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Omelia IV AVVENTO C del 20 Dicembre 2009

Nei mesi di ottobre e novembre abbiamo sempre letto come seconda lettura brani della Lettera agli Ebrei e solo qualche volta abbiamo potuto fare qualche cenno di spiegazione. Anche oggi la seconda lettura è presa dalla Lettera agli Ebrei e il tema di tutta la Lettera è il superamento da parte di Gesù del culto sacrificale e¸ in particolare¸ del culto del tempio. Ma il testo del capitolo 10¸ da cui è tratto il brano della seconda lettura¸ si passa anche alla preparazione del mistero del Natale perché contrappone il rituale dei sacrifici a quello che invece è avvenuto nella persona di Gesù¸ il quale¸ secondo l’autore della Lettera agli Ebrei¸ entrando nel mondo¸ cioè incarnandosi¸ come diciamo noi¸ avrebbe applicato a sé parole dell’A.T.¸ che sono tratte in gran parte da un salmo nel quale già si dice che Dio non è interessato e non gradisce sacrifici¸ offerte¸ soprattutto quando questi sacrifici e queste offerte hanno la pretesa di rimediare al peccato cioè di restaurare il giusto rapporto degli uomini con gli altri e con le cose perché se il sacrificio ha come scopo di rendere un omaggio simbolico a Dio può anche avere un certo senso¸ ma quando pretende di poter intaccare la realtà morale¸ allora rivela completamente la sua sproporzione¸ la sua incapacità. E allora prende una frase dell’ A.T.¸ dove appunto già si intuiva che la religione sacrificale non aveva un gran senso senza però avere una alternativa. Questo è il problema. Che cosa si sostituisce alla ritualità del sacrificio? Si sostituisce¸ che so¸ una moralità di tipo filosofico? Questo era forse possibile pensarlo a partire dal III – II secolo avanti Cristo nel mondo di lingua greca a cui si è aggregato quello romano di lingua latina. Difficilmente nel vicino oriente sarebbe stato possibile superare questa tradizione millenaria sul valore dei sacrifici. Ecco perché Gesù appare¸ anche all’autore della Lettera agli Ebrei¸ come una novità inaspettata non facile da accogliere perché al posto dei sacrifici¸ citando un altro versetto del salmo¸ lui dice: “Mi hai preparato un corpo”¸ e allora in un misterioso libro: “Di me sta scritto nel rotolo del libro”¸ ci si domanda a che cosa alludesse il salmista quando citava questo misterioso rotolo del libro cioè se parla della Sacra Scrittura¸ poniamo il Deuteronomio¸ oppure se parla di un ipotetico decreto divino con la vocazione di ogni persona. E’ un piccolo particolare difficile da ricostruire¸ può anche essere una semplice metafora¸ e c’è scritta una cosa: “Tu mi dai un corpo perché io faccia la tua volontà”. E allora la persona di Cristo appare all’autore di Ebrei come colui che ha introdotto con la massima chiarezza questo capovolgimento della vita religiosa nel suo insieme. La vita religiosa non è più una ritualità simbolica¸ anche se può ancora mantenere dei simboli¸ però non è più una ritualità simbolica ma è un fatto reale. C’è un uomo che compie la volontà di Dio e questo è ciò che Dio vuole e Gesù è la persona che con tutto il suo essere ubbidisce a Dio e corrisponde totalmente al progetto che Dio ha su di lui. Questo è il compiere la volontà. E’ chiaro che l’autore di Ebrei è convinto che quello che accade nella persona di Gesù accade soltanto in pienezza nella persona di Gesù perché nessun altro uomo¸ dati i limiti che segnano la vita di ogni umanitภla possibilità di errore¸ la debolezza fisica e morale¸ nessuno è capace di compiere l’indescrivibile e inimmaginabile volontà di Dio¸ nessuno è all’altezza di Dio. Tutti si possono sforzare di compiere la sua volontภe in parte ci riescono¸ alcuni ci riescono più di altri¸ ma lo stesso ebreo è convinto che nessuno conosce con pienezza qual è la volontà di Dio. La Scrittura dice molto¸ aiuta¸ dà dei suggerimenti ma rimangono sempre delle zone d’ombra. Allora Cristo viene visto come un grande dono di Dio fatto all’umanità che ha sbaraccato tutto quel complesso di ritualità che tendeva anche a distogliere l’attenzione dall’elemento centrale¸ che è appunto la persona di Dio¸ e ha compiuto la volontà di Dio. I primissimi cristiani hanno visto in Gesù qualcosa che non aveva assolutamente precedenti che fossero allo stesso suo livello e questo¸ soprattutto¸ l’hanno capito quando hanno interpretato la sua morte di croce come la realizzazione di questa disponibilità a fare la volontà di Dio. Loro nel crocifisso hanno visto il corpo che diventa offerta totale a Dio. Quando hanno interpretato la crocifissione di Cristo non come un martirio coraggiosamente sopportato ma che¸ tuttavia¸ trova nella persona l’opposizione alla morte¸ ma quando hanno visto in Gesù Cristo una libera¸ desiderosa offerta di dare tutto sé stesso a Dio¸ allora hanno capito quello che l’autore di Ebrei cerca di dire nel suo testo: “Non hai voluto sacrifici di offerta¸ un corpo mi hai preparato”. Cioè¸ il punto che cerco di illustrare¸ ma non mi è facile spiegarmi come vorrei¸ è che nel mistero della morte e della risurrezione¸ cioè¸ quando loro hanno avuto il coraggio di credere che il corpo di Cristo era divinizzato nella risurrezione¸ che il corpo di Cristo era un entrare della sua materialità nella vita stessa di Dio¸ perché a Dio aveva dato completamente tutto sé stesso¸ non soltanto con la predicazione¸ la bontภl’indulgenza¸ l’esempio ma soprattutto accettando¸ come da lui stesso voluta¸ la morte di croce. Come dice il quarto vangelo: “E’ Gesù che dà la sua vita¸ nessuno gliela toglie. La dà perché lui vuole darla”. Allora attraverso questa visione del Cristo come superiore¸ diverso¸ come una persona che è andata oltre tutti gli altri esempi di dedizione¸ bontภvita religiosa che essi conoscevano¸ quando hanno visto che in Cristo si identifica la sua corporeità con la volontà di essere di Dio¸ di appartenere a Dio¸ notate che il testo dice: “Ecco¸ io vengo per fare la tua volontà cosí egli abolisce il primo sacrificio per costituire quello nuovo. Mediante quella volontà siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù una volta per sempre”. Questa frase è quello che io cercavo di dire presentando la crocifissione come voluta da Gesù per sottomettersi totalmente ad un volere di Dio e perdersi in Dio. L’offerta del corpo una volta per sempre realizza questa volontà di non essere sé stesso ma di essere Dio. E’ una specie di trasfusione¸ di assorbimento che Cristo desidera fare della sua corporeità umana nell’essere stesso di Dio. Cosí è stata percepita in questo ambiente nel quale nasce il testo di Ebrei la crocifissione di Cristo. Per cui alla domanda che cosa è stato Gesù? Chi era Gesù? Avrebbero potuto rispondere¸ cerco di imprestare io le parole¸ uno che voleva essere Dio¸ uno che pensava soltanto ad immergersi in Dio¸ uno che concepiva la sua esistenza come una totale immersione in Dio¸ uno che non voleva essere sé stesso ma voleva essere di Dio in tutta la sua vita. Ecco¸ io volevo dire che è questa convinzione¸ che viene dalla riflessione sulla croce di Cristo¸ che nasce l’idea da sempre perfino nella sua nascita¸ egli viene da Dio per cui attraverso la croce a lui ritorna. Cioè l’idea di una nascita prodigiosa di Gesù Cristo¸ concepito non da uomini ma dallo Spirito di Dio¸ non nasce come una informazione confidenziale che Maria avrebbe raccontato a san Luca o a qualcun’altro¸ ma nasce come retrospezione¸ come proiezione all’indietro al momento dell’origine di quello che Cristo ha dimostrato di essere al termine della sua vita. Quando¸ cioè¸ loro hanno visto nella morte di Cristo una morte che materialmente assomiglia alla morte di molti martiri ma che in realtà è diversa per una volontภperché quella morte per Gesù Cristo realizza il sogno della sua vita: perdersi in Dio¸ buttarsi dentro l’essere di Dio¸ smondanizzarsi per essere totalmente di Dio e questo è ciò che mette in luce soprattutto il vangelo di Giovanni. Quando loro¸ riflettendo su come Gesù era morto¸ hanno intuito che la definizione della sua persona doveva essere diversa dalla normale definizione che si dà di un uomo. L’uomo è colui il quale nasce da altri uomini¸ fa parte di una catena di esseri umani¸ nella sua vita inserisce una presenza di Dio che è tuttavia un accompagnamento¸ un sostegno. Per tutti gli uomini Dio è al massimo una presenza concomitante ma quello a cui tutti noi aspiriamo è la realizzazione di noi stessi e la nostra tendenza è che Dio ci può aiutare in questa realizzazione ma in fondo vogliamo essere noi. Oserei dire¸ se riesco a spiegarmi¸ che la speranza della risurrezione¸ che molti di noi coltivano¸ rischia di essere esattamente l’opposto di quello che Gesù è stato. Noi immaginiamo che il nostro risorgere sia la ricostituzione della nostra piccola individualità. “Oh¸ sono cosí bravo¸ cosí importante¸ cosí degno che Dio non può abbandonarmi nel nulla. Deve risorgermi perché io sono importante¸ nel mio piccolo ho la dignità”. Penso che Gesù abbia pensato proprio l’opposto: “Io non sono niente¸ Dio è tutto”. L’annullamento di sé in Dio. E penso che i primi cristiani abbiano capito che in Gesù l’eventuale speranza o attesa di continuare ad esistere non era l’attesa di continuare ad esistere nella sua autonoma individualitภma identificato totalmente con Dio¸ usando la vecchia immagine “Come ferro che nella fornace si confonde con il fuoco e si scioglie in esso”. Questa è la volontà che l’autore di Ebrei ha visto nella croce di Cristo e¸ con lui¸ tanti altri credenti della prima ora. E quando hanno capito questo¸ hanno concluso: “Allora la sua nascita dobbiamo descriverla¸ dobbiamo immaginarla¸ dobbiamo raccontarla come un essere fatto da Dio”. E per questo è nato il modo di presentare l’origine di Gesù come un modo innaturale. Non è figlio di un uomo e una donna che si sono amati sessualmente come tutti gli altri¸ è stato ospitato nel seno della madre ma è Dio che lo ha fatto esistere perché il modo con cui lui è tornato a Dio come essenza stessa del suo essere ci svela che da Dio è uscito per venire in mezzo a noi. E cosí¸ attraverso questo ragionamento che può sembrarvi contorto è nata la consapevolezza “Veniva da Dio”¸ come abbiamo capito quando abbiamo visto il modo con cui si è buttato dentro Dio sfruttando la morte come il sogno della sua vita¸ la grazia in cui confidava di poter essere trasformato in Dio. La visione del risorto nelle apparizioni è semplicemente questo: aver capito che il morire di Gesù ha realizzato il sogno della sua vita¸ essere totalmente di Dio. “Tu mi hai dato un corpo che non è mio¸ me l’hai dato perché nel corpo io faccio la tua volontภio diventi totalmente tuo. Questa interpretazione della croce¸ alla luce dell’apparizione del risorto che si presenta ai discepoli come divinizzato¸ ha fatto loro capire che Gesù non era come gli altri o meglio¸ sotto un certo punto di vista era identico a noi¸ ma nella profonda interiorità del suo essere era da sempre quello che ha voluto diventare nella sua morte: una componente dell’essere divino¸ una realtà che non vive autonomamente in sé ma che vive in Dio e da qui è venuto fuori tutto: il racconto della nascita come un provenire da Dio. Devo dire¸ scandalizzatevi pure¸ che i racconti della nascita sono una invenzione dei primi cristiani i quali hanno ritenuto che non si poteva dire che Gesù è nato come gli altri¸ bisognava inventare un modo per dire che¸ nascendo¸ era venuto fuori un essere talmente di Dio che¸ quasi quasi¸ viene la voglia di chiedersi se sia veramente uomo. Ed hanno avuto la genialità di trovare la possibilità di conciliare questi due elementi contrari ma non contraddittori: è totalmente Dio perché lo Spirito Santo¸ quello che lo ha fatto esistere come uomo¸ ma è anche veramente uomo perché non ha disdegnato l’utero di una madre. E questa è una creazione che si è trasformata in una gradevolissima ed amabile narrazione nei vangeli di Matteo e di Marco ma non è altro che la risposta alla necessità di adeguare l’immaginazione dell’origine dell’uomo – Gesù con quello che di lui si è rivelato nel termine della sua vita¸ quando la sua identità si è resa manifesta¸ quell’identità che¸ come tentavo di dire¸ è l’identità di un essere¸ di una creatura la quale ha talmente assorbito la convinzione¸ la certezza del valore a supremo di Dio da voler perdere tutto per esistere soltanto in Dio e da Dio. Quando han capito questo¸ allora si sono resi conto che¸ pur nell’uguaglianza non apparente ma reale della sua corporeità con la nostra¸ c’era in realtà una volontà che era di natura e di origine divina. Il dogma posteriore parlerà di due nature: una natura divina e una natura umana che convivono insieme ma la personalità di Gesù¸ cioè la sua vera identità è data dalla natura divina perché le due nature sono insieme ma c’è una sola persona in Cristo¸ la persona divina perché l’umanità è tramite e mezzo per realizzare a nostro vantaggio perché anche noi comprendiamo questa tensione verso Dio che in Cristo è stato infinitamente superiore a quella che può essere in noi. Allora Cristo è un essere unico inventato da Dio per farci capire che¸ anche per noi¸ il fine più importante della vita è il collegamento con lui¸ il legame con Dio. Ma in Cristo tutto questo è apparso in una maniera che nessun altro potrà mai raggiungere. Se si dice questo¸ come si fa¸ allora¸ a raccontare la sua nascita? O non la si racconta¸ ma se la si vuole raccontare¸ come si ama fare per ogni personaggio¸ bisogna inventare qualcosa che dica veramente che cos’è questo essere che si chiama Gesù di Nazareth. Ed allora nascono i racconti della nascita e dell’infanzia che sono nient’altro che lo sfruttamento di motivi biblici arci noti: la sterile a cui Dio dà la grazia di avere un figlio¸ la donna anziana che¸ nonostante tutto¸ partorisce ancora perché Dio la rivitalizza¸ e portano all’estremo questo dicendo: “Dove c’era il nulla di umana generazione c’è stato il concepimento e la nascita di un bambino che è sí il figlio di una donna ma non come sono figli di una donna e soltanto figli di una donna e di un uomo gli altri uomini”. Lui è figlio di una donna perché è figlio di Dio ma tutto questo è la conseguenza della riflessione “Altrimenti non sarebbe morto cosí”. Siccome è morto cosí ¸ cioè per risorgere¸ ma non per risorgere e stare di fronte a Dio di nuovo come creatura¸ ma per risorgere dentro Dio stesso. Siccome questo è stato il termine della sua esistenza¸ allora l’inizio gli deve corrispondere. Per questo sono nati i racconti di Matteo e di Luca sull’origine di Gesù. Può darsi che abbia perso il mio tempo¸ al massimo un quarto d’ora che avete perso anche voi ad ascoltarmi¸ ma secondo me se a queste cose ci pensate vi saranno utili per capire meglio la profondità e la ricchezza di pensiero che c’è nella costituzione di questi racconti¸ che è bello rappresentare nel presepio ma che non si possono ridurre al presepio. C’è qualcosa di molto più intellettualmente audace nel raccontare in questo modo la nascita di Cristo¸ la stessa audacia che c’è nel dire: “La sua morte è stata vita¸ anzi vita divina perché morire cosí vuol dire essere Dio”. E sono queste audacie intellettuali che rendono il cristianesimo una religione cosí interessante e che ha affascinato tante persone nel corso della storia.