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Omelia IV DOM. T.O. A del 3 Febbraio 2008

Questa è una delle poche domeniche in cui tutte e tre le letture¸ compresa quindi la seconda che spesso va per suo conto¸ toccano il medesimo tema e cioè la tesi che Dio tratta con benevolenza e considera persone più vicine a lui più di qualunque altra: non i ricchi ma i poveri¸ non i forti ma i deboli¸ non quelli che stanno bene ma quelli che¸ come dice la nuova traduzione¸ piangono. Lo diceva la prima lettura che “Rimarrà in Israele un popolo fatto soltanto di poveri¸ un popolo umile e povero che confida nel nome del Signore e che non commetterà più iniquità né proferirà menzogna”¸ e assomiglia¸ molto il testo di Sofonia¸ alla formulazione delle Beatitudini perché evitare la menzogna significa essere puri di cuore¸ non commettere iniquità significa essere miti¸ misericordiosi¸ operatori di pace. E anche il testo di san Paolo¸ va nella medesima direzione¸ anzi¸ come sempre¸ la presentazione paolina del tema è di tipo più teorico e generalizza il discorso e ne fa quasi una caratteristica filosofica di Dio. Ha scelto ciò che nel mondo è stolto¸ ha scelto ciò che nel mondo è debole¸ ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato. E’ la politica di Dio¸ la strategia di Dio e tutto questo coincide con il messaggio delle Beatitudini che pure afferma che il regno dei cieli è fatto dei poveri¸ di quelli che piangono¸ dei miti¸ dei misericordiosi¸ dei puri di cuore¸ degli operatori di pace¸ dei perseguitati per la giustizia. Luca dice la stessa cosa¸ come abbiamo visto l’anno scorso in maniera più breve: parla soltanto di quelli che hanno fame¸ non dice della giustizia¸ ma pensa alla fame materiale. Parla di quelli che piangono e parla dei poveri senza la clausola “poveri in spirito”. Questo per dire come in questa occasione non c’è alcuna incertezza o esitazione nel trarre fuori il tema principale che viene toccato. E’ la presentazione di Dio come colui il quale¸ nel corso della storia¸ sta dalla parte di coloro che sono ai margini. Questo è un dato di fatto ed è una caratteristica direi di molte religioni perché in fondo non è soltanto il cristianesimo il quale afferma che coloro dei quali gli uomini non si prendono cura perché li considerano persone inutili o prive di dignità e di valore sono invece oggetto dell’attenzione divina. Ma il cristianesimo evidentemente lo dice in maniera molto particolare¸ anche perché ha poi il coraggio¸ che scandalizza molti ma che tuttavia è dal punto di vista intellettuale un coraggio ammirevole¸ di presentare la stessa immagine di Dio che c’è in Gesù Cristo come l’immagine di una persona che ha rinunciato al potere¸ che vive povero¸ che frequenta i poveri¸ che è perseguitato¸ addirittura crocifisso per amore della giustizia e non fa nulla per difendersi. Il culmine delle Beatitudini si realizza nella persona di Cristo e domenica prossima¸ che è la prima di quaresima¸ nel racconto delle tentazioni¸ voi sentirete che Gesù considera tentazione satanica tutto quello che parla di cura di sé stesso¸ di auto-propaganda e soprattutto tutto quello che significa potere¸ mezzi economici¸ finanziari¸ militari. Quindi c’è una coerenza e un’evidenza di questo tema in tutto il N.T.¸ preparato nell’antico¸ che impedisce qualunque dubbio su questa concezione di Dio. Ripeto¸ non si tratta soltanto di ammonimenti fatti ai fedeli e alla gente¸ ma si tratta dell’immagine stessa di Dio che traspare in Gesù Cristo la quale si presenta come l’immagine di colui che rinuncia alla potenza e si presenta nella povertภnell’umiltà e nella impotenza perché Gesù¸ pur avendo potere¸ che qualche volta mette in atto di beneficare e guarire malattie¸ non se ne serve mai per se stesso e non si presenta come colui che va definito come taumaturgo. Si presenta invece come colui che è colpito¸ sofferente e morente. E questa scelta fondamentale che Dio è dalla parte di coloro che perdono nella vita¸ dalla parte di coloro che sono deboli e mortali è il tema fondamentale della concezione cristiana¸ della divinità e del rapporto della divinità con il mondo. Tutto questo¸ genericamente parlando¸ è il messaggio globale della domenica. Se vogliamo dare un’occhiata un pochino più di dettaglio al testo delle Beatitudini¸ possiamo trovare alcuni particolari in più sui quali riflettere. Ce ne sarebbero una quantitภsegnalo quelli che faccio in tempo a dirvi. Il primo¸ ne ho già parlato anche altri anni¸ è il superamento nel modo di parlare di Gesù¸ del concetto di legge e di comandamento. E’ indubbio che la presentazione che fa Matteo di Gesù che va sul monte e fa il suo lungo discorso¸ ha lo scopo di metterlo in parallelo con la storia di Mosè¸ che era andato sul Monte e sul Monte aveva ricevuto le tavole della legge. Penso che non ci sia studioso¸ né moderno né antico¸ che rifiuti questa interpretazione della visione matteana delle cose che è fondata soprattutto sul fatto che Luca nel suo Vangelo non adotta questa impostazione¸ ma dice che Gesù che si trovava a pregare sul Monte¸ è sceso in un luogo pianeggiante e lí¸ circondato dalle folle¸ ha pronunciato le Beatitudini. E inserisce in quel contesto Luca la maggioranza dei testi che ha in comune con Matteo e che Matteo pone nel discorso della montagna. Siccome dal punto di vista della logica umana è molto verosimile che su uno vuole parlare a della gente radunata parla in piano¸ si ritiene che storicamente abbia ragione Luca e che Matteo ha cambiato la postazione di Gesù mettendola su una collina¸ senza poi dire dove¸ quando e quale perché vuole che il lettore veda fra le righe l’analogia con Mosè. E l’analogia con Mosè mette evidentemente in luce anche le differenze sostanziali che ci sono fra la vecchia figura di Mosè e la figura di Gesù. Come ho già detto anche la volta scorsa Matteo tiene d’occhio il mondo ebraico al quale è affezionato¸ un mondo che¸ come dicevo domenica scorsa traumatizzato soprattutto dalla distruzione del tempio e dallo sterminio degli ebrei compiuto dai Romani è un mondo che in quegli anni è smarrito¸ non sa più in cosa credere ma non è disposto a trasferire la sua fede sulla persona di Cristo. Matteo con molta delicatezza dà l’impressione più volte nel suo vangelo¸ sperando che gli ebrei lo leggano¸ dà l’impressione di voler dire all’ebreo: “Guarda che se tu vieni a credere in Cristo non perdi nulla della tua tradizione¸ ma la porti a compimento¸ la aggiorni¸ la sviluppi¸ la migliori”. Proprio per questo presenta Gesù in una figura che fa ricordare quella di Mosè e il Gesù di Matteo¸ a differenza di Mosè¸ presenta almeno due caratteristiche evidenti: la prima è che Mosè parlava in nome di Dio e¸ secondo la leggenda¸ scendeva dal monte con le tavole della legge e non diceva niente di suo¸ anzi non diceva niente del tutto e presentava semplicemente scritta sulle tavole la volontà di Dio e la legge. Quindi Mosè non ha autorità propria è semplicemente un portavoce¸ è uno il quale consegna le tavole. Gesù parla in persona propria¸ Gesù parla come se lui stesso potesse fare le affermazioni. E’ interessante il fatto che qui si nomini Dio ma non come fonte dell’insegnamento di Gesù¸ è Gesù che autorevolmente di suo dice: “Beati….¸ beati….¸ beati…”. Quindi Gesù ha un magistero che è infinitamente superiore a quello di Mosè¸ può dare lui la sentenza definitiva che rappresenta il valore di Dio. Mosè aveva bisogno di ricevere l’input da Dio e leggere sulle tavole quello che c’era scritto. E’ in questa maniera molto delicata¸ molto sottile che Matteo pensa: “Se l’ebreo legge forse capirà che Gesù è più di Mosè: modifica¸ aggiorna l’insegnamento mosaico¸ non lo annulla¸ non lo critica¸ lo perfeziona per cui se voi venite dalla nostra parte non perdete niente ed acquistate uno di più” e questo è quello che già ho detto. Quindi Gesù come colui che ha in sé stesso l’autorità di definire e di interpretare il volere di Dio. La seconda caratteristica è che mentre le tavole della legge di Mosè erano comandamenti¸ alcuni dei quali assolutamente perentori (non fare¸ non nominare¸ non rubare¸ non desiderare)¸ quelle di Gesù sono delle Beatitudini e qui la differenza è evidente¸ tutti la intuiscono¸ forse non è facilissimo spiegarla a parole ma è infinitamente diverso presentare un Dio il quale dà degli ordini e presentare invece una figura divina la quale pronuncia delle sentenze di sapienza e mette come parola iniziale non il comando ma la promessa della beatitudine. Come dire che non si tratta di legge ma si tratta di amore per la vita¸ per una vita buona e di ammaestramento e consiglio per poter avere una vita buona. E’ anche molto fine l’uso della parola “beato” che evita il nostro termine esagerato e presuntuoso “felicità”. Mi sembra che sia sempre molto grossolano e superficiale parlare di felicitภdel resto anche la parola greca corrispondente¸ la “eudaimonía” greca non è la felicità è il buono spirito. Non è vero che i greci cercano la felicitภi greci cercano il benessere completo¸ il benessere spirituale. Poi noi superficialmente sul vocabolario tiriamo fuori felicità che è parola del volgare¸ non è parola delle grandi lingue antiche. Ed è molto intelligente dire semplicemente beato perché beato è forse meno evidente o meno sensitivo di felicità ma dà un’idea di equilibrio¸ di stabilitภdi durata che è quello di cui l’uomo ha veramente bisogno¸ è questo essere in pace con sé stessi e star bene. Allora vedete che Gesù presenta l’immagine di Dio non più come quella di colui che dà ordini. L’A.T. è ancora legato quando pensa a Dio ad un’immagine di tipo sovrano ed imperiale. Dio è il grande padrone è l’artefice da cui tutto dipende e a cui tutto è soggetto. Gesù¸ quando incomincia il suo discorso dicendo “Beato”¸ soprattutto se il lettore sa che Gesù è il Figlio di Dio¸ è l’immagine perfetta di Dio¸ vede un Gesù che conversa cordialmente e fa un elenco dando un giudizio di valore: beati questi e non gli altri¸ sottinteso. E’ anche più delicato il testo di Matteo¸ che a differenza di quello di Luca che dopo mette “Guai a voi”¸ non dice nessun “Guai”¸ è sottinteso. E allora vedete come insensibilmente¸ senza che uno se ne accorga¸ cioè se ne accorge quello che come voi sta imparando a leggere la Bibbia con attenzione¸ oltre che il contenuto delle singole frasi¸ che pure è interessante e di cui ho fatto cenno all’inizio¸ in fondo appare tra le righe quella che con le parole tecniche della scienza teologica si chiamerebbe una cristologia ed una teologia. Chi è Gesù? Colui che può permettersi di parlare come Dio stesso parlerebbe. E come parla Dio? Non più comandando¸ i comandi rimangono ma il suo modo nuovo e definitivo di presentarsi è quello della cordiale conversazione¸ perché le Beatitudini vanno lette come delle specie di meditazioni che Gesù dice a voce alta ma è come se le pronunciasse tra sé: “Beati i miti¸ beati i pacifici…”. Sono cose che si dicono ma non si gridano¸ sono parole che si depositano nella mente e nel cuore di chi ascolta chiedendo implicitamente se è disposto a condividerle. Sono parole che suscitano un ripensamento¸ un ragionamento¸ non sono comandi. Per caritภcose pregevoli anche queste¸ ma l’imperativo non serve molto a formare una coscienza¸ serve di più l’indicativo¸ l’augurio come nelle Beatitudini. Vedete quindi quante cose stanno insieme. Il protestantesimo¸ nella sua forma originaria¸ che è probabilmente più pura di quella che nel frattempo si è evoluta¸ come capita anche alla Chiesa cattolica che era più pura nei primi secoli e poi si è anche pasticciata e¸ ogni tanto¸ deve riformarsi¸ il protestantesimo originario aveva insistito molto nel prendere atto che in Gesù la legge non è più la forma dominante del modo di interloquire con noi di Dio ma lo è diventata la “bella notizia” che è traduzione letterale della parola greca “euanghelion”. Cioè Gesù vede le folle¸ vede i suoi discepoli e dà loro la buona nuova interpretazione delle cose che fa giudicare la vita in maniera diversa da come si è portati spontaneamente a giudicarla e dice: “Beati non i ricchi ma quelli che si accontentano”¸ i poveri in spirito sono quelli che si accontentano¸ “Non sono i forti ma sono coloro che hanno la forza d’animo e sono quindi miti”. Sono beati perfino quelli che piangono perché poi¸ come ci dice anche la nostra esperienza¸ non le sofferenze estreme¸ ma quella sofferenza che permette ogni tanto di piangere ci rende più uomini¸ ci rende persone che capiscono di più la realtภè fonte di maturazione. Cosí come il far fatica a produrre giustizia ci fa capire tante cose sulla difficoltà della convivenza umana¸ ci rende meno superficiali¸ ci impedisce di acclamare con applausi il primo che si presenta come il dominatore che risolve tutto¸ perché abbiamo imparato come è difficile arrivare alla giustizia¸ come bisogna imparare a desiderarla¸ non aspettare che la facciano gli altri (fame e sete). E vedete quante cose vengono fuori da questo modo di impostare le cose che è appunto vangelo¸ cioè un bel modo di dire le cose. Il modo giusto di impostare i discorsi¸ il parlare di Dio che è superiore al nostro imperfetto parlare¸ non più la legge che comanda ma il discorrere di Dio. E i primi protestanti questo lo hanno intuito perché san Paolo nelle sue lettere lo diceva con molta chiarezza: la legge non basta¸ anzi peggiora perfino le situazioni in molti casi¸ è la fede. E la fede è l’attenzione¸ il ripensamento¸ è il dar ragione a Dio che parla dopo averci pensato¸ dopo avere masticato a lungo le parole che ha detto. E si potrebbe andare avanti a dire tante altre cose perché sempre¸ come vi dicevo domenica scorsa ed è quello che desidererei che pian piano imparaste a fare anche per vostro conto¸ se si guarda con attenzione il testo della Bibbia¸ esso ha questo pregio: essere una specie di tesoro molteplice nel quale le persone che lo accostano con simpatia¸ con amore¸ con fiducia riescono a ricavare una quantità di cose buone e utili per la vita.udio