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Omelia III QUARESIMA B del 15 Marzo 2009

Anche in questa domenica¸ come nelle precedenti¸ mi pare che la lettura più interessante sia la prima e quindi continuiamo a riflettere sull’A.T. Nelle due letture delle domeniche passate abbiamo incontrato diverse interpretazioni dell’attitudine di Dio nei confronti dell’umanità. La prima domenica c’era la conclusione del castigo del diluvio e Dio appariva come colui che si era pentito di aver esagerato nella punizione e faceva la promessa di custodire la terra in maniera che non andasse più in rovina e¸ di conseguenza¸ anche l’uomo non era più in pericolo di scomparire dalla faccia della terra. E probabilmente¸ dato che il segno era l’arcobaleno¸ quella domenica ci è apparso Dio soprattutto come colui che custodisce l’intera creazione¸ non soltanto gli uomini. Domenica scorsa la storia di Isacco¸ che abbiamo meditato riflettendo soprattutto come l’avevano interpretata gli antichi ebrei¸ non ci ha dato un messaggio ben definito sulla descrizione¸ sulla presentazione che quel testo fa del modo di comportarsi di Dio. Anzi¸ direi che dopo aver letto ed anche commentato quella lettura il modo di comportarsi di Dio ci appare sempre inspiegabile e¸ in fondo in fondo¸ avevamo apprezzato il tentativo della lettura ebraica di esaltare soprattutto la figura di Isacco come colui che si era comportato con grande dedizione interiore¸ con grande disposizione ad ubbidire a Dio in tutto. Il comportamento di Dio ci era sembrato difficilmente comprensibile per quel suo desiderio di mettere l’uomo di fronte alla decisione di dover accettare la morte per poi liberarlo in extremis e l’unica cosa che avevamo concluso¸ o che ci sembrava di poter concludere¸ era che lí appariva Dio il quale insieme con noi¸ per metterla in maniera dolce¸ cerca di farci capire il mistero della morte. Ma restava una lettura priva¸ direi¸ di conclusioni chiare. Faceva piacere scoprire che Dio non ignora il problema della morte ed in un certo senso ci spinge a riflettere su questo mistero. Oggi la situazione è notevolmente differente perché andiamo avanti nel tempo e siamo all’episodio del Sinai¸ quando Dio consegna a Mosè i comandamenti. Ed allora questa volta Dio appare come il legislatore¸ come la guida per la vita del suo popolo. Anche qui¸ però¸ troveremo delle espressioni che ci lasceranno un po’ meravigliati¸ perplessi. Come sempre dipendono dalla cultura nella quale la Bibbia è stata composta perché chi parla di Dio in tutti questi testi non è Dio¸ sono gli uomini che cercano di interpretare¸ nella loro esperienza religiosa¸ cercano di interpretare quello che Dio potrebbe dire. Quindi tutta la Bibbia è opera umana¸ di uomini che lo Spirito Santo ha aiutato ad indovinare come si potrebbe descrivere Dio. E la descrizione del diluvio ci era sembrata nitida¸ chiara. Quella di Isacco c’era sembrata piuttosto scura ed enigmatica. Direi che quella dell’Esodo ci appare paternalistica¸ non paterna che è diverso¸ perché Dio è presentato come il grande sovrano¸ la maestà imperiale che¸ avendo fatto del bene al suo popolo¸ adesso gli dà le direttive perché lo serva¸ ubbidisca ai suoi comandi. “Io sono il Signore tuo Dio che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto¸ dalla condizione servile”. Dietro queste parole ci sta l’affermazione “Se non c’ero io tu eri schiavo in Egitto dove ti massacravano di lavoro¸ ti ammazzavano i figli maschi e ti portavano via le femmine per portarle nelle case dei notabili di Egitto e sfruttarle e tu avresti continuato per tutta la tua vita a fabbricare mattoni. Io ti ho tirato fuori da quella casa di schiavitù nella quale dovevi ubbidire al faraone che ti trattava come un lavoratore che non vale niente e ti lasciava morire nella tua fatica di fabbricare mattoni e ti portava via i figli. Adesso sei fuori da quella schiavitù ma hai un altro Signore che è Dio ed il Signore Dio ti presenta le sue esigenze”. E’ diverso dal faraone però nel sottofondo lo scrittore presenta l’agire di Dio come quello dell’imperatore buono¸ è l’anti-faraone¸ il faraone benevolo¸ è l’antitesi dell’oppressore che è un liberatore ma che non ti permette ancora di essere tu stesso che decide della sua vita. E’ colui che ti dice: “Adesso ubbidisci a me¸ ho diritto di chiederti questa ubbidienza perché ti ho tirato fuori dalla miseria dell’Egitto”. Anche questo¸ capite¸ è un concetto antico¸ arcaico di Dio però è curioso che la Chiesa ce lo ripresenti perché ha ancora una validità. Noi non sappiamo che cosa dobbiamo accettare di questa visione divina¸ certo ripugna un po’ al nostro modo abituale di concepire Dio e ripugna soprattutto al senso della dignità della persona umana che noi adesso diamo come scontato. Probabilmente gli ebrei¸ che si sentivano come schiavi liberati da un oppressore crudele¸ adesso respirano perché sono in casa di un padrone buono il quale si limita a castigare quelli che lo odiano fino alla terza e quarta generazione e non oltre. Quattro generazioni sono quelle che convivono nella medesima famiglia¸ sono il bisnonno¸ il nonno il papภil bambino. Colpisce quelli che hanno assistito al male compiuto poi basta¸ non se ne parla più. E non si dice neanche se il castigo sarà severo¸ si dice semplicemente che si limita a castigare¸ vale a dire che non estende l’odio per le generazioni¸ dimentica. E’ un sovrano illuminato¸ deve intervenire per punire perché se nessuno punisce allora torniamo al caos che ha provocato il diluvio. Si limita a punire coloro che hanno sostanzialmente partecipato¸ sia pure inconsapevolmente¸ al massimo la quarta generazione. Ma per quelli che lo amano c’è la bontà senza limiti¸ mille generazioni. E questa è la generosità. Loro vivono questa gioia di aver trovato in Dio non uno come il faraone che ti porta via i figli ma uno che ti castiga per quel che è necessario ma se gli vuoi bene e gli stai sottomesso ti assicura per sempre la protezione. E loro allora si sentono tranquilli¸ si sentono protetti¸ si sentono sicuri. Mi pare che sia bello pensare questa esperienza ricostruibile dal testo di come questi ebrei devono aver percepito: “Fortunati siamo¸ abbiamo un Dio che ci ha liberato. E’ un Dio esigente¸ ma ci mancherebbe altro¸ è esigente perché lo dice lui stesso: Io sono geloso¸ vi voglio bene¸ vi considero miei¸ guai se qualcuno vi tocca. In altri testi spiegherà che “Se qualcuno osa farvi del male io lo stermino”. Del resto l’ha fatto con il faraone¸ l’ha precipitato nel mare. Questo è il Dio geloso. Chiede una cosa chiede di non essere sostituito da nessun altro¸ chiede di non andare a cercare alternative o concorrenti. Deve essere lui solo quello che viene onorato e amato e vuole un’altra cosa¸ che pure è interessante¸ e che noi cristiani¸ devo dire¸ abbiamo completamente ignorato: che non se lo immaginino¸ che non lo raffigurino¸ anzi che non raffigurino niente. Questa proibizione delle immagini¸ che spesso consideriamo una arcaica abitudine di un popolo primitivo e alcuni filosofi l’hanno analizzata con attenzione¸ questa proibizione dell’immagine ha un suo contenuto importante. E’ il modo¸ simbolico s’intende¸ per dire: Non credere che quello che la tua testa è capace di formulare come raffigurazione della realtà corrisponda veramente alla realtà. Direi che c’è qualcosa di kantiano in questa proibizione dell’immagine. “Voi uomini sovrapponete alla realtà il modo di funzionare del vostro cervello¸ le vostre categorie a priori: il tempo¸ lo spazio¸ la causa¸ la misura. E’ il vostro cervello che funziona cosí¸ la realtà vi corrisponde abbastanza¸ non siete fuori¸ capite molto nella realtà ma c’è di più. Non segnarla sulla carta la tua diagnosi¸ non raffigurartela davanti come se potesse in essa rispecchiare tutto il reale. E parafrasando la frase di Amleto: ci sono più cose nella realtà di quelle che puoi pensare con la tua testa. Questa è la proibizione dell’immagine. Dio è più grande di quello che pensi¸ è diverso¸ non pensare di sapere chi è e non cercare di disegnarlo. E qui il mondo cristiano e soprattutto quello cattolico è colpevolissimo di follie pittoriche: ha disegnato Dio¸ il vecchione con la barba¸ il triangolo con l’occhio. Bestemmie. Le teniamo¸ per caritภperché nella storia delle capacità pittoriche dell’uomo¸ ovvero nella storia delle arti figurative¸ hanno la loro importanza. Se si fossero limitate a rappresentare figure umane sarebbero state delle notevoli immagini. La pretesa che l’uomo possa dipingere il divino o le opere di Dio direi che rasenta sempre la bestemmia. E giustamente gli ebrei non disegnano¸ rispettano il comandamento. Noi l’abbiamo ignorato completamente. Il grande imperatore che è Dio che è buono ma riservato¸ vuole essere rispettato¸ pretende anche un’altra cosa: che non lo si nomini neppure. “Non pronuncerai il nome del Signore tuo Dio invano”. Invano può voler dire tante cose cioè può voler dire in maniera peggiorativa può semplicemente voler dire senza che ce ne sia necessità e gli ebrei¸ come sapete¸ per paura di sbagliare¸ hanno deciso di non pronunciarlo mai ed usano altri titoli¸ metafore¸ simboli. E anche questo è segno di un’esperienza religiosa profonda che noi cattolici non siamo abituati a fare. Dio non lo conosciamo¸ lo conosciamo molto meno di come conosciamo la realtà sub-atomica¸ lo conosciamo molto meno di come conosciamo l’astronomia. Io continuo ad essere convinto che le persone che possono avere facilmente un’esperienza analoga a quella religiosa antica¸ a quella religiosa autentica¸ sono gli scienziati e soprattutto quelli che si occupano della ricerca dell’infinitamente piccolo¸ sia nelle sostanze immateriali sia nella biologia¸ e quelli che si occupano dell’immensamente grande¸ perché questi si rendono conto che le loro formule descrittive sono sempre provvisorie e sanno che sfugge loro ancora l’ultima spiegazione. La maggioranza di loro non crede in Dio¸ ma secondo me in quello che accade nella loro mente quando pensano alla fatica della loro ricerca¸ alla grandiosità dei risultati che ottengono¸ all’impensabile grandiosità degli esperimenti che fanno questi capiscono chi è Dio. Non ne pronunciano il nome e in questo sono più religiosi di chi lo pronuncia invano. Secondo comandamento¸ quello di non pronunciare il nome¸ anche questo noi l’abbiamo trascurato e parliamo di Dio come se fosse il nostro vicino di casa. Tralascio tutte le altre cose e pongo soltanto una domanda: il fatto che Gesù sia il nuovo tempio nel quale Dio abita¸ perché questo è il significato del Vangelo¸ l’ebreo andava a cercare Dio nel tempio e non vedeva niente perché anche i sacerdoti quando nel momento culminante del loro culto entravano nel Santo dei Santi dove Dio abita¸ non vedevano nulla¸ perché c’era il buio assoluto e non c’era niente. Guardando Gesù io posso invece vedere qualcosa di Dio ma non Dio¸ io vedo solo l’uomo. C’è una componente del divino che si chiama Figlio che gestisce la vita umana di Gesù ma non la si vede. La domanda che io pongo è questa: il fatto di poter contare sulla presenza del Figlio di Dio in Gesù¸ mi autorizza a trattare Dio come se fosse uno come me? Autorizza quell’antropomorfismo latente ma continuamente operativo per cui consideriamo Dio uno che ragiona come noi¸ che pensa come noi¸ che è come noi e lo nominiamo senza il minimo timore di sbagliare banalizzando completamente il suo nome¸ la sua immagine? Pregandolo distrattamente. Un antropomorfismo blasfemo percorre lei devozioni e qualche volta perfino la solennità liturgica della Chiesa¸ specialmente cattolica. Forse il ritorno alla severità e all’umiltà dell’A.T. è una buona educazione perché purifichiamo la nostra attitudine nei confronti di Dio. Rispettiamolo almeno come rispettiamo il nucleo interno dell’atomo che cerchiamo di esplorare con la ricerca scientifica.