straordinaria soluzione dei problemi mediante un atto magico. Ed è interessante vedere come questa polaritภche non si può cancellare un elemento a spese dell’altro¸ convivono continuamente nella sensibilità religiosa del cristianesimo¸ anche se è vero che l’opzione preferenziale è per l’aspetto di debolezza¸ sopportazione¸ pazienza. E’ la croce. Il più forte è colui che accetta il castigo¸ il più forte è colui che sopporta. La forza consiste nel sopportare. La forza è uguale alla pazienza. La forza d’animo è il perdono e la mitezza. Allora¸ se si accetta questa ipotesi¸ la figura di Cristo che si fa battezzare è la figura di colui che viene umiliato e la voce divina dice: “Ecco il mio figlio¸ l’amato¸ nel quale pongo la mia compiacenza”. Cioè Dio dice: “E’ lui che mi piace¸ quello che mi va bene è lui che non esercita il potere¸ il dominio¸ il braccio disteso ma che¸ eventualmente¸ è come il pastore che porta gli agnellini e va adagio perché le pecore incinte fanno fatica a camminare”. E la strada non è stata resa diritta ma rimane una strada piena di ostacoli con le montagne e gli avallamenti e bisogna andare piano. Che cosa è apparso di Dio nella persona di Gesù? Quale tipo di potenza? Direi che l’opzione fondamentale dei testi base del N.T. è questa: la potenza di Dio non appare come potenza¸ ma appare come pazienza nella debolezza¸ resistenza nella fatica. Il salmo responsoriale è curioso perché è uno dei salmi più interessanti della Bibbia¸ uno dei pochi nei quali si presenta Dio come il mitico creatore delle forze dell’universo. La lettura liturgica legge soltanto alcune strofette iniziali e poi quelle finali però è interessante come uno dei modi con cui l’A.T. esalta¸ invece¸ la potenza. E’ mitologico questo salmo. “Sei rivestito di maestà e di splendore¸ avvolto di luce come di un manto. Tu che distendi i cieli come una tenda¸ costruisci sulle acque le tue dimore fai delle nubi il tuo carro¸ cammini sulle ali del vento”. Questa è mitologia bella e buona¸ infatti molti ritengono che sia un salmo cananeo adottato dagli ebrei. “Fai dei venti i tuoi messaggeri¸ dei fulmini i tuoi ministri”¸ come Giove. Poi¸ anche qui¸ c’è il passaggio¸ come nella prima lettura: “Quante sono le tue opere¸ le hai fatte con saggezza. Tutti da te aspettano che tu dia loro il cibo a tempo opportuno. Lo provvedi¸ essi lo raccolgono¸ apri la tua mano¸ si saziano di beni”. E’ il pastore che dà da mangiare ai suoi animali e c’è il continuo flusso e transito tra la potenza e la tenerezza¸ la forza che stupisce e che spaventa¸ l’amore che conforta e che consola. Sono le polarità caratteristiche¸ già presenti nella tradizione ebraica¸ che accompagnano la presentazione di Cristo nel mondo¸ come dicevo all’inizio¸ facendo prevalere l’aspetto della forza nella debolezza. Se si vuole semplificare la storia del pensiero cristiano successivo ai tempi del N.T. ¸ si può dire che questa polarità esiste nel continuo raffronto e nella continua alternanza tra croce e risurrezione: la teologia della croce¸ la teologia della gloria sono due polarità ineliminabili. Alle volte c’è la tendenza a dare peso maggiore alla gloria e¸ allora¸ ritornano tutti gli elementi del potere¸ compresa la componente che li accompagna che è sempre una componente di tipo mitico – magico. Allora diventa quello che cammina sulle nubi¸ quello che scavalca i monti¸ gli astri. E’ quello dell’apocalittica¸ quello che vince¸ manda giù le catastrofi¸ fa cadere le stelle dal cielo. E’ la polarità della forza creatrice e di risurrezione. Se ci fosse questa sola sarebbe pura mitologia. L’altra¸ quella della croce¸ è invece una forza diversa¸ quella della logica¸ della riflessione¸ della pazienza¸ dell’interpretazione delle cose¸ che è quella più vicina alla sensibilità dell’uomo occidentale che pensa¸ ragiona¸ cerca la veritภcerca di capire i segreti della natura. E’ la componente tipica del realismo della vita umana il quale sa che tutto si ottiene per gradi¸ con fatica¸ con insuccessi e la forza si manifesta appunto in questa costanza continua. La seconda lettura¸ per esempio¸ è tutta orientata in questo senso¸ ci insegna a rinnegare l’empietภi desideri mondani¸ a vivere in questo mondo con sobrietภcon giustizia¸ con pietà. Ha dato sé stesso per noi¸ per riscattarci da ogni iniquitภformare un popolo puro che gli appartenga¸ pieno di zelo per le opere buone”. Questa è la componente croce¸ la componente umiltภmansuetudine¸ pietภzelo. Noi viviamo continuamente attratti da questi due poli. Direi che è rimasta già nel N.T. e nella teologia posteriore quella specie di soluzione che considererei semplicistica adesso la povertภalla fine ci sarà la potenza. Cosí¸ come quando nel Credo¸ di cui ho già elencato le imperfezioni: “Verrà nella gloria”¸ perché¸ quando è venuto nella croce¸ invece¸ è venuto in che cosa? E’ venuto certo nell’umiltà e nella povertภma dove sta la vera gloria? La gloria sta nella vittoria finale o la vera gloria sta nella capacità di immedesimarsi nella sofferenza delle creature? La gloria sta nel pastore che butta giù le colline o in quello che pian piano fa la discesa e la salita con le pecore che vanno adagio? Dove sta la gloria? Sta nel compatire¸ cioè nel sopportare insieme¸ o sta nello stravolgere tutto con una forza che è distruttiva e di ricostruzione? Semplicistico è dire che adesso è il momento della pazienza in attesa di quello finale della gloria. E’ un tema che si infila dappertutto¸ anche nella seconda lettura. Prima ho saltato una frase “…. nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria”¸ come se la gloria si manifestasse soltanto nell’ipotetica fine¸ quando le sofferenze non ci sono più. Quello che noi non abbiamo ancora capito e non sappiamo è: che cosa ha voluto essere per noi Dio? Quello il quale ci dice: “Portate pazienza¸ non ci sono dove voi soffrite¸ apparirò nella gloria” o invece quello che dice: “Lasciate perdere la speranza nella gloria¸ non ci sarà nessuna gloria¸ la vera gloria è la dignità di vivere la fatica della vita con intelligenza¸ con senso del dovere¸ come ha fatto Gesù in attesa della crocifissione. Lui è stato glorioso quando è morto. E la risurrezione? Le due polarità sono inclinabili e noi siamo continuamente sballottati dall’una all’altra ed il cristianesimo è questa fatica di bilanciarsi. Dov’è la vera presenza di Dio? Bisogna riconoscerla nascosta nel soffrire e non bisogna illudersi che consista soltanto nella gloria. Ci sarà mai una gloria senza sofferenza o questo è un mito che non si realizzerà mai?