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Omelia IV AVVENTO B del 21 Dicembre 2008

Per fortuna alcune domeniche fa avevo già incominciato a parlare del simbolo come caratteristica del modo di scrivere della Sacra Scrittura perché questa insistenza sul valore simbolico delle parole bibliche ci sarà di aiuto anche oggi. Prendo spunto per le riflessioni da alcuni particolari secondari del testo che abbiamo letto. Il primo è questo: probabilmente voi vi ricordate che nel Vangelo di Luca¸ prima di questo annuncio a Maria¸ c’è l’annuncio a Zaccaria della nascita di Giovanni e le due annunciazioni sono certamente pensate come parallele¸ ma ci sono alcune differenze tra il modo di presentare la figura di Giovanni e il modo di presentare quella di Gesù da parte dello stesso angelo¸ perché è sempre Gabriele che parla sia a Zaccaria sia a Maria. Dal punto di vista della lunghezza vengono dette molte più cose del Battista di quante non se ne dicano di Gesù. Anche di lui si dice che sarà grande “Sarà grande davanti al Signore” poi si dice che “Fin dal seno di sua madre sarà pieno di Spirito Santo” e per Gesù questo non si dice. Poi si precisa che “Camminerà nella forza del profeta Elia”¸ si dice anche che farà in modo con la sua predicazione di riconciliare il cuore dei padri con i figli e preparerà a Dio un popolo ben disposto. E’ interessante notare quante cose si dicono del Battista e con una certa precisione e lo si loda per quello che ha fatto e che farà e si mettono in evidenza anche gli effetti spirituali e religiosi della sua predicazione: preparerà il popolo ben disposto¸ camminerà davanti al Signore. Di Gesù si dice molto meno¸ sostanzialmente si dicono due cose: anche di lui si dice che sarà grande poi verrà chiamato Figlio dell’Altissimo e questa affermazione è ripetuta più avanti “Sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio”. E qualcuno si è chiesto come mai Luca dice due volte più o meno la stessa cosa e oltre a questo si dirà soltanto che il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine. Possono sembrare sottigliezze le mie osservazioni però l’impressione che si può ricavare è questa: Luca¸ scrivendo questo testo¸ del Battista dice tutto in una volta¸ anche perché nello schema del suo vangelo¸ dopo il Capitolo 4¸ non parlerà praticamente più di Giovanni Battista¸ dirà che è stato messo in prigione e che dopo che è stato messo in prigione Gesù ha incominciato il suo ministero. Chiude la storia di Giovanni all’inizio come una specie di prefazione e poi non ne parla più proprio perché di Giovanni si può dire quello che è stato perché è un uomo che fa parte della storia controllabile¸ fa parte di una testimonianza umana che¸ come tanti profeti dell’A.T.¸ anche lui aveva dato. Quello che fa il Battista lo si può descrivere con una certa precisione¸ anche per descrivere Giovanni si usano espressioni con un certo tenore simbolico¸ però alla fine si può dire quasi tutto quello che lui ha fatto. Il Battista è definibile¸ si può definire la sua figura. Se l’avete notato tutti i testi che leggiamo sul Battista in questa epoca natalizia tendono a definire¸ nel senso etimologico della parola¸ cioè a circoscrivere¸ a chiudere entro una didascalia sufficientemente completa¸ precisa a cui non si aggiunge più niente¸ quello che il Battista è stato. E’ un modo per accettarne e affermarne il valore¸ ma nello stesso tempo chiarire che quanto si è detto è sufficiente¸ basta questo. Non c’è altro da aggiungere¸ si può spiegare al massimo quello che si vuol dire¸ ma del Battista si può dire tutto. Per Gesù non è cosí. Gesù nessuno¸ all’interno di tutto il N.T.¸ nessuno è capace di definirlo. Se per definire s’intende quello che dicevo prima¸ cioè circoscrivere¸ fare la scheda completa. Gesù è questo¸ ha fatto questo e questo. Basta¸ non è possibile. E il discorso volutamente viene lasciato aperto e tutto quello che si dice di lui assume dei significati sempre simbolici che dicono qualcosa di lui¸ qualcosa di veramente adeguato¸ ma che è sempre troppo poco rispetto a quello che bisognerebbe dire. Un po’ come scrive San Paolo nella conclusione della Lettera ai Romani che abbiamo letto come seconda lettura: “La rivelazione del mistero¸ avvolto nel silenzio per secoli eterni ma ora manifestato mediante le scritture dei profeti per ordine dell’eterno Dio¸ annunciato a tutte le genti perché giungano all’obbedienza della fede”. Nascosto nel silenzio¸ manifestato. Manifestare non significa definire¸ non significa dare un titolo riassuntivo e dire: “E’ cosí e basta”. E la cosa è ancora più evidente nei vangeli e il vangelo di Luca sotto questo profilo¸ direi che è molto fine perché quel che dice di Gesù ora bisognerà arricchirlo leggendo tutto il testo fino alla fine di una quantità di altre cose. E c’è un aspetto che direi rasenta l’ironia e mi pare di avere già detto altre volte che secondo certi studiosi di oggi anche nella Sacra Scrittura bisogna riconoscere che l’utilizzo dell’ironia è frequente ed è utilizzato per delle finalità molto elevate. La cosa più ironica che c’è nel testo di oggi “Il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine” una bugia cosí l’arcangelo Gabriele poteva fare a meno di dirla. Che Gesù si possa chiamare re e come dice lui stesso a Pilato “Non di questo mondo” è vero¸ ma che questo si possa chiamare “trono di Davide suo padre” questa è proprio un’ironia che rasenta il sarcasmo. Il “trono di Davide suo padre” era uno sgabellino che non è servito quasi a niente nella storia degli ebrei e che soltanto per coloro che l’hanno idealizzato e fatto diventare simbolo di qualcos’altro può avere una sua consistenza e serietà di significato. A Gesù non è mai stato dato il “trono di Davide suo padre”. E’ vero che l’hanno acclamato “Osanna al Figlio di David!” ma per poterlo crocifiggere cinque giorni dopo e quegli stessi che la Domenica delle Palme hanno gridato “Osanna al Figlio di David!” lo sbeffeggiavano quando l’hanno visto sulla croce. Il trono di Gesù è la croce che non è il trono di Davide e Gesù non regna per sempre sulla casa di Giacobbe. E’ strano questo modo di scrivere¸ forse non ce ne siamo accorti in epoche passate¸ ripeto¸ è una cosa abbastanza recente quella di chiamare¸ sottolineare¸ ma questa è ironia. Ma ironia non fatta per disprezzare¸ per scherzare¸ per prendere in giro¸ ci mancherebbe altro¸ quello che si ironizza non è Gesù è il nostro modo di dire le cose¸ sono le nostre costruzioni interpretative¸ sono le nostre definizioni. E’ curioso che Luca dica che l’angelo ha detto cosí a Maria e lei poverina forse ha pensato: “Diventerò la madre del Messia che diventerà re a Gerusalemme¸ ritorneremo ad essere uno stato indipendente¸ non ci saranno più i romani. Chissà come si vestirà bene mio figlio¸ il re che regnerà per sempre sulla nostra razza¸ sul nostro popolo”. E poi¸ piano piano¸ questa donna¸ che come giustamente ci dirà Luca conservava tutto nel suo cuore¸ capirà che è ben diversa la faccenda. E verrà un giorno in cui si accorgerà che quella potenza dello Spirito che è scesa su di lei e quell’ombra che l’ha ricoperta la rivivrà in una maniera molto più completa e profonda¸ quando¸ come dice Luca¸ insieme con i Dodici il giorno di Pentecoste vede lo Spirito scendere in altra forma: c’è il tuono¸ c’è il rumore¸ c’è il vento quindi la nube rimane ma c’è il fuoco che viene sulla testa dei discepoli che diventano i predicatori. E Luca vuole che non definiamo niente ma vuole soprattutto che noi aspettiamo per vedere come va a finire. E quando saremo arrivati alla fine non cancelleremo queste parole di Gabriele¸ anzi¸ gli telefoneremo che ci è stato utile quello che lui ha detto perché ci ha fatto capire che era solo un modesto simbolo di qualcosa di infinitamente più grande. Il Signore Dio non gli ha dato il trono di Davide¸ che non serve più a niente¸ e non gli ha detto di regnare sulla casa di Giacobbe ma¸ eventualmente¸ di regnare sulla casa di tutti gli uomini e Luca queste cose incomincerà a dircele fra pochi giorni¸ quando chiamerà i pastori. Il primo trono¸ che non è di Davide¸ sul quale¸ e questo l’ho detto mille volte¸ sarà la mangiatoia¸ Gesù nella mangiatoia è Gesù sul trono. Quello che voglio dire¸ per concludere¸ è che soltanto questa via dell’attenzione al testo¸ del simbolo¸ dello svolgimento narrativo dei testi ci aiuta a capire la profondità di quello che la Scrittura ci manifesta¸ ci svela¸ ci fa pensare. Guai a quelli che definiscono¸ cioè che circoscrivono. Mi scappa detto¸ tanto ormai siete abituati alle mie battute che vorrebbero scandalizzare¸ il nemico principale della Sacra Scrittura è il dogma il quale dice: “E’!” Non “E’!”¸ lascia stare il verbo¸ racconta¸ immagina¸ descrivi¸ significa. I verbi giusti sono: allude¸ accenna¸ parla.¸ specie se poi all’ “è” segue un concetto¸ una parola definita. Il secondo nemico è il catechismo che¸ anche lui fa domanda e risposta¸ specie quando è sotto forma di compendio. Mette a tacere la parola di Dio la quale invece ha diritto di continuare a farci pensare¸ sognare¸ immaginare e¸ adesso¸ anche il trono di Davide… nessun trono ma la grandezza stessa di Dio dentro nella sua umanità. E allora capiamo che le due parole giuste sono “Figlio dell’Altissimo” e “Figlio di Dio”. Ma anche qui notate la finezza dell’evangelista che non usa il verbo essere ma “Sarà chiamato” per dire proprio che Dio preferisce che alle conclusioni ci arriviamo con la nostra riflessione¸ dando credito alla parola¸ con la nostra fede che rinuncia ad avere le prove e si accontenta degli indizi e dei suggerimenti del simbolo ed¸ alla fine¸ acclama e dice: “Figlio di Dio” e “Figlio dell’Altissimo”. E questa mi pare che sia l’obbedienza della fede di cui parlava san Paolo “Annunciato a tutte le genti perché giungano all’obbedienza della fede a Dio che solo è sapiente per mezzo di Gesù Cristo la gloria nei secoli. Amen”.