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Omelia XXVI DOM. T.O. B del 27 Settembre 2009

Possiamo interpretare questo brano di vangelo¸ almeno all’inizio¸ come abbiamo fatto per le domeniche precedenti¸ a cominciare cioè dalla prima profezia della Passione nel capitolo 8 di Marco perché¸ se ci pensate bene¸ l’atmosfera è ancora la stessa: Gesù e i discepoli si parlano¸ si incontrano ma non è spontaneo l’accordo tra di loro. Anche questa volta i discepoli hanno un atteggiamento diverso da quello di Gesù e vi ricordate che io presentavo questi capitoli di Marco dicendo che immagino Gesù che va verso Gerusalemme per affrontare la Passione¸ accompagnato dal gruppo dei discepoli¸ che non ha capito nulla di questo destino che attende Gesù¸ che si occupa d’altro: dei primi posti¸ chi è il più grande¸ se si deve¸ per esempio¸ impedire ad uno di tentare di cacciare i demoni nel nome di Gesù. Si occupa di cosette da poco in fondo¸ soprattutto con questa componente del diritto di precedenza¸ chi è il più grande¸ il primo¸ chi ha diritto di fare questo¸ mentre Gesù ha in mente altre cose perché¸ come dicevo¸ sta preparandosi al momento conclusivo della sua vita¸ nel quale offre tutto sé stesso per il bene degli altri in un mistero di accettazione della morte che¸ come dicevo la volta scorsa¸ nessuno è ancora riuscito a spiegare in maniera soddisfacente perché nel piano di Dio fu ritenuto necessario. Perché fu necessario che per il bene dell’umanità Gesù morisse¸ cosí come è morto¸ sulla croce. Cioè perché fu necessario scegliere questa via dell’umiliazione¸ della sofferenza¸ del silenzio¸ del fallimento invece di un’altra via che poteva essere quella del potenziamento delle capacità e delle virtù umane. Questo è il grande mistero della croce che caratterizza la visione cristiana delle cose e che è difficile da integrare in un sistema di pensiero razionale. Si può arrivare al ragionevole ma non si arriva mai al razionale. Per cui rimane questo contrasto tra la interiore serietà di Gesù che si prepara a questo atto¸ che forse come uomo neanche lui capisce fino in fondo perché sia dovuto¸ accompagnato a dei discepoli ai quali è inutile parlare di questo perché non ci arrivano e si occupano si altre quisquilie¸ di cosette da poco. E¸ come dice il testo¸ Giovanni¸ chissà poi perché lui e non altri¸ gli chiede se hanno fatto bene cercando di impedire ad una persona di compiere quella scacciata di demoni di cui si parla. La vecchia traduzione aveva il passato: “Abbiamo visto uno che scacciava i demoni¸ glielo abbiamo impedito”¸ la traduzione nuova ha scoperto¸ cosa che qualunque alunno di IV ginnasio sarebbe stato capace di fare¸ ma qualche volta anche i dotti sono ignoranti¸ ha visto che in greco c’era l’imperfetto¸ non “L’abbiamo impedito” ma “Glielo impedivamo”¸ allora i nuovi traduttori¸ per valorizzare l’imperfetto hanno aggiunto “Volevamo impedirglielo” cosí prima si esagerava nella banalità di un fatto accaduto¸ scoperto l’imperfetto non ci si è accontentati “Noi glielo impedivamo” lasciando al lettore di indovinare se sono riusciti o no ad impedirglielo perché probabilmente questo voleva scrivere l’evangelista. Queste sono inezie¸ solo per dire però che la correttezza¸ il compito senza errori¸ non è facilmente raggiungibile. Dopo anni di revisione della Bibbia¸ c’è ancora questa piccola discutibile scelta. Il problema che soggiace a questo episodio è un altro: fino a che punto diventa un precetto di Gesù¸ che anche noi dobbiamo seguire¸ questa tolleranza¸ questa fiducia? Tra l’altro con una motivazione che¸ anche questa¸ è di una persona che si sente debole: “Non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlar male di me”. Magari dopo sí¸ ma lí al momento… Anche questo subito fa pensare¸ in greco sarebbe velocemente e immediatamente¸ quasi a dire: “Ho pochi giorni di vita¸ devo andare sulla croce¸ non succederà niente adesso se gli fate fare i miracoli”. E’ strano tutto questo. Quel piccolo avverbio che noi possiamo interpretare “Fino a quando si può avere fiducia¸ fino a quando ci si può fidare? Lascialo fare¸ per adesso non fa niente di male”. E’ questa situazione di precarietà e di debolezza. Ora¸ probabilmente quando l’evangelista scriveva ricordando queste cose aveva presente la situazione delle Chiese del suo tempo: piccole comunità sparpagliate nel mondo pagano¸ intimidite¸ non sicure si aver fatto la scelta giusta diventando cristiani¸ accusati dagli ebrei perché non osservavano la legge¸ infastiditi da predicatori che venivano a complicare le cose. E allora nella mente di Marco¸ e di tanti altri¸ vengono in mente questi ricordi di Gesù. La situazione della Chiesa è una situazione sempre di debolezza¸ di incertezza¸ difficoltà di valutare¸ di giudicare. E’ questa precarietภche tra l’altro assomiglia alla nostra attuale situazione. In decenni passati la Chiesa aveva un suo prestigio¸ una sua sicurezza¸ un po’ posticcia¸ se volete¸ infatti è poi crollata¸ ma si sentiva capace¸ era convinta di avere ragione e di poterlo dimostrare. Oggi è cambiato tutto e siamo in questa situazione. Ci sono protestanti¸ ortodossi¸ una quantità di sette cristiane negli Stati Uniti che arrivano anche da noi. Chi è che ha ragione? Han tutti diritto di profetare: “Dio mi ha detto…”¸ “Dio è cosí!”¸ tutti¸ come nella prima lettura e la posizione di Gesù assomiglia effettivamente a quella di Mosè. “Ma lasciali fare!”¸ che è un “Lasciali fare” che non sottoindente¸ direi¸ fiducia che lí ci sia la verità ma piuttosto tolleranza perché il problema religioso è sempre difficile da capire¸ non abbiamo nessuna certezza limpida neanche noi. E’ un orientamento che conserviamo¸ accorgendoci che forse non ne siamo convinti fino in fondo neanche noi¸ come vi ho detto tante volte¸ non vogliamo andarcene o buttar via questo patrimonio perché comprendiamo che è importante¸ che è utile¸ che va¸ anche questa è una parola che ho già usato perché oggi la usano alcuni filosofi¸ è qualcosa che dobbiamo tenere come ospite nella nostra casa mentale. La fede religiosa non è il padrone della nostra vita¸ non è il maestro infallibile o il giudice severo. E’ un ospite che ogni tanto ci fa qualche osservazione e vorremmo impedirglielo¸ ma alla fine Gesù ci dice: “Ma no¸ ascoltalo!”. Secondo me questa concezione della ospitalità potrebbe aiutare molti a rimanere affezionati alla tradizione cristiana ed alla ricchezza di pensiero e di simboli¸ di gesti¸ di azioni¸ di riti che c’è nel mondo cristiano proprio perché li considera come un compagno che ogni tanto si va a trovare¸ un ospite che si riceve volentieri in casa propria¸ appunto nella casa della nostra mente¸ perché ci aiuta¸ ci fa pensare¸ magari non ci convince del tutto ma comprendiamo che ascoltarlo ci fa bene. Questo modo modesto di concepire la fede¸ che non è più il credere con fermezza assoluta tutta la retorica della fermezza che era poi caratteristica¸ fra l’altro¸ della concezione dell’A.T.¸ potrebbe essere sostituita non da una tolleranza per semplice¸ buona educazione ma da una ospitalità che¸ come continuamente ripetiamo¸ ci fa capire che anche quello che di solito noi non pensiamo¸ quello che non ci convince del tutto¸ può essere un valore. Essere nella Chiesa come ospiti affezionati che¸ magari¸ non obbediscono a tutto quello che dice ed essere una Chiesa¸ la parte gerarchica¸ che accetta ed accoglie questi ospiti saltuari. Questo¸ secondo me¸ sarebbe il modo più intelligente e più vicino a questa sensibilità di Gesù che anche la Chiesa odierna dovrebbe adottare. Lo adotta¸ in fondo¸ ma ogni tanto qualcuno vuole maggior rigore. E questo è quello che mi viene suggerito dalla prima parte del Vangelo. La seconda¸ sulla quale non ho più tanto tempo di fermarmi¸ secondo me anche questa messa qui al capitolo 9 di Marco in quel viaggio verso la croce¸ anche questa seconda parte¸ secondo me¸ riflette l’interiore turbamento dell’animo di Gesù. “Se la tua mano ti scandalizza¸ tagliala¸ se il tuo piede ti scandalizza¸ taglialo”. Sembra che parli di sé stesso: “Se io mi immagino la croce¸ mi vien voglia di scappare ma devo frenare questa immaginazione perché devo andare. Se ascolto i miei piedi mi dicono: Fai dietro front¸ manda sulla forca Gerusalemme¸ Dio. Lascia perdere”. Ma¸ come dice il salmo: I precetti del Signore fanno gioire il cuore¸ magari non subito¸ ma dopo. Il coraggio di essere severi e costanti con sé stessi¸ che sembra essere il contrario di quello che ho detto prima perché il grande criterio che ci deriva¸ in fondo¸ da queste pagine è: tolleranti¸ indulgenti¸ comprensivi con gli altri¸ capaci¸ con la volontà ferma di veder nell’altro il bene¸ non il male¸ ma severi con sé stessi perché¸ come disse Gesù anche un’altra volta¸ “Il male non viene dal di fuori ma viene dal di dentro”. Sono le tue mani¸ i tuoi piedi¸ i tuoi occhi che ti rendono cattivo. Forse anche la societภqualche volta¸ ti dà una mano in questo ma non scaricare le colpe sugli altri¸ tollerante con gli altri¸ severo con te stesso¸ soprattutto quando ti rendo conto che sei insidiato da pigrizia¸ da interessi meschini¸ dall’immediatezza del bisogno. Mani¸ piedi¸ occhi. Valorizza invece la tua interiorità più profonda¸ la quale ti dice: “Abbi coraggio¸ sei un uomo¸ cerca di dominarti¸ cerca di non essere schiavo della immediatezza delle sensazioni¸ della corporeità che ti domina. Sii più forte degli impulsi che ti vengono dalle tue membra e da questa attitudine nasce l’impegno cristiano di vigilanza¸ di controllo. Il cristiano non si lascia andare a fare quello che immediatamente gli viene suggerito dalla sua sensibilità istintiva¸ è sempre uno che pensa e che cerca di frenarsi. Quindi la bontà che usiamo verso gli altri viene compensata dalla severità verso noi stessi.