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Omelia XXV DOM. T.O. A del 21 Settembre 2008

La prima lettura influisce sull’interpretazione del Vangelo come spesso succede e suggerisce d’interpretare il Vangelo nella maniera più tradizionale con cui questa parabola è stata interpretata¸ cioè che il pentimento¸ anche all’ultimo momento della vita¸ può essere sufficiente per ottenere il premio che Dio riserva per i giusti. Da secoli il senso spirituale di questa parabola è considerato questo. Nella prima lettura infatti¸ che viene dalla terza parte del Libro di Isaia¸ si dice che l’empio deve abbandonare la sua via¸ l’uomo iniquo i suoi pensieri¸ ritorni al Signore che avrà misericordia di lui. E siccome la gente penserebbe che non è giusto aver misericordia per uno che per tutta la vita è stato un delinquente solo perché all’ultimo momento si pente¸ allora Isaia prosegue dicendo: “Perché i miei pensieri non sono i vostri¸ le vostre vie non sono le mie.” Cioè Dio giudica diversamente il tempo che passa¸ le modifiche che la vita nel suo svolgimento apporta alla persona e gli basta che ci sia questa ultima ora di pentimento¸ di lucidità mentale nel riconoscere il proprio male e la persona viene ammessa tra coloro che ricevono il simbolico denaro che rappresenterebbe in questo caso la vita eterna. Questa¸ dicevo¸ è l’interpretazione consueta della parabola¸ interessante¸ sotto questo profilo¸ perché ha una concezione del bilancio che si deve fare fra bene e male che una persona ha commesso nella vita¸ che è molto diverso da quello che è presente in altre religioni. Per esempio: nel tempo della Bibbia l’Egitto come sapete ha una concezione del tutto differente. Secondo la concezione normalmente diffusa in Egitto al momento della morte si mettono sulla bilancia le buone azioni e le cattive azioni; tutto quello che è stato fatto nella vita viene ricordato e registrato e alla fine viene pesato. Ed anche nella tomba dei faraoni è presente tutto questo. Questo spiega perché viene annotato negli annali tutto quello che una persona importante ha fatto di bene e di male¸ ovviamente cercando di falsificare le cose per far aumentare il bene e diminuire il male perché tutto resta¸ non viene dimenticato niente del passato e quando la persona muore c’è appunto la pesatura. Nel Medioevo i cristiani hanno recuperato questo concetto del pesare in maniera del tutto impropria¸ immaginando l’arcangelo Michele che pesa le anime. Dico in maniera impropria perché la cultura ebraica biblica e la cultura di Gesù non vedono le cose in questo modo. Ripeto¸ come se ci fosse un accumulo e alla fine si cerca di fare il bilancio nel senso etimologico della parola¸ con la bilancia. Se sono più pesanti le opere cattive si va nella rovina¸ se sono più pesanti le opere buone si va verso la salvezza. Il concetto biblico è invece di una evoluzione della vita di una persona. La visione ebraica non è statica ma evolutiva: il peccatore¸ anche il peggiore¸ che alla fine nell’ultimo istante… quante volte lo si è detto che sul letto di morte si può risolvere tutto e una vita può cambiare completamente purché ci sia un atto sincero di pentimento. Può darsi che la teologia abbia esagerato in questo¸ però è fondato su testi come questa parabola: hanno lavorato una sola ora¸ pazienza. Hanno sprecato tutto il resto della vita¸ ma hanno fatto bene l’ultimo pezzettino¸ quello conta perché il passato non si conserva¸ si perde¸ non conta più. La visione biblica è una visione storica¸ ma non nel senso che mantiene la memoria del passato¸ tranne per i grandi eventi operati da Dio. Noi facciamo memoria¸ cristianamente parlando¸ di una sola cosa: la morte e la risurrezione di Cristo. Il resto lo si può ricordare per ragioni contingenti¸ per desiderio culturale di ricostruire il passato¸ ma non rimane nulla. E cosí nella vita della persona quello che conta è come piano piano si sono evolute le cose e lo stato del momento terminale è quello decisivo. Alcuni hanno anche usato l’esempio opposto¸ cioè la persona santa¸ brava¸ onesta che pochi istanti prima di morire compie una sciocchezza¸ bestemmia¸ pecca. Perduto! Tutto il bene fatto prima è dimenticato. Questo esempio si preferisce non farlo. L’esempio opposto è tutto il male fatto prima non conta¸ quello che conta è dove sei arrivato alla fine perché la mentalità ebraico-cristiana va verso il futuro¸ non verso il passato¸ ripeto¸ se non per la memoria del Cristo. E questo direi che è già un pensiero interessante e rappresenta il modo tradizionale di interpretare la parabola. C’è però anche un altro modo di leggere questa parabola¸ quello che forse a prima vista sembrerebbe più evidente del precedente e cioè la domanda se questa parabola non abbia anche per caso l’intenzione di insegnare qualcosa sul modo di comportarsi su questa terra quando si tratta di pagare delle persone che hanno lavorato¸ cioè ciò non ci dia una lezione di come il cristiano si comporta nella retribuzione del lavoro. Questo livello di significato nella tradizione è stato abbastanza trascurato¸ forse però uno che sente oggi la lettura di questa parabola potrebbe chiedersi: “Gesù ha forse raccontato questo esempio per dire che uno che crede in Dio e vuole imitare il suo senso di giustizia deve comportarsi come questo padrone? C’è una lezione di comportamento morale-sociale?” A prima vista la parabola sembra del tutto scandalosa perché sembra ingiusta¸ arbitraria. Se uno ha lavorato dalle sei del mattino alle sei della sera sotto il sole e il caldo¸ come dicono i lavoratori¸ non si può retribuirlo con lo stesso compenso che si dà a chi ha lavorato soltanto l’ultima ora prima del tramonto. Non si può dare lo stesso compenso ad un’ora di lavoro e a dodici ore di lavoro. E se ad un certo punto si vuole per generosità dare l’intero stipendio a chi ha lavorato un’ora soltanto¸ direi che qualcosina di più a chi ha sopportato il peso della giornata è doveroso. Si può essere generosi verso chi non merita¸ ma a questo punto bisogna essere altrettanto generosi anche per chi ha meritato e noi infatti negli ultimi anni abbiamo continuamente detto che per salvare la moralità del nostro Paese occorre ritornare ad una concezione meritocratica delle retribuzioni. Va pagato di più chi produce di più. Va licenziato lo statale¸ perché pare che solo gli statali siano lazzaroni¸ il che è una sciocchezza¸ lo statale che scalda la sua sedia ma non produce e non lavora. Basta con l’uguaglianza dei salari¸ al merito! Il più capace prenda di più¸ il lazzarone crepi di fame. Secondo noi questa è la morale e la parabola¸ allora capite che è contraria a tutto questo. Cosa facciamo? Quando il Vangelo¸ confrontato con la nostra situazione attuale¸ ci sembra dire delle cose sbagliate¸ cosa facciamo? Una delle strade è quella di interrogare un esperto il quale ci dica: “Voi che conoscete com’era la vita al tempo di Gesù e nell’antichitภcosa pensate di questa parabola?” e lo studioso che cerca di indagare sull’economia di quel tempo dice: “Guardate che in questa parabola si tratta di un denaro al giorno e questa insistenza nell’ “un denaro” non è da trascurare¸ il denaro era quello che serviva ad una famiglia normale per mangiare una giornata¸ con un denaro si comprava soltanto da mangiare per un giorno per quattro - cinque persone non ingorde. Era infatti il salario standard della povera gente che quando non riceveva il denaro non mangiava¸ quel giorno non mangiava. Allora la faccenda diventa diversa¸ allora quando Gesù dice ai suoi discepoli: “Il Regno di Dio è come uno che va fuori e contratta per un lavoro il solito denaro al giorno poi torna alle tre¸ alle cinque¸ alle sei e trova delle persone che sono ancora lí.” La nuova traduzione ha migliorato la vecchia perché la vecchia traduzione diceva “Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi?” dando l’impressione che fossero dei viziosi che stavano lí a far niente perchè erano pigri. Giustamente la traduzione rifatta dice: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?” togliendo alla parola oziosi quella sua componente di tipo moralistico – colpevolizzante. E loro giustamente rispondono: “Perché nessuno ci ha presi a giornata” e se nessuno li prende a giornata cosa fanno? Allora voi capite che la situazione è diversa. Gesù ha detto: “La giustizia di Dio esige che a queste persone diate la possibilità di mangiare accontentatevi del lavoro simbolico di un’ora e regalategli un denaro. Glielo regalate perché altrimenti muoiono di fame. Non è questione di giustizia retributiva¸ non è questione di valutare il merito che si deve dare al genio o a chi meriterebbe un premio¸ si tratta semplicemente di sopravvivenza e¸ allora¸ la parabola ci dice: Gesù vuole che i suoi discepoli capiscano che se intendono imitare l’agire di Dio¸ quando trovano una persona che non mangia perché non ha i soldi glieli devono dare. E i primi devono rendersi conto che quello che ricevono è quello che basta per la loro sopravvivenza¸ che il padrone¸ pur essendo ricco¸ non spreca il suo denaro. Non pretendono niente in più e partecipano alla generosità del padrone nell’aiutare chi¸ altrimenti¸ morirebbe di fame o che non mangerebbe per un giorno. Capisco¸ la parabola rappresenta un caso esagerato però¸ se è cosí¸ allora la parabola ci dice: Occorre che la gestione dell’economia tenga conto della necessità di soccorrere quelli che non hanno alcuna capacità o possibilità di guadagnarsi da vivere da soli. Non è solo assistenza fatta con superiorità di spirito chiedendo riconoscenza è giustizia di Dio. Infatti noterete che nel corso della narrazione è sempre ripetuta la parola “giusto”: “Andate anche voi nella vigna¸ quello che è giusto ve lo darò”. Ed allora questo ci fa capire che il concetto di giustizia¸ diverso da quello di caritภcomprende anche questi aspetti di generosità e tutto questo ci porta poi ad un’altra conclusione¸ che è quella definitiva¸ cioè la parabola¸ letta in questo modo ci aiuta anche a capire cosa può significare il famoso detto continuamente ripetuto “Gli ultimi saranno i primi ed i primi gli ultimi”. Letto cosí questo versetto di solito viene interpretato come se fosse: quelli che prima erano primi cadranno in basso¸ all’ultimo posto¸ quelli che erano all’ultimo posto prenderanno il primo. Cosí la situazione rimane identica a prima¸ ci sono quelli che sono sopra e quelli che sono sotto¸ quelli che stanno bene e quelli che stanno male¸ i ricchi ed i miserabili¸ solo che si cambia il ruolo: quelli che prima recitavano la parte del miserabile adesso diventano ricchi e quelli che sono ricchi diventano poveri. E questo è semplicemente ridicolo perché non cambia le cose e questa sí che è ingiustizia ed è un modo di giocare con i problemi seri della vita come se fossero giochi. Ma il proverbio potrebbe anche essere¸ e qui forse la traduzione non so se avrebbe potuto cercare di esprimerlo meglio: “Gli ultimi saranno come i primi ed i primi saranno come gli ultimi cioè uguali”. Perché non è detto che la frase “Primi¸ ultimi – ultimi¸ primi” significhi scambio di ruoli¸ potrebbe significare mediazione¸ livellamento¸ bilanciamento della situazione: i primi saranno come gli ultimi¸ un denaro solo¸ gli ultimi saranno come i primi anche loro¸ poverini¸ un denaro. Poco ma¸ possibilmente uguale per tutti. Allora voi capite che questo diventa veramente un criterio per auspicare un tipo di sistemi economici¸ nel piccolo e nel grande¸ che favorisca questo livellamento. Lo so¸ non c’è bisogno del vangelo per arrivare a queste utopie¸ è capace anche la cultura laica¸ l’analisi economica delle cose per arrivare a questo¸ però i cristiani sanno che Dio lo comanda¸ i cristiani che dicono: “Venga il tuo regno” devono sapere che far venire il suo regno significa anche applicare questo principio cioè che primi e ultimi non ci siano più. Ultimi e primi¸ primi e ultimi adesso si confondono tra di loro perché si crea una distribuzione il più possibile ugualitaria.