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Omelia III AVVENTO C del 13 dicembre 2009

La figura di Giovanni Battista¸ cosí come è presentata nel N.T.¸ potremmo dire che corrisponde per il 50% alla possibile ricostruzione storica della figura di questo personaggio che ci è nota anche da un’altra fonte¸ non molto attendibile¸ tuttavia¸ che è quella di Giuseppe Flavio e Flavio Giuseppe¸ che è la stessa cosa¸ che è uno storico un po’ prolisso che ha raccolto le antichità della storia di Israele ed ha raccontato la storia a lui contemporanea fino alla fine della guerra giudaica¸ della guerra dei romani contro la Giudea. Anche lui parla di Giovanni Battista e la presentazione sua è leggermente diversa da quella dei vangeli per cui ho incominciato dicendo che il 50% coincide¸ l’altro 50% è una trasformazione cristiana della figura del Battista in relazione con Gesù. In altre parole¸ quando è venuto Gesù ed i primi discepoli hanno capito chi era veramente¸ si sono resi conto che probabilmente il Battista non aveva avuto le idee chiare su quello che Gesù sarebbe stato. Ma siccome avevano grande venerazione per questo personaggio¸ hanno anticipato su di lui alcune interpretazioni¸ alcune intuizioni che erano un po’ quelle dei cristiani e che vennero poi regalate al Battista. E cosí il Battista finí per diventare prevalentemente¸ cosa che non è invece cosí in Flavio Giuseppe¸ il precursore di Gesù Cristo¸ cioè colui che ne aveva anticipata la venuta. In realtภprobabilmente¸ era stato un profeta autonomo che forse può anche aver detto che dopo di lui sarebbe venuto un altro più importante di lui¸ ma non era questa la tematica centrale del suo modo di vivere e di essere. I cristiani¸ ripeto¸ lo hanno in parte dotato di una preveggenza che forse lui non ebbe. Cosí facendo¸ però¸ lo hanno praticamente ridotto non più a personaggio autonomo ma a precursore di Gesù e Luca¸ addirittura¸ lo presenta come una specie di precursore e di preannuncio del modo di parlare e di predicare degli apostoli¸ cioè lo cristianizza¸ intendiamoci¸ con buon senso e con equilibrio¸ però lo fa una specie di profeta che ha anticipato alcune caratteristiche della futura predicazione cristiana. E’ solo Luca che fa questo con determinazione pi§ netta di quanto non accada in Matteo e Marco e anche in Giovanni. E questa è una caratteristica che ci aiuta a capire quello che abbiamo letto oggi nel vangelo che nella prima parte è un testo che c’è soltanto nel vangelo di Luca. Le tre domande “Che cosa dobbiamo fare” della gente¸ dei pubblicani e dei soldati e le risposte di Giovanni sono un testo esclusivamente lucano¸ che tra l’altro anticipa¸ e chi ha letto i libri qualcosa lo capisce da solo¸ anticipa quello che viene raccontato negli Atti degli Apostoli¸ dopo il primo discorso di Pietro la gente dice: “Che cosa dobbiamo fare?” e la presenza di questa domanda nel primo discorso di Pietro e nell’ultimo discorso del Battista chiaramente è un voluto richiamo. Luca è anche autore degli Atti degli Apostoli ed ha voluto collegare i due personaggi e le due scene. Per questo¸ direi¸ che ha ribaltato su Giovanni Battista una sensibilità ed una concezione delle cose che è la stessa che attribuisce a Pietro e che è stata ricavata dall’esperienza della vita con Gesù. Ma c’erano giภa dire il vero¸ nella storia effettiva di Giovanni Battista delle reali anticipazioni di quello che sarebbe stata la novità portata da Gesù¸ che sono sottintese nel testo e che anche questa volta risultano più evidenti nel vangelo di Luca che non in altri vangeli. Il Battista era figlio di un certo Zaccaria¸ come sapete¸ sacerdote di prima categoria nella gerarchia dei sacerdoti del tempio di Gerusalemme il quale¸ secondo il racconto di Luca avrebbe avuto la grazia di avere un figlio¸ pur essendo in età ormai avanzata¸ per dono di Dio ed Elisabetta sua moglie era rimasta incinta e aveva partorito il Battista che Luca presenta come già profeta nel seno della madre perché riconosce la presenza del bambino in Maria nella visitazione. E’ nato in una famiglia sacerdotale¸ il padre non abitava a Gerusalemme¸ come la maggioranza dei sacerdoti¸ i quali¸ a turno¸ prestavano servizio nel tempio ed era un grande onore per loro andare nel tempio¸ celebrare il culto. Certi tipi di culto particolarmente solenni¸ capitavano ad una certa persona una volta sola ella vita e cosí sarebbe stato quello di Zaccaria quando ricevette l’annuncio dell’angelo del Battista. Chissà cosa avrà pensato il vecchio Zaccaria¸ se era ancora al mondo¸ quando si è accorto che suo figlio Giovanni non si interessava del tempio. Per eredità sarebbe dovuto diventare sacerdote come il padre perché le funzioni sacerdotali nell’antico ebraismo erano ereditarie. Ma Giovanni non è mai collegato con il tempio. Si veste con pelli di cammello¸ dicono i testi. I sacerdoti avevano un vestito solenne ed elegante¸ come hanno adesso vescovi e cardinali¸ avevano vestiti liturgici preziosi¸ curavano molto l’abbigliamento. Il Battista si veste come un profeta all’antica¸ mangia locuste e miele selvatico. I sacerdoti mangiavano le carni dei sacrifici¸ quelle parti che a loro spettavano e penso che fossero allora quelli che mangiavano più carne di tutti gli altri dal momento che la carne è sempre stata un cibo prezioso fino ai nostri giorni e questo qui¸ invece¸ anticipava le diete che oggi ci presentano come possibili per il futuro: insalata di insetti e miele selvatico. Chissภpoverino¸ Zaccaria cosa pensava. Battezzava¸ liturgia che non era prevista nel rituale del tempio¸ nel tempio c’erano tante abluzioni da fare ma lui ne fa una sua¸ di sua invenzione. E’ l’inventore di qualcosa di nuovo¸ di popolare¸ di distaccato dalla sacralità del tempio. Questo piace molto ai primi cristiani i quali hanno imparato da Gesù quello che noi diciamo nella preghiera eucaristica¸ alla quale pare che nessuno faccia attenzione: “Faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito perché possiamo ottenere il regno promesso insieme con i tuoi eletti”. Che lo Spirito Santo faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito… E’ quello che ho ripetuto tante volte. Con Gesù scompaiono i sacrifici rituali sia di offerte vegetali sia di animali uccisi e il sacrificio diventa la vita buona: l’onestภla sinceritภla santità della persona. Siamo noi l’offerta. Dietro la parola sacrificio bisogna vedere la traduzione “offerta degna di Dio” cioè offerta degna di colui che è la bontà assoluta¸ la bontà suprema¸ l’intelligenza massima. Essere intelligenti è un bel sacrificio offerto a Dio¸ ragionare con onestà e con precisione controllando bene la logicità del ragionamento è un sacrificio gradito a Dio¸ non ammazzare le capre e versare sangue. Gesù ha messo fine¸ assumendo su di sé a questo antiquato rituale ed ha spiegato ai suoi discepoli¸ e Paolo insiste sempre nelle sue lettere nel dire questo¸ ma anche Giovanni: il sacrificio gradito è una vita santa. Vita santa vuol dire vita che rispetta la realtภvuol dire vita intelligente¸ i santi sono intelligenti¸ qualche volta anche loro debordano ma vuol dire aver capito dove stanno veramente i valori¸ quelli seri e saperli difendere e valorizzare con bontà. Lo slogan forse più significativo di che cos’è la santità è la famosa frasetta di Paolo nella Lettera ai Galati che molti papi e vescovi hanno messo nei loro stemmi “Veritas in caritate”. Il rispetto del vero condito d’amore¸ di quell’amore tipico di Gesù che è l’amore per tutti¸ anche di quelli che non se lo meritano¸ per gli antipatici¸ per gli odiosi¸ per i cattivi. Come fa il Battista per i pubblicani ed i soldati ai quali non rimprovera nulla¸ ma si limita a dire: “Questa povera gente¸ cosa vuoi che possa?. I pubblicani hanno la tabella che dice <A voi spetta il 2% della somma> e loro non ci stanno dentro¸ allora passano al 5¸ poi subappaltano” e allora c’è la solita catena delle tangenti e delle percentuali¸ a cui hanno diritto¸ che vengono aumentate. E il Battista¸ con realtภdice: “Non esigete nulla di più di quanto è stato fissato¸ siate onesti”. E i soldati¸ i soldati di allora si intende¸ raziavano¸ portavano via¸ non solo le galline. “Non estorcete niente a nessuno¸ non maltrattate¸ accontentatevi delle vostre paghe”. E’ un po’ borghese¸ se volete¸ o semplicemente onesta la predicazione del Battista. E’ quella discesa nella realtภnella concretezza della vita di cui già i vecchi profeti¸ con Isaia in testa¸ avevano detto che il culto era un alibi per dimenticarla. Una bella solennità di riti¸ un ammazzamento di animali¸ incensi¸ trionfi¸ canti. “Ecco¸ Dio è tranquillo e tace! E intanto io mi faccio i miei affari”. Già Isaia derideva tutto questo: oppressione¸ ingiustizia¸ accaparramento¸ lusso¸ egoismo¸ appagati¸ compensati sa solennità rituali. Non c’è niente di rituale nella vita di Gesù e il Battista lo anticipa. Ecco la grande rivoluzione che lo avvicina molto a Gesù Cristo della quale magari il vecchio Zaccaria¸ forse¸ avrà sofferto qualche malinconia¸ ma poi avrà capito che suo figlio era più vicino a Dio di tutto il culto che si celebrava nel tempio. Il cristianesimo nasce con questa convinzione¸ noi siamo con la nostra vita l’offerta degna di Dio¸ quando ragioniamo con correttezza e aggiungiamo al ragionamento la comprensione della realtà. A questi poveretti più di cosí non si può chiedere. Accontentiamoci di questo. Il profeta Battista¸ severo¸ rigido¸ asceta si accontenta di dire: “Incominciate ad accontentarvi delle vostre paghe¸ poi magari vedremo”. E lui¸ che è il rigorista con sé¸ chiede il minimo agli altri. Il Concilio Vaticano II ¸ nel fare un documentino sui preti¸ oggi è la giornata del seminario e dovevo sfociare qui¸ si era dimenticato dei preti in tutti i suoi più solenni documenti continuando a parlare dei vescovi¸ ad un certo punto sono stati avvertiti: “Eccellenze reverendissime¸ ricordatevi dei preti perché voi da soli non combinate nulla. Se non avete preti da illuminare¸ guidare¸ dirigere non fate niente”. Allora si sono accorti e hanno fatto un documentino¸ molto modesto devo dire¸ “Presbiterorum ordinis” incomincia con queste due parole¸ ma in quel documento lo Spirito Santo¸ ogni tanto¸ suggerisce qualcosa di intelligente¸ c’è un´altra formuletta che dopo i teologi hanno messo in discussione perché a loro non va mai bene niente. Prima c’era la “Veritas in Caritate” e loro hanno tirato fuori una parola che è molto significativa: la carità pastorale¸ pascere con carità tenendo conto della debolezza dei fedeli¸ tener conto della debolezza dei fedeli però cercando di farli maturare: essere in mezzo alla gente¸ capirla e¸ con delicatezza¸ usa proprio questa parola il latino tradotto in italiano addirittura col termine gentilezza¸ e questo è il prete. Il prete assomiglia al Battista. Nessuno pensa di assomigliare a Gesù¸ tutti¸ certo vescovi¸ preti¸ diaconi sono gli evangelizzatori di Gesù: pensano a lui¸ parlano a lui¸ fanno in modo che tutte le coscienze si uniscano a lui ma nessuno pretende di essere come lui. Anche se è vero che lo stesso documento usa un’altra delle frasette antiche “In persona Christi”. E’ vero¸ i preti e i vescovi agiscono in persona Christi ma non dimenticate che persona in latino¸ originariamente¸ è la maschera. Questo non vuol dire che sono degli ipocriti¸ che fingono¸ ma vuol dire che raffigurano e rappresentano senza pretese di assomigliargli veramente. Tengono un posto come l’attore in teatro. Io¸ quando dico messa¸ agisco in persona Christi¸ anche se lui¸ a dire il vero¸ non era paludato come me. Cosa vuol dire che agisco in persona Christi? Che devo cercare di non essere ipocrita e¸ anche interiormente¸ sperare di avere qualche cosa che non sia almeno contrario a quello che Cristo è stato¸ ma¸ soprattutto¸ sono qui per rappresentarvi il gesto che Cristo ha compiuto nell’Ultima Cena come riassunto di tutta la sua carità pastorale. Perché se c’è uno che ha voluto il bene degli altri¸ quella santificazione di cui parlavo prima¸ quella veritas in caritate¸ quell’intelligenza piena d’amore¸ come è stato Gesù Cristo¸ allora preti e vescovi hanno tutti questo compito di agire in persona Christi come raffigurazioni indegne¸ si intende¸ inadeguate. Personificazione sarebbe troppo difatti l’italiano prudente¸ traducendo il latino quell’agire in persona Christi si è limitato a tradurlo in nome di Cristo sapendo il pericolo che vescovi e preti si sentano in persona Christi e si mettano a comandare¸ che sarebbe il contrario della persona Christi. Oppure si spaventano. In persona Christi vuol dire dare la vita per le pecore¸ ma io non ho il coraggio di dare la vita¸ non ho neanche il coraggio di dare serate perché essendo vecchio voglio andare a letto presto e rifiuto qualche invito. La persona Christi la rappresento come un modesto attore¸ una maschera. L’agire in persona Christi va annacquato¸ certamente¸ però c’è nel prete. Ecco il punto¸ il punto in cui il prete è invece più capace di papi e vescovi e questo oggi lo riconoscono soprattutto i sociologi o gli antropologi ed è la carità pastorale¸ cioè il capire veramente di cosa la gente ha bisogno perché ci vivono in mezzo e il tradurre¸ a livello della gente¸ i grandi ideali¸ le grandi proposte¸ le teorie dei documenti¸ le grandi parole. Sminuzzare senza banalizzare¸ adattare senza tradire. Ecco¸ per esempio¸ capite quello che sto per dire¸ perché tanti preti si sentono a disagio quando non possono dare l’assoluzione a nessuno dei divorziati e risposati mentre qualche volta potrebbero dire: “Di norma no¸ ma in quel caso che ha alle spalle tragedie…”. La gerarchia dice: “Non puoi¸ non azzardarti!”¸ e hanno ragione di dirlo ma il prete ci soffre perché ha la carità pastorale. Cosí il prete¸ alcuni di noi preti¸ si rifugiano nel rito: gregoriano¸ il canto¸ la precisione¸ le cerimonie¸ i chierichetti¸ le vesti¸ le candele¸ i simboli. Occorrono¸ ci sono¸ fanno parte¸ molti ne sono cosí entusiasti ed innamorati¸ anche per supplire a qualche carenza nella loro capacità di contattare la realtภche diventano semplicemente degli attori liturgici.. Ma tutti i preti soffrono questo dramma. Chi sono io? Quando sono veramente prete? Quando pontifico o quando incontro per la strada¸ all’osteria¸ all’ospedale¸ in casa il fedele comune cercando di capire le sue difficoltà e i suoi problemi. Questo trait d’union tra la persona Christi¸ quella vera¸ e le difficoltà della vita reale non la possono fare i vescovi¸ i vescovi senza preti sono nulla anche se è vero che i preti senza vescovi sarebbero forse una banda di propagandisti disorganizzati. Ma è il prete quello che veramente fa da tramite e da ponte¸ quello che cerca di essere davvero il mediatore tra la grandezza assoluta che è apparsa in Gesù Cristo¸ sia pure nella sua grande umiltภperché nell’umiltà di Cristo è apparsa una totalità di dedizione che non ha pari e nello stesso tempo quella necessità di dire: “E’ un povero pubblicano¸ cosa vuoi che faccia? Cerchi di accontentarsi della sua paga”. A quelli che capiscono un po’ di più¸ avere il coraggio di dire: “Se hai due tuniche danne una a chi non ce l’ha”. Ecco perché oggi molti preti sono gli animatori e i propagatori di questo Spirito di carità che alla fine si limita spesso ad essere elemosina. Ma la carità pastorale è molto di più¸ è appunto questa intelligenza di capire come si fa ad amare uno che in molti casi risulta odioso e non amabile. Ecco perché pensare al seminario¸ pensare alla formazione dei preti e anche¸ soprattutto¸ rendersi conto che fare il prete non è una minoratio¸ non è un perdere opportunità migliori. Quali opportunità migliori? Quella di arrabattarsi nella scuola? Quella di vendere prodotti? Se i cristiani incominciassero a dire nella famiglia¸ ai figli¸ nelle scuole… Certo¸ il ricercatore¸ lo scienziato¸ il medico¸ l’astronomo¸ il pilota d’aereo¸ che una volta citavo come esempio di dignità quasi sacerdotale sono le grandi cose¸ che la maggioranza non saprebbe fare. Per la media della gente¸ se qualcuno vuol cercare una professione che sia alta o profonda¸ provate a dirgli che è quella del prete perché la carità pastorale è molto di più della pazienza dell’insegnante¸ della tenacia del medico¸ della capacità dell’infermiere di essere bravo. Quelle forse sono più intense dal punto di vista emotivo in certi momenti difficili ma il prete¸ a piccole dosi se le sperimenta tutte queste cose. E penso che sia bello ed eccitante vivere la propria fatta vita piena di tutte queste esperienze¸ di incontro con la realtภla realtà bella¸ quella della gioia¸ di cui parlano tutte le letture della messa di oggi¸ ma anche la realtà della sconfitta¸ dell’insuccesso¸ della sofferenza.