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Omelia II AVVENTO B del 7 Dicembre 2008

Avrei piacere dire due parole sulla Seconda Lettura nella quale si ricorda il ragionamento dei mille anni che sono come un giorno¸ un giorno mille anni ma che è una lettera attribuita a San Pietro che non è di Pietro che immagino completamente ignorata dai cristiani. Vale la pena d’incontrare qualcosa di sconosciuto. E’ probabilmente lo scritto più recente del N.T. dopo il 90¸ è interessante per vari motivi che non traspaiono tutti dal breve brano che viene letto oggi che è verso la fine della lettera. Innanzitutto la lettera è rivolta a dei cristiani i quali vengono scherniti e derisi da persone che li prendono in giro per la loro fede. Non si sa chi fossero¸ potrebbero essere dei pagani¸ potrebbero essere anche degli ebrei. Scherniscono i cristiani soprattutto perché aspettavano che la fine del mondo venisse presto e invece non è venuta. Uno dei temi principali di questa lettera è proprio questo. Li prendono in giro e dicono: “Voi aspettavate che cambiasse tutto ma siete dei poveri ignoranti¸ il mondo rimane quel che è e non cambia niente”. E i cristiani non sanno cosa rispondere a queste obiezioni e vengono appunto scherniti e derisi. Allora l’autore di questo testo cerca di sistemare le cose e il fatto che più mi interessa è questo: che molti cristiani¸ verso la fine del I sec. devono aver subito questo trauma¸ sembrava che la fine del mondo fosse imminente – si diceva che Gesù avrebbe detto “Non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga” – ed è chiarissimo che i primi cristiani si aspettavano che nel giro di pochi anni il mondo sarebbe finito. Pare che anche Paolo in uno o due punti delle sue Lettere dica che “Noi¸ i vivi vedremo il Signore quando verrà”. Siccome questo tema della venuta del Signore è stato introdotto nella liturgia della lessa dopo il Vaticano II per cui voi dopo le parole sul pene e sul vino dichiarate di proclamare la Passione¸ annunziare la Risurrezione nell’attesa della sua venuta¸ la parola tecnica come sapete è la parusía¸ che è la parola greca che significa l’arrivo¸ la venuta e dopo la comunione c’è un’aggiunta al Padre Nostro che si conclude dicendo che siamo in attesa della beata speranza della venuta del Signore nostro Gesù Cristo. La cosa interessante è che questa venuta che nei primi anni¸ fino al 50-60¸ nei primi venti-venticinque anni di cristianesimo era immaginata come assolutamente imminente¸ noi prendiamo in giro i testimoni di Geova e altre sette perché ogni tanto credono di aver individuato il prossimo giorno in cui il mondo finisce e Gesù appare e allora succedeva la stessa cosa¸ ma quello che m’interessa è la rapidità e la lucidità con cui questo errore è stato riconosciuto nonostante ci fossero parole attribuite a Gesù che sembravano parlare di una fine imminente. La cosa si è praticamente risolta nel giro di trent’anni e quella che una volta si credeva fosse imminente venuta dal punto di vista cronologico venne rapidamente trasformata in un simbolo dell’imminenza¸ non cronologica¸ ma della sovranità della provvidenza: la vicinanza di Dio a tutte le epoche della storia. C’è stato un trasferimento di significato molto rapido di cui la Seconda Lettera di Pietro è una testimonianza significativa “Davanti al Signore un solo giorno è come mille anni¸ mille anni come un solo giorno” poi¸ attenti “Il Signore non ritarda nel compiere la sua promessa anche se alcuni parlano di lentezza”. Come non ritarda? Se sembrava che venisse fra cinque o sei anni e non viene? Ritarda! Tutto viene trasferito su un altro piano dicendo “Ma no! Non si parlava di tempo¸ è stato un equivoco¸ un abbaglio¸ si voleva dire che il Signore incombe sempre su di noi”¸ incombe è parola negativa¸ “i sovrasta sempre con la sua presenza”. E tutto questo avviene negli anni terminali del primo secolo d. C. Verso la fine del primo secolo¸ agli inizi del secondo nessuno aspetta più una venuta imminente del Signore¸ tutti sono convinti che la storia durerà a lungo¸ non sanno dire quando¸ non interessa sapere quando e tutte le parole che una volta¸ all’inizio¸ sembravano essere l’annuncio di una imminente venuta vengono interpretate in senso simbolico¸ come parole che¸ attraverso il modo di dire della imminente venuta¸ parlano invece della continua presenza. Abbiamo una Lettera di Clemente¸ che non fa parte della Sacra Scrittura¸ che è del 96 nella quale proprio si dice esplicitamente questo: “Dio è presente ad ogni tempo ed abbraccia ogni cosa”. Invece dell’idea della venuta si è passati ad una sua interpretazione che ha scavalcato il significato letterale ed ha concluso che la venuta era semplicemente un modo di dure per indicare la prossimità a ciascuno¸ l’interesse di Dio per la vita di ciascuno come se fosse presente. All’immagine dell’arrivo si è sostituita quella della continua presenza. Secondo me questa è una cosa di enorme interesse perché dimostra l’agilità di pensiero dei primi cristiani¸ la disinvoltura con cui avvertendo dove stava la verità profonda hanno scavalcato l’apparenza della Lettera. Siamo capaci di farlo anche noi? Quando voi dite: “Attesa della sua venuta” cosa pensate? Probabilmente niente¸ e la domanda è ancora più severa¸ e questo può darsi che disturbi qualcuno di voi¸ il magistero della Chiesa e la teologia¸ ma soprattutto il magistero¸ sono stati capaci di imitare la Chiesa apostolica in questo continuo aggiornamento delle immagini¸ delle formule¸ dei simboli per adattarli alla cultura che cambiava? Purtroppo la risposta è negativa. C’è una lentezza¸ una pesantezza nella ripetizione di tradizioni¸ che per di più spesso non sono neanche bibliche ma sono filosofiche¸ medievali¸ aristoteliche e si continua a ripetere¸ a depositare su queste ripetizioni autorevoli pronunciamenti che le convalidano. Bei tempi gli anni finali del primo secolo¸ quando con disinvoltura han detto: “E’ chiaro: mille anni sono come un giorno¸ Dio non ha orologi¸ in Dio non c’è il tempo¸ è vicino a tutti noi sempre”. Questo voleva dire Gesù con la sua battuta: nessuna generazione passa senza che Dio venga¸ Dio è onnipresente. E’ una traduzione in un linguaggio diverso che è più vicino alla realtà dell’esperienza umana¸ si scavalca il simbolo¸ si arriva al concetto. Secondo me la Chiesa avrebbe dovuto imparare di più da testi come la Seconda Lettera di Pietro¸ è vero che la Seconda Lettera di Pietro fa anche una altra operazione¸ anche questa non è stata tentata dalla Chiesa dei secoli successivi ma forse in questo senso è stato meglio perché l’autore per cercare di convincere i suoi lettori che sebbene Dio non sia venuto¸ come alcune descrizioni facevano pensare¸ tuttavia verrà e la sua descrizione prende a prestito – e qui sta la gaffe secondo me – idee cosmologiche cioè immagini del mondo come erano diffuse in certi strati della popolazione di allora a livello popolare cioè che¸ ad un certo punto il mondo sarebbe bruciato¸ ci sarebbe stata la grande conflagrazione: i cieli si sarebbero dissolti¸ fusi per il calore. “I cieli spariranno in un grande boato¸ gli elementi consumati dal calore si dissolveranno e la terra con tutte le sue opere sarà distrutta”. Direi che l’agilità mentale che era riuscita a scavalcare il problema del tempo non riesce a scavalcare l’immaginazione¸ solo che questa immaginazione non è presa dalla Bibbia¸ se non in parte. L’idea della conflagrazione universale è idea ellenistica¸ pagana¸ probabilmente di origine persiana. Il fuoco è molto importante nell’Iran. Nell’antica religione zoroastriana Dio è nel fuoco. L’A.T. pensava piuttosto all’acqua. Il tentativo di distruggere il mondo venne fatto con il diluvio¸ infatti la Lettera di Pietro lo dice nel capitolo precedente. C’è già stata la prova generale col diluvio quindi è certo che la terra scomparirภalla fine ci sarà il fuoco. E direi che l’intelligenza che si era manifestata nel superare la dimensione cronologica è adesso in parte contraddetta dalla acquiescenza rispetto ad idee correnti del tempo¸ pur di convincere il lettore prende a prestito quello che loro pensano della natura del cosmo. La stessa ingenuità ce l’abbiamo anche noi quando diciamo che il Big Bang è il modo di cui la Bibbia vorrebbe parlare quando parla dell’origine del mondo e che il bosone¸ la particella che salterebbe fuori dall’acceleratore di Ginevra¸ è la particella di Dio¸ quella che renderebbe massa l’energia. Facciamo ridere quando vogliamo mettere insieme queste cose con il linguaggio della Bibbia¸ cosí come ci fa sorridere la Seconda Lettera di Pietro “I cieli in fiamme si dissolveranno¸ gli elementi incendiati fonderanno”. Sia che parliamo dell’inizio¸ sia che parliamo dell’esaurimento dell’universo sovrapporre il discorso della scienza alle immagini popolari ed infilarci dentro il discorso della fede è scorretto. In questa Seconda Lettera¸ io la trovo molto moderna ma per questo che parlo¸ da un lato è capace di scavalcare il linguaggio dei simboli e delle immagini e di adoperarlo con disinvoltura¸ in un altro momento ne rimane schiava e la Lettera di Pietro quindi fotografa il dramma sempre presente – dico dramma nel semplice significato di dialogo serio¸ dialogo severo¸ dialogo pieno di fatica¸ il dramma del rapporto fra conoscenza scientifica e fede¸ necessità di immaginare e impossibilità di immaginare¸ interesse per l’uomo e la sua spiritualità e¸ al contrario¸ interesse per il cosmo ed il suo destino ed allora la Lettera in questo senso è interessante¸ non tanto perché ci dà delle soluzioni che possano mettere insieme o risolvere questa drammaticità del nostro pensiero ma perché ci consola e ci conforta dicendoci: “Anche nei primi tempi¸ quando il cristianesimo nasceva¸ era difficile ed era insolubile il rapporto tra le certezze¸ o le presunte certezze¸ della ragione e la promessa della fede”. Ed allora forse per tutti i tempi¸ finché la fede esiste bisognerà passare attraverso questa difficoltà di conciliare i due mondi. La coincidenza dei due discorsi è probabilmente impossibile e sarebbe illusorio pensare di poterla raggiungere. Ci fermiamo qui e può darsi che domani il discorso venga completato.