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Omelia IX DOM. T.O. A del 1 Giugno 2008

So che qualcuno è rimasto scontento dell’omelia di domenica scorsa ed attende che io precisi meglio che cosa significa il sacrificio di Cristo che celebriamo nella messa ed è giusto questo. Avrei pensato¸ se tutto va liscio¸ che domenica prossima¸ siccome ci sono delle letture interessanti ma meno difficili di quelle di oggi¸ domenica prossima potrei sospendere il commento del vangelo e completare il discorso sulla struttura della preghiera eucaristica nella messa perché lasciarla in sospeso per troppo tempo non avrebbe senso ed effettivamente¸ se il discorso non viene completato¸ quello che ho detto domenica scorsa può sembrare inutilmente critico rispetto all’andamento linguistico del testo della preghiera eucaristica. Non è che le letture di oggi siano poi cosí semplici¸ volendo di potrebbe dire che anche nelle letture di oggi traspare una contraddizione tra quello che sembra di capire dal brano del vangelo e dalla prima lettura e quello che invece sembra di capire dalla seconda lettura¸ un brano della Lettera ai Romani. Il brano di vangelo è¸ come sapete¸ la conclusione del Discorso della Montagna¸ quello che incomincia con le Beatitudini¸ poi contiene tantissime cose¸ di grande interesse che¸ purtroppo¸ nella sistemazione del calendario liturgico¸ che è comunque una cosa malfatta¸ si perde sempre¸ tutti gli anni¸ perché vengono sprecate due domeniche per la Santissima Trinità ed il Corpus Domini e¸ quindi¸ il Discorso della Montagna¸ che capita sempre tra la quinta e l’ottava domenica finisce per andare perso quasi tutti gli anni in cui capita il vangelo di Matteo. Ci vorrebbe poco a rimediare ma nessuno ci pensa. Dicevo¸ il brano di vangelo conclude il Discorso della Montagna con tutte le sue severe esigenze: amare i nemici¸ pregare per quelli che ci perseguitano¸ porgere l’altra guancia¸ non preoccuparsi per il domani. Tutto questo dopo le Beatitudini e condensato nel Discorso della Montagna. Ma non è una cosa assurda che quando capita l’anno liturgico di Matteo si debbano tralasciare¸ per colpa di un calendario mal costruito¸ questi passi che sono i più tipici di Matteo e da tutti sono considerati la “Magna Charta”¸ come si dice¸ del cristianesimo. In questa conclusione al Discorso della Montagna¸ come lo presenta Matteo¸ sembra che ci sia in primo luogo una critica a chi si accontenta di parole di lode e di onore. “Molti mi diranno <Signore¸ Signore>…” ma questo non basta perché non basta la parola di lode ma occorre l’ascolto della parola e metterla in pratica. Stranamente queste persone che dicono “Signore¸ Signore” vengono anche presentate come delle persone le quali si vantano di avere profetato nel nome di Gesù¸ di avere cacciato demoni e di aver compiuto molti prodigi. Se volessi essere cattivo dovrei chiedermi se queste parole di Matteo non debbano mettere qualche dubbio a coloro che continuano ad esaltare alcuni personaggi che nella Chiesa sarebbero stati profeti. “Abbiamo profetato in tuo nome.” Qualcuno potrebbe pensare che Gesù si rende conto che ci saranno dei predicatori¸ magari ad incominciare da me¸ ci saranno dei teologi che pretenderebbero di vantarsi per aver profetato e¸ a cominciare da me¸ tutti quelli che hanno le responsabilità di parlare all’interno della Chiesa¸ dovrebbero un momentino preoccuparsi dicendo: “Forse è meglio che sia più cauto.” E cercherò di esserlo. Ma dovrebbero preoccuparsi anche quelli che si vantano di avere cacciato demoni¸ quelli che andranno dal Signore a dire: “Io ho compiuto prodigi.” C’è in queste parole del Signore¸ cosí come le cita Matteo¸ una certa critica anche del miracolo. Allora¸ di nuovo¸ uno dovrebbe domandarsi se certa continua attenzione al prodigio che è sempre presente nella religiosità cristiana non debba essere moderata o corretta. Se¸ per esempio¸ Gesù dicesse a Padre Pio: “Non mi importa nulla dei miracoli che hai fatto¸ smettila di dire <Signore¸ Signore>”. E’ una battuta¸ si intende¸ ma cosa intendeva Matteo quando diceva: “Diranno di aver profetato¸ diranno di aver compiuto prodigi” e mette in bocca a Gesù una risposta¸ una battuta in contrario che è sconcertante: “Non vi ho mai conosciuti¸ allontanatevi da me voi operatori di iniquità.” Tutto il culto dei santi può essere messo in discussione da queste parole. Voglio solo dire che bisogna stare attenti a cercare le cose più importanti che probabilmente non sono né il successo del predicatore¸ e questo mi colpisce direttamente¸ ma neanche il successo del taumaturgo. Occorre qualcos’altro per diventare santi e la gente deve capire che anche Padre Pio o sant’Antonio di Padova sono diventati santi non perché hanno fatto prodigi ma perché hanno ascoltato e messo in pratica le parole del Signore. Il nesso perverso tra santità e miracolo¸ che è stato creato dalle leggi ecclesiastiche¸ è un nesso perverso che bisogna scavalcare. La santità è un’altra cosa: è l’ascolto e la prassi. Per quello che riguarda l’ascolto avrei anche qui delle critiche da fare¸ ma si vede che ho qualcosa nel fegato che non funziona perché sto diventando un teologo fegatoso. Quando voi venite in Chiesa la domenica avete l’impressione che la struttura della liturgia faciliti il vostro ascolto? Se per ascolto si intende qualcosa che poi vi fa pensare¸ perché l’ascolto non può essere semplicemente l’ascolto dell’orecchio. Oppure qualche volta le nostre liturgie¸ proprio perché sono macchinose e¸ direi¸ sempre a voce alta¸ sia per chi predica¸ e di nuovo mi devo tirare addosso la critica¸ sia per le musiche ed i suoni. Dopo la riforma liturgica si canta¸ si suona¸ ci si muove. Tutto questo facilita l’ascolto della parola¸ non veramente auricolare¸ ma l’assimilazione della parola. Il Deuteronomio¸ nella prima lettura¸ aveva delle immagini caratteristiche della cultura ebraica del VI – V secolo A.C.¸ che poi gli ebrei hanno continuato a mantenere fino ad oggi. “Le parole legale alle tue mani¸ siano come pendaglio davanti ai tuoi occhi.” Poi diceva anche “Scrivile sugli stipiti della tua porta” ed infatti in alcune vecchie case ebraiche¸ sugli stipiti della porta si trovano scritte parole della Torah. L’ebreo nel Deuteronomio aveva interpretato cosí: l’ascolto è qualcosa che uno fa personalmente¸ nella sua coscienza¸ in silenzio.” Se le attacca alla mani e se le mette davanti agli occhi. Questa personalizzazione dell’ascolto¸ questa interiorizzazione siamo capaci di compierla? Perché è questo quello che anche Gesù raccomanda quando dice: “Chiunque ascolta le mie parole…” Ascoltare ed ubbidire nella lingua della Bibbia si sovrappongono. E adesso però viene il punto che mette in questione il modo di ragionare di san Paolo: “Le mette in pratica”¸ le rende vita. Il brano della Lettera ai Romani di oggi è la “Magna Charta” ¸ per ripetere lo slogan¸ dell’origine del protestantesimo: tutti hanno peccato¸ sono privi della gloria di Dio¸ sono giustificati gratuitamente per la sua grazia¸ in virtù della redenzione operata da Gesù per mezzo della fede.” Poi la frase perentoria “Noi riteniamo che l’uomo è giustificato per la fede indipendentemente dalle opere della legge” dove Lutero ha aggiunto un avverbio che però tutti riconoscono che è pertinente: “Soltanto attraverso la fede.” Il “soltanto” non c’è in greco¸ lui l’ha messo nella traduzione. I cattolici gli sono saltati addosso ma oggi gli studiosi dicono “E’ un riempitivo ma è il pensiero di Paolo.” Al di fuori¸ più che indipendentemente è al di fuori¸ al di là delle opere della legge. Gesù la pensava diversamente da Paolo quando dice “Le mette in pratica”? Tutta la controversia secolare tra la spiritualità protestante e quella cattolica si basa su queste parole. E bisognerebbe aver tempo¸ in altra sede¸ ma se io vi invito in altra sede voi non venite¸ di esaminare con calma queste cose perché l’Europa cristiana dal 1520 in poi è cristiana sulla base di un dibattito che ruota attorno a questo argomento: le opere. Come si fa ad arrivare alle opere buone? Come si fa ad arrivare a ciò che è compimento della volontà di Dio? Anche il cattolico dice: “Ci vuole la fede.” Il protestante tenderebbe a dire: “Non solo ci vuole la fede ma¸ in un certo senso¸ la fede è sufficiente purché sia vera ed autentica fede.” E non è facile spiegarlo qui in poche parole. Vi ricordate che Giacomo nella sua Lettera dice il contrario: “La fede senza le opere è morta.” Qualcuno pensa che Matteo ha scritto le parole che ci sono nel suo vangelo per mettere d’accordo Giacomo e le Lettere di Paolo. Quindi¸ allora¸ vuol dire che già nei primi dieci anni di vita del cristianesimo era sorto questo interrogativo: come possiamo essere uomini come Dio vuole che siamo? Quindi uomini che fanno del bene al mondo perché osserviamo una lista di cose da fare o perché cambiamo la nostra mente¸ il nostro cuore e lo sottomettiamo a Dio con un atto che si chiama fede? A parole diciamo tutti le stesse cose. I protestanti non hanno mai negato le opere buone¸ anzi. L’esperienza dimostra che c’è molta più legalità ed onestà nei paesi protestanti che in quelli cattolici. I delinquenti ci sono dappertutto ma un generale senso di rispetto dell’ordine¸ della norma lo si trova sopra le Alpi non certamente al di qua¸ e più si va giù e peggio è. Il problema è¸ e devo come sempre lasciare la domanda perché non riesco mai a calcolare bene i tempi¸ probabilmente quel mettere in pratica che avevo parafrasato prima: “Trasformare in vita¸ ascoltare le parole e renderle vita” probabilmente già nelle intenzioni di Gesù significava che la prima opera è la fede e la fede non è ritenere per vero alcune formule ma è affidarsi a Dio¸ sottomettersi a lui¸ sperare nelle sue promesse¸ sentirsi continuamente osservati¸ guidati¸ incoraggiati¸ rimproverati. E’ la comunione con Dio la fede¸ è il continuo interrogarsi: cosa vorrà adesso Dio da me? Se questa è la fede allora capite che il mettere in pratica¸ cioè trasformare in vissuto le parole ascoltate¸ non esclude le opere. Ma le opere non sono qualcosa che meccanicamente si eseguisce¸ non sono prestazioni¸ ma sono il frutto di una coscienza continuamente rinnovata dalla sola fede¸ cioè dal primato di questo rapporto con Dio. E se tutto va bene¸ domenica prossima¸ quando cercherò di spiegare cos’è il sacrificio potrò riprendere anche questo pensiero perché in fondo il sacrificio della messa non è altro che questo: entrare in un rapporto di filiale comunione con Dio. La messa è la fonte e l’origine della fede e questa fede è il mettere in pratica cioè non l’eseguire ma il trasformare in vita.