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Omelia X DOM. T.O. A del 8 Giugno 2008

La prima lettura¸ il salmo responsoriale e la frase messa in bocca a Gesù: “Misericordia voglio e non sacrificio” ci permettono di riprendere il discorso che avevamo fatto sulla struttura della preghiera eucaristica centrale della messa e spero di completare il discorso cercando di capire in che senso si deve dire che la messa è un sacrificio. Se lo fosse nel senso antico del termine la frase di Gesù direbbe che non lo vuole: “Misericordia voglio e non sacrifici”¸ dice adesso la vostra nuova traduzione. Noi continuiamo a dire che la messa è sacrificio e Gesù ci dice: “Non so che farmene¸ non la voglio!” Io scherzo sulle cose ma spero che¸ anche se qualcuno la volta scorsa si è un momentino scandalizzato di quel che ho detto¸ spero che capiate che io ho la brutta abitudine di dire battutine ma dopo cerco di dire cose serie. Due domeniche fa io vi avevo detto che nell’attuale stesura delle preghiere eucaristiche si sono accavallati molti temi differenti i quali rendono la comprensione della sequenza logica del discorso molto più complicata di quanto non sarebbe se tutto venisse riscritto con ordine¸ ma non lo si fa perché si vuole rispettare una tradizione plurisecolare la quale¸ come dicevo¸ ha aggiunto¸ inserito¸ cambiato¸ modificato per cui c’è una specie di sovrapposizione continua di tematiche diverse. La volto scorsa avevo detto che se vogliamo ricostruire un ordine logico di pensiero dobbiamo dire che la grande preghiera eucaristica¸ che incomincia con il prefazio¸ è un ringraziamento rivolto a Dio Padre¸ quindi tutto il discorso è: “O Padre¸ noi ti rendiamo grazie perché ci hai donato il tuo Figlio Gesù!”. Detto questo¸ dicevo¸ raccontiamo al Padre che Gesù¸ nell’Ultima Cena¸ prima di morire ci ha ordinato di fare in sua memoria quello che lui aveva fatto quella notte quando prese il pane¸ lo distribuí e disse...¸ prese il calice lo distribuí e disse... Noi raccontiamo a Dio Padre quello che Gesù ci ha comandato di fare per dire: “Stiamo ubbidendo al suo comando.” Allora lo preghiamo di accettare questo nostro ricordo e di realizzare quello che Gesù ha promesso. Gesù ci ha detto: “Fate questo in mia memoria” e noi diciamo a Dio Padre: “Stiamo facendo questo in memoria di Gesù.” E pronunciamo due invocazioni: “Manda lo Spirito Santo perché trasformi questo pane e questo vino nella reale presenza di Gesù come lui fece nell’Ultima Cena.” E poi facciamo una seconda domanda: “Manda lo Spirito Santo su tutti noi perché¸ quando noi mangeremo il corpo ed il sangue di Cristo¸ siamo degni di farlo e si attui veramente quello che Gesù voleva che accadesse quando nell’Ultima Cena si identificò con il pane ed il vino e diede il comando di mangiarlo. Due invocazioni perché lo Spirito Santo venga mandato sul pane e sul vino¸ perché venga riprodotto fra noi quello che avvenne nell’Ultima Cena ed una seconda invocazione allo Spirito Santo perché quando comunicheremo al corpo ed al sangue di Cristo diventiamo veramente con lui una sola realtภla liturgia dice un solo corpo. Due settimane fa avevo anche spiegato che questa logica lineare del discorso risulta meno chiara perché sono state introdotte¸ per esempio¸ delle pause di adorazione alla presenza di Cristo dopo le parole della consacrazione¸ una acclamazione rivolta a Gesù Cristo che interrompe la sequenza del discorso che invece è rivolto al Padre. Tutte cose che hanno la loro ragion d’essere e perfino una loro bellezza ma che rendono complessa¸ ed oserei dire contorta¸ la sequenza del discorso della preghiera. Ma tutto questo l’ho già spiegato la volta scorsa. Avevo però osservato una cosa strana¸ vale a dire che tutto quello che avviene nella preghiera eucaristica è un dono divino che scende verso di noi. Dio ci ha mandato il Figlio suo Gesù Cristo¸ lo diciamo a Dio Padre ricordando quello che fece nell’Ultima Cena e¸ come ho appena detto¸ lo preghiamo di mandare il suo Spirito perché il pane ed il vino diventino veramente la presenza di Gesù¸ noi ce ne possiamo nutrire e diventare cosí intimamente uniti con la vita stessa di Gesù. Quello che noi compiamo è un ricevere un dono: pregare Dio che ci renda capaci di accoglierlo. La domanda che ponevo è perchè lo chiamiamo sacrificio? E perché ad un certo punto diciamo “Ti offriamo il pane della vita ed il calice della salvezza come sacrificio a te gradito.”? Se è tutto un ricevere perché noi restituiamo? Questo è il difficile concetto di sacrificio e qui bisogna essere chiari e¸di nuovo¸ se qualcuno vuole meravigliarsi di quello che dico non si scandalizzi¸ si limiti a meravigliarsi e poi venga a chiedermi come stanno le cose. Io direi che l’uso della terminologia del sacrificio è una concessione che venne fatta per secoli alla cultura religiosa dell’antichità che considerava come supremo atto di religione offrire a Dio dei doni e¸ nel caso del massimo onore¸ offrire a Dio degli animali uccisi. Questa vecchia concezione delle religioni dell’antichità che già l’ebraismo¸ come avete sentito nel salmo¸ tendeva a superare¸ che già il profeta Osea¸ ottocento anni prima di Cristo¸ criticava scrivendo che Dio vuole l’amore¸ sulla bocca di Gesù è diventato misericordia¸ non sto a spiegare questo¸ “Voglio l’amore e non il sacrificio¸ la conoscenza di Dio più degli olocausti.” Quindi il sacrificio nella cultura ebraico – cristiana è soppresso da sempre. Una concessione alla cultura religionista del paganesimo ha continuato a sussistere e continua a sussistere anche oggi ed introduce una terminologia sacrificale in un discorso dove non dovrebbe esserci. La questione è questa: se voi vi chiedete perché gli uomini avranno inventato il sacrificio per onorare gli dei? Perché per onorare Dio bisogna ammazzare una pecora¸ bruciarla e dirgli: “Aspira il fumo di questo sacrificio.” Una cosa che noi uomini di questa epoca consideriamo del tutto incomprensibile. Come mai è nato questo? Toccherebbe agli antropologi spiegarlo¸ io do una spiegazione che indubbiamente scandalizzerà molti e che forse è falsa. E’ un residuo del nostro passaggio da animali a uomini. I primi ominidi hanno imparato che quando incontravano un animale pericoloso¸ facciamo il solito leone¸ non avevano fucili e non bastava la pietra¸ cosa facevano? Se capitava sotto mano un agnello glielo buttavano là ed il leone lo mangiava e loro erano salvi. Il sacrificio nasce da questa esperienza: per salvarmi da un’entità più forte di me¸ pericolosa¸ che potrebbe farmi del male¸ devo buttargli in bocca qualcosa da mangiare¸ come si fa con i cani feroci. Sembrerà scandaloso ma il sacrificio è nato cosí e poi il sacrificio è nato con l’esperienza che quando un uomo diventa potente¸ forte spesso è anche crudele e per placarlo bisogna fargli dei regali. Quando Dio è visto come il tenebroso¸ onnipotente¸ pericoloso signore e padrone di tutto¸ che se vuole è buono ma occorre placarlo¸ allora ritorna nella memoria questo ricordo dell’animale feroce dal quale ci si poteva salvare buttandogli una pecorella o una gazzella. Questo è il sacrificio che¸ se Dio vuole¸ l’ebraismo ed il cristianesimo hanno soppresso perché nell’ebraismo e nel cristianesimo è capitata questa paradossale intuizione¸ come dice il salmo: “Dio non ha bisogno di queste cose¸ se avessi fame non lo direi a te¸ mio è il mondo e quanto contiene. Mangerò forse la carne dei tori¸ berrò forse il sangue dei capri?”. L’abolizione del sacrificio¸ che intendiamoci bene non è totale neppure in Cristo e nell’A.T. come non lo è stato nella vita della Chiesa¸ è tale l’attaccamento alla parola sacrificio che nella traduzione italiana del messale¸ cosa di cui molti sono scontenti¸ si dice: “Questo è il mio corpo¸ offerto in sacrificio per voi.” Nel messale ufficiale latino la parola sacrificio non c’è¸ come non c’è nel vangelo “Hoc est enim corpus meus quod pro vobis tradetur”:“Che per voi sarà consegnato... sarà dato.” La parola sacrificio non c’è ma nella traduzione italiana ce l’hanno infilato dentro: “Offerto in sacrificio per voi.” Si è cercato di protestare ma la cosa non cambia. Consegnato cosa vuol dire? Donato¸ offerto¸ amichevolmente compartecipato¸ dato a Dio e a voi in solidarietà e amicizia fino al punto di accettare di morire¸ come morite anche voi¸ per condivisione della vostra povertภmiseria¸ difficoltà di vivere. Si può chiamarlo sacrificio tutto questo ma non è la parola più cristiana¸ non è la parola più biblica¸ non è la parola più moderna¸ non è la parola più giusta. Le parole giuste sono quelle che cerco di trovare io¸ ma è difficile trovarle: condivisione¸ partecipazione¸ esempio¸ modello¸ compagnia¸ assistenza¸ comunione¸ paternitภfraternitภsolidarietภil “con noi” di Gesù Cristo perché¸ dicevo¸ nella cultura ebraico – cristiana succede l’opposto¸ che Dio rifiuta di ricevere e dona e siccome il dono che noi riceviamo che è la persona di Gesù Cristo ci rende capaci di riconoscere la bontà di Dio¸ come diceva Osea: “La conoscenza di Dio”¸ l’amore ci permette di capire che anche noi dobbiamo essere persone che conoscono¸ amano e lealmente offrono la propria vita con dedizione¸ con amore¸ con spirito di servizio. Allora¸ quando noi riceviamo Gesù¸ che si rende presente nel pane e nel vino¸ diciamo a Dio: “Te lo presentiamo come il capo fila di noi tutti che vogliamo unirci a te.” Ecco perché diciamo: “Ti offriamo il pane della vita e il calice della salvezza” cioè “Ti offriamo Gesù Cristo che come pane e vino si unisce a noi e ci rende degni di te¸ capaci di conoscerti¸ capirti¸ amarti. Ci porta dietro a sé fino a te.” Questo offrire¸ questo presentare¸ questo mandare avanti lo possiamo chiamare sacrificio? Sí¸ purché¸ però¸ sgombriamo la mente da quella primitiva origine del sacrificio che serve a placare il Dio irato. Non c’è nessuno da placare¸ c’è invece una persona che ci vuole bene e che vedendo le nostre difficoltà dice: “Aspettate¸ vengo io¸ vi do una mano poi torniamo a casa insieme.” Ed allora noi diciamo: “Grazie¸ o Padre¸ perché ci hai mandato Gesù che ci fa tornare insieme sulla via della veritภcome dice il ritornello questa volta genialmente ben trovato: “Chi cammina per la retta via vedrà la salvezza di Dio”. Gesù è l’autore della retta via¸ colui che è venuto per portarci con sé¸ per darci la via¸ la verità e la vita. Tutto questo continuare a chiamarlo sacrificio è archeologia verbale. Una volta spiegata la parola è anche accettabile purché¸ ripeto¸ la si liberi da tutto quel retroterra religionista cha ha alle sue spalle e da cui già l’ebraismo e poi il cristianesimo hanno il dovere di distinguersi.