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Omelia III AVVENTO B del 14 Dicembre 2008

Il vangelo mette insieme la frase del prologo¸ i versetti 6-8 del primo capitolo del vangelo dove si accenna alla venuta del Battista poi salta tutto il resto e attacca l’aneddoto della testimonianza resa dal Battista quando da Gerusalemme mandano della gente per interrogarlo e in questo modo il taglio della lettura liturgica darebbe ragione a quegli esegeti i quali ritengono che forse una volta il quarto Vangelo incominciava cosí¸ come abbiamo letto stamattina e che poi venne aggiunto l’inno del prologo con tutte le sue riflessioni teologiche. Direi che la lettura di questo Vangelo mi fa venire in mente due cose. La prima è questa: non so se vi siete mai domandati da dove è venuta e perché è saltata fuori questa idea¸ questa speranza che bisogna aspettare una persona perché sistemi tutto. Tecnicamente si dice speranza messianica¸ dove la parola messianico non significa più etimologicamente come pensavano alcuni ebrei la speranza in un re ma semplicemente speranza in una persona dalla quale deriverà il riassetto del mondo in maniera tale che scompaiano le ingiustizie¸ tutto si ricompone e da quel momento in poi si va avanti bene. Da dove è venuta questa idea? Io lo dico perché ho l’impressione … intanto non sappiamo da dove è venuta¸ perché si è pensato questo? Perché è venuta fuori l’idea che deve venire uno? Perché per esempio non è nata l’idea che debbano essere più di uno? Oppure che debba succedere qualche altra cosa per cui tutti insieme ci mettiamo a migliorare le cose? Deriva forse dalla constatazione dell’impotenza nostra¸ della nostra incapacità di fare gruppo¸ di fare l’equipe? Allora non c’era neanche la parola “equipe”… chi ha suggerito di far derivare tutto da uno? Questa è una domanda alla quale io non so rispondere. Risponderanno i sociologi¸ gli etnologi. Gli animali non aspettano uno¸ al massimo c’è il branco. Perché gli uomini aspettano uno? Per cui quando viene il Battista di questo uno loro si sono fatti un’idea. Sarà il Re¸ il Messia¸ sarà un profeta come Elia. Vanno dal Battista pensando che sia lui magari l’uno e glielo domandano. “No¸ però dopo di me viene quello che voi aspettate”. E’ interessante perché il cristianesimo e il musulmanesimo¸ più fortemente il cristianesimo però¸ sono le religioni dell’uno: il Salvatore¸ il Profeta. Un solo Dio¸ un solo Messia¸ un solo popolo santo¸ una sola via di salvezza¸ uno solo. Le altre religioni o sono politeiste o hanno altre concezioni. Il cristianesimo poi è stato più perentorio di tutti gli altri perché ha detto: “Sí¸ c’è questo uno che viene¸ è addirittura identico con Dio”. La settimana scorsa nelle due feste¸ adesso dico una cosa per scandalizzarvi un po’¸ io ho insistito molto sul fatto che spesso il discorso biblico è un discorso simbolico¸ cioè si usano immagini¸ termini¸ titoli i quali si riferiscono a realtà nostre umane e vengono però adoperati per dire che queste realtà umane raffigurano¸ fanno pensare¸ indirizzano verso qualcosa di infinitamente più grande che non è esprimibile con concetti¸ con parole. Si può soltanto additarlo da lontano a simbolo. E’ come se¸ adesso dico la frase scandalosa¸ quando si dice che Gesù è Dio s’intende come se … è cioè un linguaggio simbolico o è un linguaggio che dice la realtà della cosa? Può darsi che in altre domeniche¸ dato che il periodo natalizio ci porterà più volte a riflettere su questo titolo¸ possiamo riprendere questo discorso. E’ un discorso allarmante ma viene fatto¸ non l’ho inventato io¸ è un pezzo che viene fatto questo discorso. Ma questo era solo per sottolineare come all’interno del cristianesimo questa fiducia nell’uno da cui tutto deriva¸ per cui senza di lui è praticamente quasi tutto perduto è caratteristica del nostro modo di credere. Quello che io volevo poi aggiungere è che secondo me sarebbe interessante approfondire di più come mai è nata questa convinzione¸ questa proiezione sull’uno che in san Paolo diventa uno schema mentale dominante: “Un solo Adamo¸ un solo Cristo¸ una sola sorte di perdizione¸ una sorte di salvezza”. Bisognerebbe studiare come è nato questo¸ a quali esigenze del nostro spirito¸ del nostro modo di ragionare¸ di interpretare le cose corrisponde questo perché è chiaro che oggi questo schema è in crisi. E’ lo schema dell’uno che è in crisi¸ c’è ancora¸ serpeggia ancora lo schema dell’uno. Pensate alla tensione tra democrazia e protagonismo del leader eletto¸ la democrazia sta diventando soltanto una metodologia per scegliere l’uno¸ l’Obama di turno¸ il salvatore¸ il messia¸ in piccolo¸ si intende¸ dopo quattro anni lo si può cambiare ma non è il potere del popolo è solo il potere di scegliere l’uno. Serpeggia questa illusione dell’uno e le nostre religioni ne sono forse in parte responsabili. La diffusione della mentalità democratica mette in difficoltà la fiducia nell’uno¸ ma non è solo questo è che oggi nel nostro modo di vivere c’è l’equipe al posto dell’uno cioè c’è la comunione di ricerca¸ la comunità che ricerca¸ la comunità che sperimenta¸ la comunità che verifica. La Chiesa stessa che è opera dell’uno¸ oggi giustamente si dice che è comunione. L’ uno non è venuto per emergere ma è venuto per radunare. L’uno serve per creare societภha dato la sua vita per tutti¸ per radunare le pecore disperse. Di nuovo san Paolo “Perché diveniamo un unico corpo” come diciamo nella preghiera “Un solo corpo ed un solo spirito”. E’ dall’uno Adamo che si è creata la disgregazione e questo capite che è già un’impostazione di grande rilievo. L’ uno perché raduna i tutti e quando ha radunato i tutti si eclissa e diventa Spirito Santo che tutto pervade¸ circola¸ invisibilmente presente e coordinatore dell’insieme. La fede cristiana è fede nell’uno che incorpora e trasmette e dona lo Spirito. E’ la sintesi dell’uno e dell’insieme¸ è quello che è capace di insegnare alle persone ad essere gli uni per gli altri. Se ci pensate buona parte del vangelo serve a questo¸ le esortazioni morali delle lettere di Paolo¸ che pure è il fondatore dell’idea dell’uno¸ sono: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Gesù Cristo il quale ha dato sé stesso per noi”. Allora il Messia che noi aspettiamo non è l’uno che domina ma l’uno che fa convergere¸ l’uno che crea solidarietà ed amicizia¸ l’uno che ci rende veramente comunione e comunità. La Chiesa serve se è convinta di questo e se trova strutture e modalità per realizzare questo. Difficile¸ molto difficile perché è facile radunarsi in gruppi che si contrappongono¸ in squadre che gareggiano e qualche volta si combattono. Anche il gruppo è necessario perché comunione e comunità non sono possibili coi grandi numeri ma bisogna anche trovare il modo di coordinare tra loro i gruppi. La missione della Chiesa è quella di passare dall’uno ai tutti perché tutti diventino¸ ecco il simbolo e la metafora¸ un unico corpo ed un unico spirito. Cioè un insieme dove la mortificazione del singolo per il bene di tutti non sia esagerata¸ non sia eccessiva. Dove anche a chi è meno capace¸ meno dotato¸ meno buono venga data qualche possibilità di ricupero ed integrazione¸ senza illusioni ma anche senza pregiudizi. E’ una questione di equilibrio. Io lo so che la Chiesa si sforza di fare questo però bisogna sapere che la Chiesa serve a questo perché Cristo è venuto per questo. E’ l’uno per i tutti. E’ sottinteso¸ visto che è la giornata del seminario¸ che i seminaristi¸ andando in seminario¸ dovrebbero andare ad attrezzarsi per essere le guide di questo compito¸ non per nulla il prete è il predicatore¸ il testimone di Cristo che regge una comunità ed è questo che loro cercano di imparare in seminario. Ed è bello constatare che c’è ancora qualcuno¸ una sparuta minoranza¸ che dice che questa è una professione tra le più intelligenti ed apprezzabili che si possa pensare¸ essere costruttori di comunitภrealizzare l’opera che l’uno ci ha portato. Allora capite che questo uno chiamarlo Dio effettivamente è appropriato perché l’esperienza insegna che dove ci sono soltanto gli uomini normalmente ci si riunisce per separarsi dagli altri¸ ci si riunisce contro¸ ci si riunisce per isolarsi ed invece ci deve essere questa tendenza all’universalità. Il secondo pensiero¸ non c’è più tempo ve lo accenno soltanto¸ è del resto continuamente presente¸ anche nella preghiera che abbiamo letto all’inizio. Tra Giovanni Battista e Gesù c’è una bella differenza. Ha fatto bene Giovanni Battista a dire “Non sono io” perché in Giovanni Battista manca tutto quello che c’è nella prima lettura che¸ secondo Luca¸ è quella che Gesù avrebbe applicato a sé quando a Nazareth ha fatto il suo primo discorso. “Lo Spirito del Signore è su di me¸ mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri¸ fasciare le piaghe dei cuori spezzati¸ proclamare la libertà degli schiavi¸ la scarcerazione dei prigionieri¸ promulgare l’anno di grazia del Signore¸ mantello della giustizia rivestito di vesti della salvezza”. In Giovanni Battista non c’è niente di tutto questo. “Pentitevi¸ convertitevi¸ fatevi battezzare¸ la scure alla radice degli alberi¸ l’ira è vicina¸ razza di vipere…”. C’è solo la severità. Per questo non è nessuno di niente¸ è solo voce che grida “Preparatevi!” ma non ha nient’altro da offrire perché la cosa più importante che bisogna offrire è l’indulgenza¸ fasciare le ferite dei cuori spezzati¸ è questo ministero di carità e per questo la Chiesa oggi ha capito che oltre che essere creatrice e artefice di comunione deve essere anche il luogo della caritภdella misericordia¸ del perdono¸ dell’assistenza. Ed anche questo i seminaristi¸ direi che non hanno bisogno di impararlo in seminario perché al giorno d’oggi quelli che vanno in seminario è perché vogliono¸ hanno già provato e vogliono continuare ad esercitare questa azione di carità. Eventualmente il seminario deve solo abituarli a non essere troppo ingenui perché il grande pericolo dell’uomo che vuole bene a tutti è l’ingenuità.