» Home » Domande - Risposte   » Libro deglio ospiti    » Contatti  
Omelia NATALE DEL SIGNORE del 25 Dicembre 2007

Domenica scorsa abbiamo riflettuto su come deve essere interpretata la nascita verginale di Gesù da Maria ed abbiamo concluso¸ seguendo l’insegnamento del libro che il papa aveva scritto quarant’anni prima di diventare papa¸ abbiamo tentato di concludere che quello che è accaduto nella nascita verginale è soprattutto un segno perché noi comprendiamo la ragione¸ la finalitภlo scopo per cui l’eterno figlio di Dio è diventato uomo. Ed abbiamo detto che il vero significato di quel racconto era un discorso riguardante la natura della missione di Cristo¸ non un discorso biologico. Il prologo di Giovanni¸ che abbiamo letto oggi come vangelo¸ parla in un linguaggio apparentemente del tutto diverso da quello del vangelo di Matteo. Potremmo dire che sulla base dei due vangeli di Matteo e di Luca noi possiamo fare il presepio¸ vale a dire possiamo ricostruire l’ambiente nel quale Gesù Cristo è nato¸ le emozioni e gli affetti delle persone che lo hanno incontrato bambino e possiamo fare una specie di piccola storia della sua nascita¸ della sua crescita ed¸ infine¸ aprirci alla conoscenza della sua predicazione che poi termina con la morte in croce. La prospettiva di quei vangeli è quella di una ricostruzione storica¸ con molti suggerimenti per capire il senso dei fatti che sono accaduti¸ come appunto dicevamo del racconto della nascita verginale. Il prologo del vangelo di Giovanni pare¸ invece¸ utilizzare un linguaggio astratto¸ quasi di tipo filosofico ed ha una prospettiva che non è più quella della narrazione dei sentimenti¸ delle emozioni¸ delle incertezze di Giuseppe¸ della gioia di Maria oppure della contentezza dei pastori nel sentire l’annuncio¸ della loro corsa verso la grotta¸ del bambino nella mangiatoia… Non c’è niente di tutto questo nel vangelo di Giovanni a prima vista. Nel vangelo di Giovanni c’è questa visione di dimensione cosmica che risale all’inizio della creazione del mondo e dice che quella intelligenza divina¸ che lui chiama il Verbo¸ questa intelligenza divina che ha presieduto alla creazione del mondo è la luce degli uomini¸ ha cercato di illuminare gli uomini da sempre ma non è stato accolto¸ se non da pochi¸ perché “Venne nel mondo ma neanche i suoi non lo riconobbero¸ era presente dappertutto ma non venne riconosciuto. A quelli che lo conoscevano diede il potere di diventare figli di Dio”. Ma la maggioranza non lo conobbe ed allora¸ nel punto centrale di questo testo di Giovanni¸ dice l’evangelista¸ “Si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. E tutto il presepio¸ tutta la storia della nascita¸ come ce la raccontano Matteo e Luca¸ è riassunta da Giovanni in questa brevissima parola: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. Si potrebbe dire che il modo di scrivere di chi ha composto questo prologo assomiglia già al modo di parlare delle formule di fede¸ che poi la Chiesa costruirà con il passare del tempo. Non racconta ma sintetizza in una frase riassuntiva¸ come facciamo noi quando recitiamo il Credo. E già questo è interessante perché vuol dire che già la generazione che aveva conosciuto Gesù in certi momenti racconta e racconta con i dettagli che impressionano¸ in certi altri momenti cerca di giungere al cuore dell’evento e di esprimerlo con un concetto: si fece carne. Ora¸ in questo concetto¸ se noi soppesiamo le parole¸ perché quando una determinata idea viene espressa in una formula tutte le parole che vengono usate sono importanti¸ ne vengono usate poche e ciascuna di esse va guardata con attenzione perché sono parole scelte con cura per riassumere la sostanza delle cose e voi capite che in questa espressione la parola chiave è la parola carne. Io l’ho sempre spiegato¸ la parola carne¸ nel linguaggio della Bibbia significa uomo ma serve anche per nominare tutti gli esseri viventi e viene adoperata nella Bibbia¸ qualche volta anche nel greco classico antico ma soprattutto nel linguaggio religioso degli ebrei di lingua greca¸ per indicare la fisicità delle creature e¸ in particolare¸ dell’uomo. E ancora di più quell’aspetto collegato alla fisicità che è la debolezza¸ il limite¸ la morte¸ la mortalità dell’essere umano. Questo indica la parola carne. Mentre¸ sempre nell’uso linguistico di quei tempi¸ la parola uomo¸ antropos in greco¸ da cui derivano tante nostre parole¸ voleva sottolineare la grandezza dell’uomo¸ la sua superiorità su tutte le creature¸ la sua intelligenza¸ la sua capacità di trasformare le cose. Quando la Bibbia usava la parola antropos metteva in luce quella che noi chiamiamo la somiglianza divina che c’è nell’uomo. L’uomo creato ad immagine di Dio si chiama antropos¸ Uomo con la lettera maiuscola perché quella parola indica l’ammirabile forza dell’intelligenza¸ la fantasia¸ l’immaginazione¸ la capacità costruttiva. Quando¸ invece¸ si vuole sottolineare la debolezza dell’uomo¸ i suoi limiti¸ la sua povertà e¸ soprattutto¸ la tragica prospettiva della morte¸ che tutti preoccupa¸ allora si dice: “L’uomo è carne”. Quando il prologo di Giovanni dice che colui dal quale dipende tutta la creazione si è fatto carne dice proprio la stessa cosa che noi vediamo nel presepio. Vuol¸ dire che questo verbo creatore ha voluto avvicinarsi a tal punto all’uomo che ama da condividere non la sua grandezza¸ non quella somiglianza con Dio che consiste nell’intelligenza¸ nell’acume¸ nella capacità di costruire che Dio non ha affatto bisogno di condividere perché la conosce. Quello che ci rende simili a Dio non ha bisogno di sperimentarlo facendosi uomo Dio perché è la sua caratteristica: la potenza¸ la creativitภil successo¸ la comprensione¸ l’intelligenza. Quello che il verbo di Dio ha voluto provare e sperimentare nella sua umanità è la nostra debolezza¸ è l’aver fame¸ l’aver sonno¸ l’essere stanchi¸ avere la vista che diminuisce¸ rendersi conto che esistono dei sordi¸ dei ciechi¸ dei muti¸ degli zoppi¸ dei paralitici¸ dei morenti. Che quando vediamo morire un amico ci viene da piangere e Gesù pianse per Lazzaro. Questo è farsi carne¸ sperimentare¸ cioè¸ quello che Dio¸ nella sua divinità non può sapere che cos’è: lo star male delle creature. Il presepio lo dice dicendo che il bambino è nato e fu messo in una mangiatoia perché non c’era posto per lui nell’albergo. Che la madre lo ha partorito durante il viaggio non nella clinica svizzera di lusso¸ che appena nato venne avvolto in pochi panni e che vennero a trovarlo dei pastori con le loro pecore¸ puzzolenti i pastori come le pecore. E le nostre canzoncine lo hanno detto in maniera popolare¸ poetica¸ campagnola: “Gli portarono latte¸ burro¸ vino…”. E’ questo che il presepio dice in maniera delicatamente poetica¸ che vien voglia di dire: “Povero bambino¸ fa tenerezza ed un tantino di compassione!” e che è quello che rende bello il presepio. E questo spiega perché nel presepio le persone che stanno male o che si lamentano della vita ci mettono dentro il loro star male insieme con il loro gioire e star bene per cui nasce quel presepio¸ come quello napoletano¸ dove tutti gli aspetti della nostra vita¸ ma soprattutto quelli della nostra vita corporea: attingere acqua¸ lavorare¸ fare il pastore¸ cucinare. Queste cose Dio non sa cosa sono. Dio¸ in quanto Dio¸ non può sapere cosa vuol dire far cuocere una cosa. Il suo verbo¸ la sua intelligenza creatrice ha voluto provare questo e per questo si è fatto uomo. E questo modo di concepire l’interesse di Dio per la sua creatura uomo è ciò che rende il cristianesimo la religione più simpatica che possa esistere¸ almeno secondo me¸ perché coniuga insieme l’immensità impensabile di Dio¸ che nessuno ha mai visto¸ con il fatto che la sua intelligenza creatrice ha voluto provare a diventare carne¸ a diventare corpo¸ a diventare materia che si corrompe. La cosa più importante che c’è in Gesù¸ al di là del suo insegnamento elevato¸ è proprio questo: che ha avuto fame¸ che si è stancato¸ che ha avuto sonno e¸ nella storia della passione¸ che ha sentito cosa vuol dire essere flagellato¸ avere la corona di spine sulla testa ed essere insultato dagli altri senza poter far niente per difendersi. Non è l’onnipotenza e l’onniscienza¸ queste Dio le conosce di suo e ci ha creati con una piccola immagine della sua onnipotenza ed intelligenza e noi gli siamo simili appunto quando creiamo¸ costruiamo¸ progettiamo¸ facciamo dimenticandoci di ringraziarlo per questo. Ma il suo amore e la sua bontà sono giunti al punto di voler vedere cosa si prova quando si ha freddo¸ quando non si ha da mangiare. La fisicità dell’esperienza di Gesù è il farsi carne e questo¸ secondo me¸ è la bellezza che noi dobbiamo contemplare nel giorno di Natale.