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Omelia XXXIII DOM. T.O. A del 16 Novembre 2008

Sono contento perché per la prima volta dopo molto tempo¸ o addirittura forse per la prima volta nella storia¸ questo padrone antipatico¸ carogna che c’è qui nella parabola che¸ come giustamente si dice¸ raccoglie dove non ha seminato¸ questo delinquente¸ finalmente fa la figura da stupido perché è tanto scemo che crede che a mettere il denaro in banca si prendono gli interessi. Se Dio vuole¸ finalmente¸ sappiamo che questa parabola ci fa capire la stupidità di certe persone che si credono di fare i padroni ed io sono contento perché mi è sempre stato simpatico l’ultimo servo¸ non i primi due prepotenti¸ vanitosi che guadagnano dieci talenti¸ dei piccoli Rockfeller¸ antipatici¸ odiosi¸ come il padrone. L’ultimo¸ poverino¸ è quello più simpatico perchè come la maggioranza della gente che¸ per fortuna¸ non rischia¸ che ha un po’ paura¸ che è prudente¸ forse un po’ troppo prudente. Ma le persone di buon senso alla gente cosí le incoraggia: “La prossima volta cerca di fare qualcosa di più”. Ma è un delinquente un padrone che si comporta in questo modo. Mi piacerebbe sapere perché Gesù ha raccontato la storia di un delinquente che compie delle ingiustizie¸ che approva i prepotenti ed i furbi ed umilia le persone deboli. Mi piacerebbe sapere perché Gesù ha raccontato questa parabola. Purtroppo nessuno è mai riuscito a capirlo ed a spiegarlo. E’ un mistero¸ è la parabola forse più fuori posto in tutta la presentazione evangelica di Gesù Cristo. E’ difficile cavarci un significato che sia accettabile. Io ho esagerato un po’ forse nell’esprimere il mio disgusto e sdegno per questo signor padrone ma è cosí. E’ una cosa stranissima la presenza di questa parabola nel vangelo¸ anche perché¸ adesso stiamo terminando il vangelo di Matteo¸ la prossima volta leggeremo un brano molto diverso da questo¸ questa parabola stride all’interno del vangelo di Matteo. Anche in Luca¸ dove per certi versi è ancora peggio di questo¸ ma Matteo noi l’abbiamo sentito dire: “Beati i poveri in spirito…”. I poveri in spirito non sono gente che se gli date cinque milioni ne guadagnano altri cinque¸ qualcosina magari guadagnano ma con la fatica¸ con il sudore. “Beati i miti…”. Ve lo immaginate voi un mite che raddoppia il capitale? Magari un onorevole deputato sí ma non un mite. I puri di cuore¸ quelli di cui sentiremo parlare domenica prossima¸ che hanno dato un bicchier d’acqua all’assetato¸ sono andati a visitare il carcerato e Gesù dice: “L’hanno fatto a me”. Come fa Gesù a dire anche questa parabola? Tranne che l’abbia detta per contrasto. In Matteo abbiamo anche letto che Gesù ha detto: “Guardate i gigli del campo¸ sono più belli dei vestiti di Salomone¸ non filano e non mietono. Cosa vi preoccupate di che cosa mangerete e di cosa vestirete?”. Come si fa a mettere insieme questi che sono i detti che hanno caratterizzato la spiritualità cristiana e tutto il bene che il cristianesimo ha fatto all’umanità proprio dicendo che i miti¸ che le persone con pochi talenti sono quelle che tengono in piedi l’umanità. Servono anche quelli con i talenti¸ per caritภma sono pericolosi. Anche il papa nel suo libro fa notare la bellezza di quella beatitudine “Beati i miseri perché possiederanno la terra” e ricorda che qualche esegeta ha osservato che¸ specialmente nel mondo antico ma in fondo anche molte volte nel nostro¸ quando ci sono le grandi guerre¸ le ribellioni i re¸ i principi¸ i colonnelli crepano tutti¸ alla fine se Dio vuole. Quando la terra è stata devastata e rasa al suolo chi ancora è lí ed è sopravvissuto è il contadino più povero che si era nascosto e la terra resta sua¸ anzi¸ riesce perfino a sbocconcellare un po’ di territorio rubandolo a qualcuno che non c’è più perché è morto. I potenti periscono¸ i miti ereditano la terra. Poi il papa dice che Gesù ha preso questo esempio per parlare della terra che in realtà è il cielo. Come mai c’è questa parabola? E’ un mistero. C’è una soluzione che in maniera quasi invisibile è stata recepita dal linguaggio perché è questa parabola che ha creato il significato della parola “talento” nel senso nostro¸ che abbiamo nelle nostre lingue neo-latine. Né in greco né in latino talento non significava affatto la dote¸ la capacitภsignificava semplicemente il piatto della bilancia ed il peso che se ne ricava. E’ una misura di peso. La lingua ispirata dal vangelo ha fatto diventare talento la genialitภla capacità e questo è già un passo avanti rispetto alla materialità del testo della parabola perché fa capire che eventualmente quello che si deve raddoppiare non sono i soldi. Quindi aiuta una interpretazione della parabola e la traspone su un piano differente la fa diventare una metafora. Quello che si deve sviluppare è eventualmente la conoscenza¸ la cultura¸ l’intelligenza¸ la genialità. Allora è il creatore delle cose belle. E questa è già stata una trasposizione che ha reso comprensibile ed accettabile la parabola perché se si tratta appunto di soldi allora è un discorso indecoroso. Se viceversa si dice: “No¸ non essere pigro¸ sai dipingere? Studia¸ dipingi! Sai suonare? Studia e suona! Non tenere nascoste le tue capacità”. I beni intellettuali¸ anche quelli si possono pagare per caritภil denaro c’entra sempre¸ ma i beni intellettuali per natura loro sono gratuiti. Se uno inventa una bella musica¸ sí la S.I.A.E. pretende i diritti d’autore¸ ma uno che ha orecchio te la fischia¸ te la canta¸ te la modifica¸ te la suona sulla sua chitarra e questo è il moltiplicarsi¸ questi sono i cinque talenti in più. A maggior ragione questa evoluzione linguistica che è significativa perché la parola¸ ripeto¸ è nata dalla parabola si può sviluppare più seriamente se invece di talento e invece di dote¸ capacità usiamo la parola paolina “il carisma”. Occorrono questi piccoli criteri interpretativi per forse cogliere la ragione per cui Gesù ha detto questa parabola. I carismi sono soprattutto quei doni che Dio ci dà per l’evangelizzazione¸ per l’edificazione di una umanità credente ispirata alla giustizia ed all’amore¸ alla carità. Allora è un po’ la stessa cosa che sentiremo dire domenica prossima: “Se hai un po’ di bontà nel tuo cuore va a trovare l’ammalato¸ il carcerato¸ il povero¸ lo straniero. Se hai due tuniche danne una a chi non ne ha ed abbi fiducia che non morirai di freddo”. Il talento non è più il denaro¸ non è più l’arraffare¸ il guadagnare¸ il metter via. Cattivo consulente finanziario Gesù che si fida delle banche. Non è questo. Anzi¸ forse Gesù sapeva che i suoi ascoltatori avrebbero detto: “Sarà!”. Il bravo contadino palestinese non si fida dei soldi e di questi guadagni improvvisi¸ anzi li disprezza. Allora pian piano si slitta su un altro campo e¸ ripeto¸ il primo¸ l’approccio più semplice sono le doti¸ i talenti. Quando poi si arriva al concetto di carisma¸ vale a dire quelle capacità che Dio ti dà di mettere a frutto per il bene degli altri più che del tuo tutto quello che sai fare perchè anche il talento in senso umano diventa carisma. Sono anche doni particolarmente vicini all’evangelizzazione¸ ma tutto diventa carisma quando è fatto per il bene di tutti¸ anche a costo di un mio sacrificio¸ esattamente come sentiremo dire domenica prossima. Allora il discorso della montagna si mette insieme a questa parabola¸ ripeto¸ che ha bisogno di questi itinerari interpretativi ed allora diventa un discorso sensato. Le chiese antiche¸ che a differenza dell’ebraismo che era sostanzialmente statico¸ preoccupato della sua integrità e della sua purezza interiore¸ timoroso dell’accostamento al mondo pagano temeva che il contatto con queste culture che non credono in Dio¸ che sono fatte di peccatori sono un pericolo per l’integrità della sua fede¸ gli apostoli cristiani sono coraggiosi¸ vanno sfacciatamente a predicare a tutti¸ non hanno paura. E¸ probabilmente¸ c’era qualcuno che diceva: “Ma siete sicuri che la religione si diffonda cosí?”¸ questo è san Paolo di cui si celebra l’anno ed allora devono aver ricordato una parabola del Signore che valorizzava anche l’audacia¸ il rischio¸ la faccia tosta¸ come Gesù diceva a Geremia: “Ti darò la faccia di bronzo: ti contesteranno ma tu avrai la forza di resistere”. Forse l’hanno scritta un po’ malamente ma questo è il punto. Allora si capisce come questo coraggio¸ se riguarda questo settore dell’evangelizzazione¸ ci fa venire in mente la finale del vangelo di Matteo: “Andate¸ istruite tutte le genti” parola che di per sé significa i non ebrei “Insegnando loro quello che io vi ho comandato”. Allora è la parabola che dice: “Abbiate coraggio perché se il dono di aver conosciuto Gesù lo tenete soltanto per voi allora Gesù avrebbe ragione di inquietarsi perché ha cercato di farvi capire che è venuto per tutti e che vi ha reso capaci di essere comunicatori dei suoi doni a tutti. Andate dappertutto e battezzate”. Allora vedete che la parabola cambia completamente significato e¸ come sempre¸ quello che vi ho detto ve l’ho detto da un lato per cercare di spiegare questo testo ma anche per abituarvi a questo modo di transitare attraverso le parole della Sacra Scrittura¸ specialmente nel N.T. senza rifiutare di prendere in considerazione reazioni negative che possono venirci spontaneamente in mente perché anche queste possono aiutarci a rintracciare il significato autentico del testo e come i testi della Bibbia non sono dottrina già confezionata¸ non sono regolamenti già pronti¸ non sono istruzioni per l’uso nette ma sono i vizi di percorso perché la nostra riflessione¸ affrontando pure il rischio di sbagliare o di tediare però nello stesso tempo¸ con la capacità di auto correggersi¸ ed anche questo è un modo di far fruttare i talenti¸ arrivi a delle prospettive positive. Cioè i testi della Bibbia non sono testi prefabbricati da imparare semplicemente a memoria ma sono indirizzi che mettono in moto la nostra riflessione e ci fanno riflettere e scoprire tante cose che tocca a noi elaborare. Quindi la mia predica voleva essere una lezione di contenuto e¸ come sempre¸ anche una piccola lezione di metodo.