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Omelia XXX DOM. T.O. B del 25 Ottobre 2009

La seconda lettura¸ che meriterebbe di essere commentata ma probabilmente la riprenderemo insieme ad altri passi di Ebrei qualche altra domenica¸ ci ricorda qualcosa che potrebbe interessare la novena dei morti che è in corso e la celebrazione della memoria dei defunti che si farà lunedí 2 novembre. Parla di ogni sommo sacerdote che è scelto tra gli uomini “Nelle cose che riguardano Dio per offrire doni e sacrifici per i peccati”. Mentre facevamo due chiacchiere¸ prima della messa con don Giosuè in sacrestia¸ lui ha fatto giustamente osservare che poteva essere una buona occasione¸ questo testo¸ per ricordarci che era una tradizione condivisa da tutti quella di offrire doni e sacrifici per i peccati dei defunti e che l’abitudine di far celebrare delle messe in suffragio per i defunti era una delle caratteristiche direi più diffuse all’interno del popolo cristiano. Pare di dover constatare che ormai è diventata un’abitudine di pochissimi. Non intendo dedicare l’omelia di questa mattina a questo argomento per spiegare la fondatezza di questa antica tradizione¸ vi ricordo soltanto che se qualcuno di voi avesse smesso o abbandonato questa consuetudine di far celebrare le messe in suffragio dei defunti senza motivi¸ semplicemente perché si è scordato di farlo¸ ci ripensi perché se ci sono delle ragioni per dimostrare che si tratta di una sciocchezza inutile¸ allora guardatevi bene dal far celebrare messe per i defunti¸ se¸ viceversa¸ vi pare che abbia ancora un senso questa solidarietà con i morti che¸ come diciamo nella preghiera eucaristica¸ fanno ancora parte della chiesa e siamo in comunione con loro e loro sono in comunione con noi¸ comunione invisibile¸ non sperimentabile¸ però tutti quelli che sono in Cristo¸ secondo la fede tradizionale¸ sono uniti da vincoli che Dio stesso sostiene ed anima. E¸ allora¸ se volete¸ ripensate a questo tema. E’ un pensiero che mi è stato suggerito dalla giusta osservazione che non è solo del nostro parroco. Ormai l’abitudine di far celebrare messe di suffragio è quasi scomparsa. Si vorrebbe sapere perché. Il vangelo¸ invece¸ ci permette da un lato di ritornare sulla prima parte del vangelo di domenica scorsa¸ che io ho trascurato per calcare la mano sulla seconda parte¸ e vi ricordate che ho infatti insistito sulla dimensione politica della testimonianza cristiana¸ mentre la prima parte del vangelo di domenica scorsa parlava di tutt’altra cosa¸ cioè parlava di un altro aspetto¸ vale a dire suggeriva ai due discepoli che chiedevano i primi posti¸ a destra e a sinistra nel futuro regno di Cristo¸ chiedeva loro se sarebbero stati disposti a bere il suo calice e ad essere battezzati del suo battesimo¸ cioè partecipare alla sua Passione e morte. E¸ interrogati da Gesù se erano disposti a fare questo¸ risposero: “Lo possiamo” e Gesù disse loro: “Il calice che io bevo anche voi lo berrete¸ il battesimo in cui io sono battezzato¸ anche voi ne sarete battezzati”. Il cieco di oggi¸ un brano che nel testo di Marco segue immediatamente quello di domenica scorsa¸ direi che potrebbe essere anche lui il simbolo della persona che accetta di essere battezzata con il battesimo con cui Gesù verrà battezzato nella croce e di bere il suo calice. Perché¸ unico fra tutti i guariti di cui si parla in tutti i vangeli¸ segue Gesù lungo la strada e gli viene concesso di farlo. E’ un piccolo particolare che uno potrebbe anche considerare secondario¸ però ha sempre attirato l’attenzione di tutti i commentatori. Tutti quelli che sono stati guariti da Gesù nel corso delle narrazioni evangeliche¸ una volta guariti¸ se ne vanno per la loro strada e non entrano mai a far parte del gruppo dei discepoli. La frase conclusiva è sempre: “Va”. Anche qui c’è il “Va¸ la tua fede ti ha salvato” e lui non va ma “Subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada”. Anche l’indemoniato di Gereza¸ dopo che gli erano stati scacciati tutti i demoni¸ aveva chiesto a Gesù di seguirlo e Gesù glielo aveva proibito dicendo: “Torna a casa tua e racconta la misericordia che Dio ha avuto di te”. Nessun guarito segue Gesù tranne questo¸ e la strada di cui si parla è¸ come ho ripetuto tante volte¸ l’arrivo a Gerusalemme che nel vangelo di Marco segue immediatamente questo episodio. Tutto quello che noi leggeremo nelle domeniche prossime sono episodi che il vangelo di Marco colloca a Gerusalemme nei primi tre giorni della Settimana Santa¸ quindi nei giorni che immediatamente precedono la morte di Gesù. Certo il testo non racconta e non dice che il cieco abbia effettivamente partecipato alle vicende della Passione¸ non lo dice neanche di Giacomo e Giovanni i quali avevano promesso di poter bere il calice e di condividere il battesimo di Gesù mentre¸ in realtภpoi risulta che si spaventano e abbandonano il crocifisso il quale resta solo sulla croce. Tuttavia forse Gesù sperava che sarebbero stati a lui vicini e avrebbero condiviso la sua sofferenza. Quindi mi pare che i due brani di vangelo¸ la stranezza del cieco che segue per la strada e l’invito fatto da Gesù ai discepoli di partecipare in qualche modo alla sua Passione¸ abbiano un rilievo che merita di essere sottolineato e merita anche una qualche riflessione. Le parole di Gesù di domenica scorsa “battesimo e calice” sono delle metafore direi non chiarissime. La seconda¸ quella del calice da bere¸ era chiara per uno che parlava ebraico¸ poi è entrata anche nelle nostre lingue¸ nel senso che l’immagine di bere il calice voleva dire accettare fino alla fine una sorte dolorosa. L’immagine del calice che bisognava bere era quella del destino che bisogna accettare della volontà di Dio a cui bisognava sottomettersi. Meno evidente è l’immagine del battesimo¸ che come sapete significa immergere e¸ di per sé immergere normalmente nell’acqua ed è difficile¸ per questa seconda immagine¸ capire bene che cosa voglia dire¸ soprattutto capire in che senso Gesù possa paragonare la sua crocifissione a un battesimo nel quale viene battezzato. Forse è semplicemente una copia dell’altra frase e significa il destino nel quale viene precipitato¸ la sorte dolorosa nella quale viene buttato¸ immerso. Quindi avrebbe un significato¸ anche qui¸ quasi di annegamento¸ ecco: “Potete accettare di essere sopraffatti dagli eventi come lo sarò io?”. Battesimo¸ poi¸ nella vita cristiana cambia completamente significato¸ ma tuttavia vi ricordate che san Paolo dice chiaramente che “Noi che siamo stati battezzati¸ siamo stati sepolti con lui nella morte”¸ quindi mantiene questa idea di essere distrutti nella parte cattiva¸ nella parte inutile¸ nella parte dannosa del nostro essere per poi risuscitare risanati¸ puliti. Allora¸ il tema che mi pare interessante è questo che questo pensiero paolino¸ che noi attraverso il sacramento del battesimo siamo uniti alla morte di Cristo¸ sepolti con lui¸ perché la parte negativa di noi venga completamente distrutta e noi possiamo rinascere in maniera positiva ha già il suo fondamento in questa frase di Gesù: “Non chiedete di partecipare al mio potere che non c’è¸ alla destra o alla sinistra¸ piuttosto siete disposti a subire quel cambiamento radicale¸ quella crisi¸ quella trasformazione che può anche avere un aspetto di fatica e di rinuncia¸ quella crisi alla quale io sarò assoggettato?”. Allora capite che loro rispondendo di sí accettano di vivere nella loro vita non materialmente la stessa morte fisica che Gesù ha subito sulla croce¸ ma quello che la morte di croce simboleggiava cioè una radicale trasformazione nel proprio orientamento di vita per diventare creature veramente diverse. Allora¸ se è cosí¸ alla luce di questo¸ anche bere il calice può significare cambiare l’orientamento della propria vita cioè “Siete disposti ad accettare… invece di destino¸ adoperiamo l’altra parola¸ più caratteristica del N.T.¸ siete disposti ad accettare la vocazione che il Padre vi presenta¸ vocazione non nel senso specifico di vocazione religiosa ma la chiamata di Dio¸ ad esempio¸ ad essere compassionevoli¸ misericordiosi¸ non più egoisti¸ non più attaccati soltanto al vostro benessere ma preoccupati per gli altri. Allora il cieco continua¸ simbolicamente¸ questa impostazione descrittiva che Marco cerca di fare in questi capitoli¸ che apparentemente può sembrare arzigogolata¸ cioè pare che sia tutto merito del commentatore tirar fuori queste idee¸ ma se ci si pensa¸ direi che ha un fondamento nel testo. Anche il cieco chiede di vedere. Cosa vedrà? Vuole avere la vista ed appena ha la vista la concentra su Gesù¸ non va a vedere il paesaggio¸ non va a casa sua a vedere che faccia hanno i suoi parenti¸ lo segue per la strada¸ non gli importa niente di altre cose. Abbandona perfino il mantello¸ che per un povero mendicante era tutto perché probabilmente dormiva all’aperto e di notte si copriva col mantello. Sono piccoli particolari che¸ però¸ evidentemente per uno scrittore che racconta narrando¸ diventano importanti perché creano nella mente del lettore l’immagine che si deve fare della scena: “Gettato via il mantello¸ balzò in piedi e venne da Gesù”¸ con quella abilità che hanno i ciechi di seguire da che parte è venuta la voce per cui sono capaci¸ senza bisogno di essere accompagnati¸ di andare nella giusta direzione. Con una specie di salto perché ha trovato la persona che l’ha ascoltato¸ la persona che l’ha capito. Allora¸ in un certo senso¸ anche lui è disposto a dire: “Quello che capiterà a te¸ Gesù¸ voglio che capiti anche a me¸ come andrà a finire la tua vita¸ voglio che vada a finire la mia”. Ed è questo desiderio di accettare la proposta di Cristo di essere assimilati a lui¸ quella che sembra essere sottintesa nel racconto del cieco e che era esplicitamente presente nella domanda fatta a Giacomo e Giovanni : “Potete fare quel che faccio io? Potete subire quel che subirò io? Potete accettare la trasformazione che subirò io?”. Ecco¸ quando siamo stati battezzati¸ quando abbiamo deciso di diventare cristiani eravamo bambini e non potevamo capire niente¸ diventando grandi però¸ dobbiamo ricordarci che possiamo anche rifiutarla quella scelta che i nostri genitori hanno fatto quando ci hanno chiesto di battezzarci. Se¸ però¸ la vogliamo accettare¸ allora dobbiamo renderci conto che consiste in questo. Senza renderla una questione tragica perché nel morire sulla croce di Cristo c’è¸ ripeto¸ un aspetto doloroso che poi¸ nella vita nostra¸ più modestamente diventa semplicemente una ristrutturazione del nostro io¸ del nostro modo di concepire la vita. Ristrutturazione che può esigere delle rinunce ma che può anche dare delle soddisfazioni. Tra l’altro il bere il calice può essere accettare un destino non voluto ma può anche essere bere il calice della gioia¸ il calice della sapienza¸ perché il vino nella Bibbia ha anche questa connotazione¸ è il vino della consolazione¸ il vino della saggezza. E il battesimo diventa chiarissimamente non soltanto un partecipare alla morte¸ ma un uscire vivi¸ irrobustiti¸ puliti¸ santificati¸ purificati. E’ proprio la coincidenza di questi due elementi¸ che poi corrisponde al vecchio proverbio che c’è in tutte le culture: il “Per aspera ad astra”¸ che se uno vuole arrivare ad una meta positiva¸ qualche sacrificio se lo deve mettere in conto. Non si arriva alla destra di niente se non si accettano rinunce nella vita¸ soprattutto se non si adatta la propria personalità ai valori nei quali si crede. Questo è convertirsi. Allora ecco perché la Passione e la morte di Cristo diventano un sacramento a cui noi possiamo partecipare: il Battesimo e l’Eucaristia. Anche quando si fa la comunione¸ a pensarci bene¸ si partecipa alla morte di Cristo e si partecipa anche alla sua risurrezione che¸ prima di essere la risurrezione dopo la morte per andare nell’aldilภè la risurrezione di quaggiù. Uno che fa la comunione¸ e la fa con un minimo di serietภdiventa ogni domenica un tantino diverso da quello che era prima. Non diverso a casaccio ma perché¸ a forza di fare la comunione¸ cerca di assorbire le caratteristiche positive dell’esistenza di Cristo che sono appunto il mettere Dio al primo posto¸ saper discernere i valori che val la pena di seguire e quelli secondari¸ non essere chiusi egoisticamente in sé stessi¸ occuparsi degli altri¸ tutte le cose che continuamente ricorrono nella narrazione evangelica quando si parla di Gesù. Ecco¸ allora che questo riavere la vista potrebbe diventare anche la nostra aspirazione e la nostra preghiera: “Signore¸ fammi vedere che cosa potrei diventare se prendessi sul serio la chiamata di Dio che è implicita nel mio battesimo e nella mia partecipazione alla messa. Non spaventarmi troppo con delle esigenze eccessive¸ però sappi che un certo coraggio di far qualcosa¸ anche di gravoso¸ ce l’ho ancora”. E questa attitudine di spirito dovrebbe essere quella che ci accompagna tutte le volte che veniamo a messa e¸ soprattutto¸ quando facciamo la comunione.