Questa domenica è stata dedicata alla Sacra Famiglia e serve anche come giornata per la riflessione e la preghiera sulla famiglia ma non sempre le letture coincidono con questa intenzione di preghiera e¸ in particolare¸ in questo anno nel quale si legge il vangelo di Luca¸ sia il vangelo¸ sia le altre letture direi che sono estranee al tema della famiglia¸ quindi limitiamo il pensiero della famiglia ai momenti di preghiera e cerchiamo¸ invece¸ di vedere cosa ci possono dire le letture rispettando il loro contenuto al di là del titolo dato alla domenica. Perché¸ in realtภquello che Luca vuol farci capire attraverso questo episodio del bambino che a 12 anni incontra i maestri del tempio (hanno fatto bene a cambiare la parola¸ prima c’era dottori e io avevo già criticato in un’omelia di qualche anno fa l’aspetto sarcastico ed ironico che c’era nell’usare la parola dottori perché¸ poi¸ si finiva in tutte le prediche a dire che erano dottori ma finti¸ falsi dottori perché il bambino Gesù sapeva coglierli in fallo e c’era quella piccola puntina di sarcasmo anti ebraico che è un vizio che non riusciamo a toglierci)¸ giustamente¸ la nuova traduzione¸ vedete che sono stati bravi¸ ha tradotto maestri che è anche più corretto perché da noi il dottore o è un medico o è un titolo onorifico immeritato che si dà a tutti¸ perché sono ben pochi quelli che non meritano il titolo di dottore¸ e¸ quindi¸ i maestri. Allora¸ quello che Luca vuole presentarci è uno dei modi con cui intende descrivere la dedizione di Gesù al suo compito di farci conoscere la volontà di Dio su questa terra. E’ lo stesso discorso che abbiamo incominciato nella quarta domenica di Avvento¸ quando¸ leggendo il testo della Lettera agli Ebrei¸ che ha parecchi punti in comune con il vangelo di Luca¸ ci veniva presentato Gesù come colui che entra nel mondo¸ si riveste di un corpo “… per fare la tua volontà” perché nella parola del salmo aveva letto “Ecco¸ io vengo per fare la tua volontà”. Quando Gesù a 12 anni¸ secondo la tradizione ebraica¸ diventa “dedicato alla torah” – l’ebraico usa sempre la parola famiglia in genere per indicare “appartenente a…¸ socio di…¸ iscritto a …”¸ allora si dice “bar mizvar”: figlio del comandamento. In realtà vuol dire che a 12 anni il bambino diventava responsabile¸ capace da solo di osservare il comandamento di Dio quindi era dedito a Dio¸ era appartenente a Dio con libertà di adulto. E’ una cerimonia che ancora si svolge nel mondo ebraico a 12 anni. La si può fare in casa o nel villaggio dove si abita¸ qualcuno solennemente andava a Gerusalemme a celebrare questa festa. Secondo Luca¸ Maria e Giuseppe andavano tutti gli anni a Gerusalemme e questo significa che erano benestanti¸ secondo Luca¸ si intende¸ perché a quel tempo non tutti potevano permettersi un viaggio a Gerusalemme¸ sia pure di non molti chilometri¸ ma che¸ in ogni caso¸ esigeva certamente delle disponibilità finanziarie. Ma può anche darsi che sia Luca che inventa la notizia che andavano tutti gli anni. “Si recavano ogni anno a Gerusalemme”. Allora Gesù diventa il vero ebreo consapevole dei suoi doveri¸ rispetta la struttura del tempio... Più tardi apparirà un suo contrasto con il tempio¸ quando alla fine del suo ministero¸ secondo i vangeli sinottici¸ farà un gesto simbolico¸ puramente simbolico intrecciando una piccola frustina di cordicelle per fare¸ ripeto¸ un gesto appena¸ appena simbolico¸ rovesciando qualche cestello di monete ed affermando che la casa di Dio deve essere casa di preghiera e non casa di mercanti che vendono oggetti da sacrificare. Ma¸ probabilmente¸ specialmente nel vangelo di Luca¸ anche quel gesto è presentato con molta delicatezza¸ come un segno profetico per far capire che il tempio non serve più¸ non serve più perché è venuto lui¸ il quale parla di Dio in maniera aperta¸ direi al di là e oltre la simbologia complicata del santuario. Parla in maniera umana di quello che Dio chiede agli uomini. Non direi che sia esatto dire¸ come talvolta c’è nei testi di Giovanni¸ che Gesù è venuto a rivelarci chi è Dio. Del resto avete sentito che nella seconda lettura¸ probabilmente lo stesso autore del quarto vangelo fa capire che Dio per noi è ancora un mistero¸ quando si sarà manifestato “saremo simili a lui perché lo vedremo cosí come egli è”. Quindi¸ attualmente¸ noi non sappiamo nulla di Dio e Gesù non ci ha detto chi è veramente Dio¸ ci ha detto che cosa Dio vuole da noi¸ il che è un po’ diverso. “ci ha fato conoscere” come diceva il salmo della quarta d’Avvento “qual è la sua volontà”¸ è come se ci avesse dato un nuovo comandamento¸ infatti continua Giovanni a dire nel suo vangelo “Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni¸ gli altri”. Allora¸ mi pare¸ che il primo pensiero che possiamo ricavare da questi racconti e dalla lettura della Prima Lettera di Giovanni è questo: Gesù è venuto per farci conoscere quello che Dio desidera che noi facciamo¸ quello che Dio vuole da noi. Indirettamente¸ in questo suo desiderio¸ in questa sua manifestazione di volontภnoi possiamo anche intuire qualcosa di più sulla natura di Dio¸ sull’essere di Dio¸ ma Dio rimane un mistero inconoscibile per il momento che noi viviamo nella speranza di poter conoscere di più se e quando Egli si sarà manifestato. E i testi della Scrittura ci fanno capire che¸ a quel punto¸ capiremo anche meglio che cosa siamo noi¸ perché ci siamo¸ perché ci è stata data la vita¸ quel senso della vita che¸ dicevo anche ieri¸ l’uomo di oggi continuamente e giustamente ricerca¸ forse lo possiamo soltanto intuire in parte. Gesù ci aiuta a dare un significato e un po’ più di senso a tutto quello che accade¸ ma il senso vero¸ profondo del perché il tutto esiste e perché noi esistiamo all’interno di questo tutto¸ deboli e nello stesso tempo capaci di cose grandiose¸ contraddittorie¸ capaci di immaginare cose grandi e buone¸ ma nello stesso tempo anche capaci di tradire tutto per debolezza o per cattiveria. Che senso ha tutto questo? Molto si capisce grazie a Gesù¸ ma non tutto. Allora¸ direi che questa prudenza¸ questa umiltภquesta delicatezza nell’interpretare i doni che Dio ci ha fatto in Cristo è il primo risultato della riflessione di oggi¸ e la figura di Gesù che va nel tempio¸ parla con i maestri¸ domanda¸ interroga¸ riceve risposte¸ lo interrogano¸ dà risposte¸ non finisce mai questo incontro¸ non c’è una conclusione in cui tutto è stato chiarito. Allora anche questa diventa per noi una lezione di vita. Gesù è venuto¸ ci ha aiutato ad immaginare qualcosa di Dio che è vero¸ è giusto ma non è tutto. Nello stesso tempo ha suscitato nuovi problemi¸ allora ci ha resi capaci di continuare a ricercare¸ ad interrogarci. Anche altre volte io ho continuato a dire che fede significa essere sicuri dell’importanza delle aperture religiose che Gesù ci ha offerto e fede significa essere contenti di questo e coltivare questa ricerca: pensare¸ domandare¸ pregare¸ interrogare¸ discutere. Questa è la fede. La fede non è chiudere il problema. Quando Gesù¸ sempre se prendiamo sul serio come parabola¸ come racconto didattico il vangelo di Luca¸ quando Gesù torna a Nazareth¸ lo possiamo immaginare malcontento di tornare a casa perché gli sarebbe piaciuto continuare a discutere con i maestri¸ nello stesso tempo è convinto che¸ anche se stava a Gerusalemme¸ non avrebbe concluso del tutto le cose. Torna a casa e ci pensa per conto suo perché è il Verbo di Dio che sta vivendo nei limiti di una intelligenza umana e¸ come dice l’ultima frase¸ “Cresce in etภin sapienza e in grazia”. Sapienza¸ età e grazia davanti a Dio e davanti agli uomini. E se il Figlio di Dio matura crescendo perché pensa¸ osserva¸ ragiona¸ discute¸ capisce¸ nella quiete della sottomissione ai suoi genitori che¸ invece¸ come avete notato¸ capiscono molto meno di lui. “Essi non compresero ciò che aveva detto loro e Maria conservava tutte queste cose nel suo cuore” perché cercava di capire. Ora mi pare che sia molto illuminante e adatta¸ all’inizio di un nuovo anno¸ questa concezione modesta¸ moderata¸ umile: la fede come coraggio di ricerca¸ la fede come riconoscimento che ci sono state date delle cose utili su cui pensare e riflettere¸ la fede che è un cammino. Perché¸ come dice la seconda lettura¸ “Noi¸ fin d’ora¸ siamo figli di Dio¸ ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato”. E anche questo testo dice chiaramente: il mondo non capisce niente¸ il mondo non ci conosce perché non ha conosciuto lui¸ ma anche noi¸ che siamo figlio di Dio¸ e poi ribadisce: “E lo siamo realmente!”¸ però anche noi non sappiamo bene¸ non capiamo bene tutte le cose. “Quando sarà manifestato lo vedremo cosí come egli è”. Questo è il limite e¸ nello stesso tempo¸ la realtà autentica della fede. Tutte le volte che nella sua storia qualcuno all’interno della Chiesa ha creduto di aver trovato la soluzione sulla quale non si doveva più discutere è stata una tragedia¸ della quale¸ poi¸ si è dovuto chiedere scusa. “Tu sbagli¸ verrai bruciato come eretico!”. Non sarebbe mai successo questo se si fosse meditato un po’ di più¸ con maggior attenzione a questi testi della Bibbia. Siamo sulla strada giusta ma andiamo avanti a passi molto tenti¸ ma bisogna essere soddisfatti¸ è bello tutto questo. E c’è anche un altro pensiero nella seconda lettura che non è presente¸ se non in maniera molto sfumata¸ nel vangelo. Forse c’è un piccolo cenno nella prima lettura. Gesù ci ha dato anche una possibilità di sentirci in accordo con Dio e qui bisognerebbe capovolgere l’ordine delle frasi. “Abbiamo fiducia in Dio e qualunque cosa chiediamo la riceviamo da lui perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito” e l’ordine della frase va capovolto nel senso che noi riceviamo quello che chiediamo osservando i comandamenti e facendo quello che gli è gradito¸ allora si crea la pace con Dio. “Vi do la pace non come la dà il mondo¸ la pace¸ la gioia”. E tutto questo sottintende che noi accettiamo quello che Gesù è venuto a dirci¸ come dicevo all’inizio¸ Gesù è venuto a dirci quello che Dio vuole da noi. Detto in altre parole¸ Gesù è venuto a chiamarci¸ a darci una vocazione¸ è venuto a dare a noi l’appartenenza al suo comandamento¸ come il Gesù dodicenne¸ come la concezione ebraica dell’addetto al comandamento. Il sottomesso al comandamento¸ il figlio del comandamento¸ come si dice in aramaico¸ il bar mizvar. Quando uno è figlio del comandamento¸ come è stato Gesù¸ allora Dio gli diventa in questa luce Padre che ascolta le sue parole. Allora la frase di Giovanni significa: quando osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito¸ qualunque cosa chiediamo la riceviamo. Ma se non c’è questa pace¸ questa coincidenza di desideri¸ di valutazioni¸ allora¸ per forza¸ la preghiera viene rifiutata. Questo è il suo comandamento¸ che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo¸ e poi si aggiunge l’altra parola¸ che pure è altrettanto importante e che forse non ha neanche bisogno di essere sottolineata perché è più spontaneamente capita da tutti: ci amiamo gli uni¸ gli altri secondo il precetto che ci ha dato. E non bisogna mai dimenticare¸ anche se oggi si tende¸ addirittura¸ non a dimenticarlo ma a contrapporvi un’altra concezione¸ bisogna incominciare ad amarci tra di noi che partecipiamo della stessa fede. La tesi caratteristica del quarto vangelo e della Prima Lettera di Giovanni che il mondo verrà aiutato se noi ci amiamo prima di tutto fra di noi¸ non incominciando dall’amore universale¸ che rischia di essere generico¸ di appiattire tutto in formalità ipocrite¸ ma quando ci amiamo veramente tra prossimi¸ tra vicini. Ecco¸ qui può entrare il pensiero della famiglia¸ il pensiero dell’amicizia¸ del gruppo. La Chiesa è prima di tutto una Chiesa locale¸ la Chiesa è questo insieme di persone che si trova qui¸ dobbiamo volerci bene prima di tutto tra di noi perché il mondo deve ricevere un’esperienza concreta¸ non di generico approccio positivo che è troppo poco¸ ma di vera e propria condivisione¸ mutua comprensione. E’ chiaro che anche gli altri si devono aiutare¸ incoraggiare¸ sostenere¸ rispettare¸ promuovere ma l’amore è qualcosa di più. L’amore è proprio quella cura per cui ci si sacrifica anche per l’altro. E questo non lo si può fare per tutti¸ deve trovare una sua manifestazione concentrata ed evidente nella realtà della Chiesa. Tutto questo oggi suona come se fosse una specie di settarismo¸ una specie di privilegiata situazione dell’amarci tra di noi. Se fossimo ubbidienti alle parole del vangelo dovremmo invece ubbidire a questo criterio: incominciate ad amarvi fra di voi¸ incominciate a creare dei luoghi dove si sta bene perché ci si vuol bene. L’aggregazione avviene per una specie di osmosi che esige¸ però¸ che ci sia un nucleo forte e la ragione vera di questo è l’ultima frase della seconda lettura: “In questo conosciamo che Egli rimane in noi¸ dallo Spirito che ci ha dato”. Questo è un altro tema sul quale bisognerebbe avere la possibilità di parlare più a lungo¸ cosa che faremo altre volte. Bisogna rendersi conto che il vero dono che Gesù è venuto a portarci è questa invisibile¸ interiore presenza di un qualcosa di divino che agisce all’interno delle nostre coscienze. Laddove non c’è questa certezza che ci può essere veramente un qualcosa di divino che in maniera invisibile¸ delicatissima agisce all’interno delle nostre coscienze¸ in altre parole dove non c’è preghiera¸ dove non c’è meditazione¸ dove non c’è consapevolezza di quella che una volta si chiamava la vita interiore e che Paolo nelle sue lettere chiama l’uomo interiore¸ l’uomo interiore è l’uomo che ascolta lo Spirito di Dio¸ l’uomo interiore è quello che c’è in Maria che conserva queste cose nel suo cuore. E’ il nome dello Spirito. Se non c’è questo¸ allora tutto diventa superficiale¸ indistinto. Il cristianesimo diventa una serie di dottrine discutibili¸ una serie di comandamenti morali¸ non sempre efficaci¸ e diventa un peso da sopportare. Ecco¸ quindi¸ allora che abbiamo cercato di raccogliere dalle letture dei suggerimenti che possono anche servire come propositi per l’anno che incomincerà. |