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Omelia XXVIII DOM. T.O.B del 11 Ottobre 2009

Questo è uno dei tanti passi della Sacra Scrittura¸ in particolare del Vangelo¸ nei quali è sorprendente vedere come¸ dietro l’apparenza di un racconto facile¸ siano nascoste tante capacità della lingua che viene adoperata per alludere¸ per far pensare¸ cioè uno dei testi in cui¸ come vi ho già detto altre volte¸ il laico sorvola ma il credente¸ il quale crede che in un certo senso c’è un aiuto di Dio nella stesura di questi testi¸ il credente li rilegge¸ ci pensa¸ li approfondisce e trova tanti piccoli motivi di riflessione¸ trova una ricchezza che¸ a prima vista¸ poteva essere inaspettata ed è merito della Scrittura ma esige¸ come vi ho detto tante altre volte¸ che le si faccia credito in anticipo accettandola come un libro più ricco di quanto non sembri a prima vista. Questo brano è presente anche in Luca e Matteo. Luca lo riproduce praticamente identico¸ toglie solo una frase¸ un verbo¸ forse perché lui stesso si rendeva conto che poteva essere interpretato malamente nella cultura ellenistica: “Lo amò”. Considerato che spesso da loro i rapporti tra discepolo – filosofo e giovane allievo poteva avere delle caratteristiche affettive un tantino esagerate¸ può darsi che¸ sapendo che questo testo sarebbe stato letto soprattutto dai greci¸ perché per loro lui scriveva¸ ha pensato che quell’ “amò” era meglio lasciarlo perdere¸ e siccome Luca ha avuto questa idea¸ direi anch’io che non è la parte più elegante del testo. Anche se¸ ovviamente¸ si tratta di amori soprannaturali¸ questa idea di preferenza non è molto carina attribuita a Gesù e io dico che Luca ha fatto bene a togliere questa parola. Per il resto ha riprodotto tutto quasi con le stesse parole¸ quindi vuol dire che ha approvato la delicatezza e la profondità di questo testo. Matteo¸ invece¸ che è più scrupoloso¸ anche più vicino alla paura ebraica di sbagliare quando si parla di Dio¸ meno disinvolto¸ è rimasto sorpreso da quella frase di Gesù: “Perché mi chiami buono¸ nessuno è buono se non Dio solo” e ha cambiato il testo¸ ha tolto il maestro buono¸ ha detto: “Maestro¸ che cosa devo fare di buono?” e la risposta di Gesù è diventata: “Perché mi parli del buono? Perché mi interroghi su ciò che è buono? Dio solo è buono” ed ha evitato¸ mentre Luca l’ha mantenuto¸ che ci fosse questa risposta di Gesù: “Perché mi chiami buono¸ nessuno è buono”. Certo¸ uno può dire che è una frase di convenienza¸ se però volesse dire – preparatevi allo scandalo – se però Marco avesse voluto dire: che Gesù diceva: “Guarda che io non sono buono totalmente perché nessun uomo è buono¸ neanche il Figlio nel quale il verbo si è incarnato¸ perché l’umanità non può recepire¸ essendo limitata¸ la bontà infinita di Dio”. La dogmatica dei primi secoli mi avrebbe subito condannato e quella del medio evo avrebbe preparato il rogo per bruciarmi¸ ma siccome¸ per fortuna¸ oggi c’è molta libertà di pensiero e di parola nella Chiesa¸ forse più che altrove perché altrove c’è la libertภsí¸ ma poi ti discreditano e ti calunniano per quello che hai detto. Se c’è una zona¸ invece¸ in cui uno si trova libero di dire e rispettato per quel che dice¸ mi dispiace¸ ma è proprio la Chiesa cattolica. Il primo spunto di riflessione è questo: è preziosa questa frase e questa volta Luca l’ha capita e l’ha conservata: “Perché mi chiami buono? Se ti rivolgi ad un uomo sappi che nessuno merita questo titolo perché soltanto Dio è buono senza riserve¸ gli altri sono tutte persone che si sforzano di essere buone ma non lo sono mai del tutto¸ soprattutto non lo sono sempre”. Pensare che Gesù¸ io tengo sempre presente quel profilo di Gesù che sta avviandosi verso la croce dove certamente muore da buono e da innocente¸ però Gesù sa che essendo un uomo la limitatezza dell’umanità totalmente non può mai rispecchiare né la sapienza né la grandezza di Dio¸ né la bontà assoluta ed infinita di Dio. E’ metafisicamente impossibile che Dio possa totalmente trasparire da un uomo¸ traspare in parte ma è filtrato. Questo diventerà poi il problema che¸ con un linguaggio completamente diverso e per noi diventato astruso¸ tra Micea¸ Efeso e Calcedonia porterà a quella contorta e complessa definizione delle due nature non mescolate¸ non divise¸ con la divina che prevale sull’umana ma non annulla niente dell’umano¸ ed è la percezione che quello che dico non è una sciocchezza. La trasparenza del divino in Gesù è una trasparenza che l’umanità rende inevitabilmente opaca quando si giunge al punto in cui l’umanità non è capace più¸ per i suoi limiti¸ di trasmettere l’immensità del divino. Si arriva la massimo possibile ma non al tutto. Con tutto questo¸ noi usiamo giustamente la parola Dio quando vogliamo sintetizzare¸ riassumendo l’aspetto più importante¸ come si può definire la personalità di Cristo perché in lui c’è una presenza divina infinitamente superiore a quella che si può trovare altrove ma¸ essendo uomo¸ c’è qualcosa di opaco che impedisce di vedere il tutto di Dio. Questa mi pare che sia una riflessione importante soprattutto se è fondata su questa frase che¸ ho l’impressione¸ risale veramente a Gesù perché avrebbe fatto difficoltà ai primi cristiani che incominciavano a chiamarlo non soltanto Figlio di Dio¸ che gli assomiglia moltissimo¸ ma¸ addirittura¸ Dio senza altre cautele o riserve. E Matteo la toglie¸ ripeto¸ perché è persona sempre più preoccupata¸ forse anche preoccupata che i suoi lettori non capiscano bene tutto. Non per nulla è molto in contatto con l’ambiente giudaico di allora che approfittava di ogni cosa per screditare la fede cristiana. Quindi¸ prudentemente: “Perché mi interroghi su ciò che è buono? Dio solo è buono”. Questa è una prima osservazione¸ che poi non ha molto rilievo nel resto del testo¸ se non per un aspetto che pure è interessante che quello che io vi ho detto sostituisce la citazione dei primi tre comandamenti che non viene fatta da Gesù. Gesù non dice a questa persona quello che dirà domenica prossima¸ mi pare¸ allo scriba: “Ama Dio con tutto il cuore e con tutta la mente”. Non cita né il primo¸ né il secondo¸ né il terzo comandamento¸ che è quello del sabato¸ perché tutto è sottinteso in questa frase iniziale: “Sta’ attento a come parli¸ una affermazione di assoluta bontà si può dire soltanto di Dio¸ per gli altri cerca qualche altro aggettivo meno forte perché Dio è diverso da tutto il resto”. Quindi rimane sottintesa una lezione sul primato di Dio¸ molto delicata¸ che verrà esplicitata in un altro episodio. Vengono citati i comandamenti ed il giovanotto risponde: “Tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza” ed è interessante che¸ e qui c’è un tantino di ironia se non di sarcasmo¸ che è un ricco il quale possiede molti beni¸ questo lo apprendiamo alla fine¸ vorrebbe anche avere in eredità la vita eterna ed è curiosa questa espressione. Ha tutto perché ha ereditato tutto¸ e poi forse ha aggiunto dell’altro¸ ed ha¸ mi pare¸ viene presentato come uno che ha una tendenza un pochino commerciale¸ anche quando si parla di premio eterno o di Regno di Dio¸ vorrebbe sapere che operazione deve fare per potere avere il diritto di ereditare. E’ una specie di concezione “Acquistare la vita eterna” commerciale ed è interessante perché molte volte le religioni si presentano con questa categoria del “do ut des”: io ti ho dato il sacrificio¸ tu fammi la grazia – tu fammi la grazia¸ ti faccio l’offerta. E’ un deterioramento della religione che è frequente¸ c’è perfino nel cristianesimo questa idea del “Bisogna acquistare¸ meritarsi comperandola con azioni buone la vita eterna”. E Gesù gli risponde: “Non è questione di comperare¸ tu devi vendere perché quello che ti manca non è la capacità di acquistare ma la capacità di rinunciare e di vendere”. Questo capovolge¸ questa è la conversione nel senso ebraico del termine cioè un capovolgimento totale dell’attitudine nei confronti della vita che questa brava persona aveva. Perché era brava ma non aveva capito che quello che avvicina l’uomo a Dio è il perdere non il trovare¸ è il privarsi non l’avere¸ è il rinunciare. E di nuovo noi vediamo tra le righe il primo comandamento: non avrai altro Dio a dispetto di me¸ letteralmente¸ e non ti farai immagine alcuna di quello che c’è sulla terra¸ nel cielo¸ nel mare per evitare di prostrarti e adorarla. Non si possono acquisire beni senza¸ tra virgolette¸ apprezzarli quasi con un atto di adorazione. L’attaccamento ai soldi¸ dice san Paolo¸ è idolatria. Bisogna stare attenti perché nella nostra cultura serpeggia che è invece¸ per carità nessuno si offenda¸ se c’è qui qualche orefice¸ il gioiello¸ il materiale prezioso che costa molto perché è raro e uno si sente comperato dai diamanti. Non c’è niente di male in tutto questo¸ c’è semplicemente la non-sapienza¸ c’è semplicemente il livello basso in cui si colloca l’uomo¸ l’avere è sempre un livello basso. C’era il famoso libro “Non curare l’avere ma l’essere” quello di Marcusi. E Gesù ragiona cosí: “Quello che ti manca è privarti¸ quello che ti manca è la capacità di non comprare più¸ di non fare l’elenco dei tuoi beni. E’ la capacità di essere te stesso soltanto”. Questo è il valore della povertà per cui uno i beni li può anche tenere¸ ci mancherebbe altro¸ anzi¸ li deve tenere¸ per precauzione¸ ma deve stare bene attento¸ come dice un altro testo in Luca¸ di non considerarli il sostegno della sua vita perché là dove c’è il tuo tesoro c’è il tuo cuore e se il tuo cuore è in banca allora sei un poveraccio. Tieni¸ ci mancherebbe altro¸ però distingui¸ liberati perché il tuo cuore deve essere dato a Dio¸ non puoi occuparti delle cose. Questa capacità di essere impegnatissimi¸ attenti bene¸ nel fare¸ nel lavorare¸ nel produrre¸ ma nello stesso tempo di non diventare mai schiavi di questo¸ di essere liberi servitori¸ imprenditori che il realtภsotto sotto¸ desiderano sempre che venga il momento in cui si priveranno di tutte queste cose per poter essere sé stessi e con la sola forza della propria mente e della propria intelligenza cercheranno la sapienza. Questo pensiero… vi ricordate che Paolo dice: “Non sono più io che vivo¸ è Cristo che vive in me” si può parafrasare “Non è il mio lavoro che vive in me¸ non è la mia professione che vive in me¸ ma è la ricerca del vero¸ l’amore¸ il bene”. Certo¸ in alcune professioni¸ penso alla classica figura del medico¸ è molto più facile poter identificare la professione con la dimenticanza di sé stesso e la ricerca del bene. Anche per l’insegnante dovrebbe poter valere questo perché c’è una diversità tra professione e professione. L’ecclesiastico dice sempre: Fortunato lo scriba che cerca la cultura¸ non il contadino ossessionato per forza¸ specialmente allora¸ a produrre il necessario per vivere. Allora questo è il pensiero che dobbiamo tenere in mente. Nel nostro piccolo¸ ricordiamoci anche noi che quello che veramente ci arricchisce è la capacità di privarci di ciò che non è veramente allo stesso livello di dignità della nostra mente¸ della nostra volontภdel nostro pensiero. Cerchiamo allora di trovare un po’ più di tempo e di spazio per occuparci delle cose che¸ con parola tradizionale¸ si chiamavano e si chiamano le realtà spirituali.