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Omelia II AVVENTO C del 6 Dicembre 2009

Le letture di questa domenica hanno una ricchezza di simboli. Domenica scorsa mi sono perfino accalorato per cercare di mantenere il suo valore di simbolo all’espressione “venuta finale del Signore” perché il modo con cui questa venuta veniva espressa¸ il verbo usato¸ la presenza nel Credo¸ nella liturgia eucaristica di questa espressione poteva dare l’impressione che si fosse obbligati a credere ad un fatto che si sarebbe verificato cosí some le parole dicono. E allora ho cercato di far capire che¸ in realtภquelle parole sono delle immagini¸ delle metafore¸ dei simboli e che bisognava¸ quindi¸ tradurre il concetto della venuta¸ o meglio¸ l’immagine della venuta in una diversa serie di concetti e di idee che si riassumevano nell’idea della riuscita finale dell’opera di bene che Cristo ha compiuto per la storia degli uomini. Oggi abbiamo un altro tipo di simboli che forse è più facile capire che sono soltanto simboli. Ce ne sono almeno due fortemente presenti nella liturgia: il simbolo di Gerusalemme ed il simbolo della strada da costruire nel deserto. E dal modo come il testo di Baruc¸ che fra l’altro come sapete è un libretto deuterocanonico¸ non è considerato Sacra Scrittura né dagli ebrei né dai protestanti ma fa parte invece dell’elenco completo di libri biblici condiviso dai cattolici e dagli ortodossi. E’ bello il librettino di Baruc proprio perché è tardivo come composizione ed ha una capacitภuna scioltezza nel descrivere le cose che è superiore a quella di altri libri più antichi e si capisce subito che la Gerusalemme di cui si parla è un’idea¸ non è la città di Gerusalemme perché¸ come vi siete accorti ascoltando la lettura¸ è trasformata subito a partire dalla seconda riga¸ nella figura di una giovane fanciulla. Quindi è il solito stereotipo che cittภnazioni e paesi siano rappresentati da una figura di donna: la perfida Albione¸ la Marianna dei francesi¸ l’Italia turrita delle vecchie monete e francobolli dell’Italia. E’ stranissimo questo fatto¸ in ebraico la cosa si spiega perché di solito in ebraico i nomi dei popoli sono femminili come genere grammaticale. E’ curioso però che le nazioni¸ non tutte¸ però in genere vengono presentate come figure di donne. E cosí accade a Gerusalemme. Ecco perché poi l’Apocalisse dirà con naturalezza che la città scende dal cielo come la sposa vestita per il suo sposo¸ che se prendessimo alla lettera sarebbe privo di senso ed assurdo: la città con le torri e le mura che è una sposa che scende. Questi sono simboli ed è facilissimo capirlo e¸ nel testo che avete sentito¸ già alla seconda riga tutto questo appare con chiarezza. “Rivestiti dello splendore della gloria¸ avvolgiti del manto della giustizia” ed è tutto metaforico. E’ l’immagine del vestito che è fatto di virtù¸ è un’idea questa del rivestirsi di virtù che è presente in tutte le lingue e questo simbolo è interessante. “Metti sul capo il diadema di gloria dell’eterno” il nome è simbolico “Pace di giustizia¸ gloria di pietà. Sorgi”. E’ l’idealizzazione di Gerusalemme e tutti capiscono che non ha niente a che fare con la città di Gerusalemme che si trova ad una certa latitudine e ad una certa longitudine nella mappa della Palestina¸ proprio nulla a che fare. Certo¸ quando Baruc scriveva¸ lui pensava agli ebrei che speravano di ritornare in Palestina e di ricostruire su questa terra un regno di giustizia e di pace. Lo sperava¸ forse dubitava che questo sarebbe avvenuto ma la storia ha dimostrato che non è successo niente di concreto a Gerusalemme che superasse lo standard di ingiustizia e di cattiveria che è sparpagliato in tutto il mondo. Gerusalemme non ha niente di diverso dalle altre cittภcome la Roma papale¸ anzi¸ forse è stata peggio di altre città. Il simbolo vive autonomamente¸ non ha più niente a che fare con la realtà geografica o topografica a cui si riferisce. La Gerusalemme di questi testi è la visione ideale del mondo rinnovato¸ è l’utopia di una città dove regnano giustizia e pace¸ di una città che può essere raffigurata non con mura difensive¸ cannoni sulle torri¸ ma una città che può essere descritta come una deliziosa¸ giovane fanciulla. E’ l’ideale¸ è la salvezza sperata¸ la salvezza idealizzata. Questo è un simbolo che tutti capiscono ed immagino che nessuno¸ neanche gli ebrei più¸ immagino¸ pensino che Gerusalemme¸ intesa come città concreta¸ possa diventare un prototipo e un modello perché gli altri imparino ad essere giusti e santi. Tutto¸ di volta in volta¸ può diventare modello e contrario del modello ma nessuna profezia biblica¸ e nessuno di voi l’ha mai pensato¸ ecco¸ perché direi che quella fatica che abbiamo fatto domenica scorsa a trasformare in metafora simbolica l’idea della venuta oggi invece risulta a tutti voi facilissima quando sentendo¸ parlare di questa Gerusalemme celeste¸ Gerusalemme ideale¸ Gerusalemme città divinizzata voi dite: “Ma sí¸ certo¸ è un modo di dire¸ è un’immagine per dire che tutti speriamo che nel mondo ci sia un po’ più di giustizia¸ di pace e di fraternità un po’ dappertutto¸ e nessuno dice: “Tutto partirà geograficamente da quel luogo¸ deve partire dai nostri cuori¸ dalla coscienza”¸ anzi funzionerà questa immagine del mondo che diventa città di giustizia se questo desiderio di giustizia e di pace si sparpaglia un po’ dappertutto e spunta da ogni parte. Se rimanesse concentrato soltanto in un punto non servirebbe a nulla e questa è¸ come sempre¸ la solita chiacchierata¸ più che altro di metodo¸ perché impariamo a valorizzare per la potenza espressiva che possiedono i testi biblici. La stessa cosa succede anche con la strada e¸ anche nel caso della strada¸ la metaforizzazione è cosí chiara che non c’è neanche bisogno di spiegarla. I profeti che come Baruc sognavano un trionfale ritorno da Babilonia degli ebrei che erano stati esiliati per tornare in patria con l’aiuto di Dio¸ aiutati e sorretti da meraviglie e prodigi¸ descrivevano questa strada nel deserto¸ che Dio stesso avrebbe costruito¸ e immaginavano¸ con bella fantasia¸ che la gloria di Dio avrebbe fatto da guida alla carovana. Come quell’altra metafora¸ quella della nube che aveva fatto da guida nel deserto e che nel Deserto di Siria selve e alberi odorosi avrebbero fatto ombra a Israele per comando di Dio. “Perché Dio ricondurrà Israele con gioia alla luce della sua gloria con la misericordia e la giustizia che vengono da lui”. Anche la strada è metafora¸ immagine. Questo diventa estremamente chiaro già nella traduzione greca dell’A.T. perché già la traduzione greca dell’A.T. non colloca più nel deserto la strada ma colloca nel deserto il predicatore dicendo non già che si deve costruire la strada nel deserto ma che nel deserto un predicatore annuncia: “Costruite la strada¸ appianate le alture¸ abbassate le montagne¸ fate in maniera che sia una strada pianeggiante e diritta”. Il predicatore predica nel deserto e sta parlando della formazione della coscienza. Abbattere le alture¸ appianare la strada significa chiarificare le proprie idee¸ essere determinati nella scelta del bene e della giustizia. Superare gli ostacoli morali che si oppongono alla dirittura della vita. Se ci pensate¸ anche noi¸ nelle nostre lingue¸ usiamo la metafora della linea retta e della strada pianeggiante per indicare la saldezza della moralità. Parliamo di rettitudine¸ parliamo di dirittura morale¸ vecchie parole¸ un po’ antiquate¸ lo capisco. Tutto è diventato metaforico e il discorso non si colloca più nella materialità delle cose che sono diventate completamente simboli¸ e solo come simboli hanno senso¸ e diventa un appello alla conversione. Il vangelo di Luca lo dice con chiarezza evidente e lo dice valorizzando anche il contrasto¸ che è voluto¸ tra l’elenco dei personaggi del mondo esteriore¸ i capi politici del tempo¸ con una puntina appena¸ appena delicata di sarcasmo. Siamo nell’anno quindicesimo di Tiberio¸ ci sono questi quattro governatori nella varie zone della Giudea¸ ci sono i sommi sacerdoti Anna e Caifa e Dio di loro non si cura¸ non si occupa di questa gente che crede di essere qualcosa. La parola di Dio avvenne su Giovanni¸ figlio di Zaccaria nel deserto¸ là dove non c’è nessuno¸ non c’è gloria¸ non c’è fasto. Non in cittภavviene nel deserto. E Giovanni predica: “Nel deserto preparate la via”. E’ curiosa questa contrapposizione. Luca sviluppa la capacità simbolica di queste antiche tradizioni. Da un lato è vero che il deserto ricorda il momento in cui il popolo di Israele si stava educando ad essere il popolo di Dio¸ non è riuscito a diventarlo¸ parlo dell’Israele antico¸ naturalmente¸ però il deserto era il luogo in cui Dio si è sforzato di preparare questo popolo¸ gli ha dato i comandamenti¸ lo ha castigato¸ gli ha fatto provare la fame¸ la sete¸ la fatica perché si attrezzasse ad essere forte nella virtù¸ forte nella speranza. In parte è riuscito¸ in parte no. Quindi è chiaro che collocare la predicazione del Battista nel deserto evoca tutto questo. Ma antichi scrittori ecclesiastici¸ i cosiddetti Padri della Chiesa¸ hanno visto anche l’altra componente: Giovanni predica nel deserto perché vuole arrivare a tutti. E immaginano il deserto come una specie di luogo dove nessun altro parla¸ dove nessun altro grida¸ schiamazza¸ suona trombe¸ come accadrebbe se predicasse a Roma¸ a Corinto¸ a Gerusalemme dove ci sono i soldati¸ i mercanti¸ dove la vita pulsa e la parola di Dio non si sente. Allora è un desiderio di lanciare questo messaggio¸ come oggi potremmo dire¸ da una specie di antenna o di satellite che te lo fa arrivare dappertutto¸ approfittando di un momento di silenzio in cui gli altri tacciono. E’ vero che oggi di silenzio non ce n’è più¸ a livello satellitare¸ ma l’immagine del deserto direi che oggi sarebbe l’equivalente di questa trasmissione indisturbata che viene di notte quando gli altri hanno spento i loro trasmettitori. Ecco il deserto¸ il deserto come¸ paradossalmente¸ la migliore possibilità di comunicazione sincera¸ comunicazione efficace¸ non circoscritta perché la voce nel deserto si sparge nel vuoto e non è ostacolata da nessun esterno. Sono commenti che fanno i Padri della Chiesa¸ che completano le immagini bibliche. Il deserto è il luogo dell’educazione¸ ma l’educazione avviene nella concentrazione¸ nel silenzio¸ nel distacco. Non ci si educa andando in discoteca¸ per la strada¸ sul treno. Ci si educa nell’aula scolastica¸ nel segreto della propria camera. Ci si educa nel silenzio¸ nella concentrazione. Ecco il deserto. E¸ infine¸ c’è un altro tema¸ che è curioso anche questo¸ perché questa idea dell’abbassare le alture per creare una strada diritta è un’idea che è molto presente negli originali oracoli di Isaia. Il testo¸ che qui viene citato¸ giustamente¸ Luca¸ che è intelligente¸ dice che è scritto nel Libro degli Oracoli del profeta Isaia¸ probabilmente lui sa che questo testo non è mai stato scritto da Isaia¸ è dentro nel Libro degli Oracoli ma non è opera di Isaia¸ è opera molto più tarda questa idea del preparare le strade¸ però Isaia¸ l’Isaia autentico¸ ha invece un altro ritornello¸ continuamente presente: Dio non vuole coloro che si innalzano e si esaltano¸ li abbassa e li distrugge¸ e usa immagini¸ per esempio: Fa cadere a terra tutti i cedri del Libano¸ una piccola montagna di Sion sarà più alta di tutti gli altri monti”. E’ l’anticipo della frase di Gesù: chi si umilia sarà innalzato e chi si innalza sarà abbassato. Allora questa idea dell’abbassamento viene dal vecchio Isaia¸ passa attraverso la mediazione di chi ha aggiunto altre parole agli oracoli di Isaia¸ arriva al Battista¸ risuona in Gesù e giunge fino a noi. Ecco perché la preghiera iniziale¸ che abbiamo recitato¸ diceva: “Che chiami gli umili alla luce gloriosa del tuo regno… Raddrizzano i nostri cuori i tuoi sentieri… Spiana le alture della superbia”. Ecco allora che tutta questa serie di simboli e metafore può giungere a questa facile¸ umile¸ modesta conclusione. Cosa vuol dire educarsi alla rettitudine che vuole Dio? Cosa vuol dire incamminarci verso la fantastica e fiabesca Gerusalemme della giustizia e della pace? Vuol dire spianare¸ abbassare¸ umiliarsi¸ non pretendere di prevalere¸ non vantarsi. Questa è la preparazione alla venuta di Cristo¸ non solo nelle nostre coscienze ma¸ tramite le nostra coscienze¸ in tutto il mondo che ci circonda.