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Omelia XXX DOM. T.O.C del 28 Ottobre 2007

Sembra che nelle ultime prediche¸ forse specialmente quella di domenica scorsa¸ io abbia creato troppi allarmismi e qualche piccolo scandalo¸ allora mi hanno chiesto¸ e cosí possiamo fare¸ che¸ non domenica prossima ma domenica l’altra¸ l’11 novembre verrò sottoposto alle “invasioni barbariche” quindi alle 4 del pomeriggio chi vuole accusarmi di eresia oppure semplicemente chiedere spiegazioni ci troviamo insieme¸ fraternamente¸ come nelle “invasioni barbariche”¸ qui al centro pastorale e possiamo chiacchierare dei problemi suscitati dalla lettura del vangelo e da altre cose. Quindi domenica 11. Il brano che abbiamo letto oggi è all’inizio del capitolo 18¸ mentre quello di domenica scorsa era al capitolo 17¸ ma la divisione in capitoli è puramente artificiale e non ha in genere corrispondenza¸ cioè è stata fatta in maniera meccanica nell’alto medioevo e non ha riferimento alla connessione tra brano e brano che l’autore ha voluto instaurare nel suo vangelo. Di per sé la parabola di oggi segue immediatamente quella di domenica scorsa ed anche questa è dedicata al tema della preghiera ed al suo interno potrebbe contenere una possibilità di illuminare il testo di domenica scorsa che effettivamente ci aveva lasciati perplessi. Soprattutto¸ vi ricordate¸ per quel “prontamente”. Quell’avverbio ci disturbava perché Gesù sembrava assicurare che coloro che implorano giustizia ricevono prontamente risposta da parte di Dio. Il testo è qui e lo possiamo rileggere senza fatica. “Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui? Vi dico che farà loro giustizia prontamente”. Ed io facevo l’esempio della preghiera che certamente ci sarà stata nei campi di concentramento e ponevo il problema¸ che è di molti ebrei¸ come mai non è stata fatta giustizia né prontamente né mai. Ma¸ volendo¸ il testo di oggi ci dà la possibilità di fare una diversa ipotesi che può essere basata anche su una parola. Noi siamo portati a dare all’espressione “far giustizia¸ rendere giustizia”¸ come faceva la vedova¸ siamo portati ad interpretare questa frase nel senso di rivendicare su questa terra i diritti. La parola rivendicare è una parola buona. Se tiriamo via il “ri” allora diventa una colpa perché vendicarsi è un male¸ rivendicare è invece la giusta difesa di un diritto. Sono le stranezze della lingua sulle quali¸ come sanno quelli che insegnano lettere¸ oggi c’è tutta una indaffarata filosofia che si occupa di tutte queste cose perché bastano piccoli prefissi e suffissi per trasformare le parole da parole che feriscono a parole che confortano¸ da parole che suonano riprovazione a parole che invece suonano “giusta difesa del diritto”. Vendicarsi è un male¸ rivendicare è un diritto e fare giustizia è un bene. Bisogna che stiamo attenti perché non è detto che quando Luca scriveva il suo vangelo la sua espressione¸ che tra l’altro non è facilissimo mai nel N.T. da capire e da tradurre perché il N.T. usa un greco popolare che non è quello classico degli scrittori che abbiamo studiato e che tutti da secoli hanno studiato¸ e per di più è un greco popolare parlato in Siria¸ Libano¸ Palestina dove l’influsso dei vecchi dialetti e delle vecchie lingue locali interferiva con questo uso del greco. Tutti sanno che l’inglese degli indiani e quello degli australiani non è l’inglese della Gran Bretagna e cosí vale per il greco antico. Cosa intendeva Luca quando metteva in bocca a Gesù domenica scorsa “Farà giustizia prontamente?” Voleva forse che noi aspettassimo di leggere il brano di oggi per capire cosa voleva dire questa parola? Il pubblicano torna a casa sua giustificato¸ non è proprio identica in greco la parola usata lภche è un sostantivo¸ e il verbo usato qui¸ però il “prontamente” si adatta bene alla situazione del pubblicano. Non può darsi¸ allora¸ che la parabola della vedova fosse una parabola che non direttamente illustrava l’agire di Dio e che Gesù pensando allo spasmodico desiderio della vedova di ricevere la rivendicazione dei suoi diritti su questa terra avesse fatto un commento che trasponeva tutto su un altro piano e tra sé avesse detto¸ senza forse che l’evangelista riuscisse a farcelo capire bene: “Dio non si occupa degli affari delle vedove che hanno bisogno di soldi”. Luca ricorda infatti¸ e l’avete sentito questo autunno o alla fine dell’estate¸ che quando uno una volta gli chiese: “Signore¸ dí a mio fratello che divida l’eredità con me” e Gesù si è inquietato e gli ha detto: “Oh uomo¸ chi mi ha costituito giudice fra di voi?”. Se quella frase serve ad illuminarci potrebbe anche darsi che Gesù¸ dopo aver raccontato la parabola della vedova intendesse sottendere questo ragionamento: la gente è ansiosa di ricevere giustizia nel senso di riavere il dovuto che gli spetta; non sa che Dio non si occupa di queste cose ma si occupa di donare un’altra giustizia che è il perdono dei peccati e¸ quella¸ la dà prontamente. E quando Luca ha accostato i due brani mettendo al primo posto un fariseo che¸ anche se non sta parlando di denaro¸ in realtà è uno che rivendica¸ come la vedova¸ ringrazia ma ringrazia perché ha potuto constatare di aver ricevuto doni che lo rendono persona onorata nella società del suo tempo. Ha della giustizia¸ in fondo¸ un concetto vicino a quello del commerciante: “Ti ringrazio perché mi hai reso diverso dagli altri uomini¸ persona rispettabile¸ onorata e io per mio conto pago le decime di tutto”. Vedete come si insinua il simbolo dei soldi: “Pago le decime di quanto possiedo”. Le decime di per sé erano come l’I.V.A.¸ le decime doveva pagarle l’agricoltore ed eventualmente il venditore ma i farisei¸ temendo che questi non le avessero pagate¸ erano disposti a pagarle due volte per essere sicuri di essere a posto nei confronti di Dio. Era il loro concetto di giustizia¸ quello del bilancio¸ quello della partita doppia e¸ di fronte a questo modo di pensare¸ Gesù si ritrae¸ non dà neanche ascolto¸ non entra nel discorso e pensa ad un’altra giustizia. Ed allora ecco che mette questa immagine del pubblicano¸ che tra l’altro è l’ agente che deve riscuotere le tasse¸ se siamo in Galilea per incarico di Erode Antipa¸ se siamo in Giudea per incarico dei romani. E questo povero uomo da tutti disprezzato si limita a dire: “Ho un brutto mestiere¸ sono considerato da tutti un disonesto”. Non chiede che lo si giudichi con maggiore obiettività ma umilmente dice: “Abbi misericordia”. E Dio gli concede la giustizia¸ lo dichiara giusto. Capisco che il ragionamento non è del tutto convincente però potrebbe darsi che Luca accostando queste due parabole ci facesse capire che Gesù non è venuto per incoraggiare o per promuovere il nostro desiderio di umana giustizia¸ quello tocca a noi. E’ un dovere nostro morale che Dio certamente sostiene ed appoggia ma lui non è venuto per ridar vigore a questi ovvii principi di moralità naturale¸ è venuto per dire che Dio ha in serbo qualche cosa di più: la giustizia concessa alla coscienza¸ all’interiorità della persona non semplicemente l’esteriore correttezza nelle transazioni e negli affari perché¸ come rispondeva a quel tale¸ lui non è giudice di queste cose e non venuto a parlare di queste cose ma è venuto a parlare dei bisogni¸ dell’interiorità e della coscienza. E allora questa è la giustizia che Dio concede prontamente. Detto questo¸ per farvi vedere come intendevo dire anche domenica scorsa¸ la Bibbia va letta con pazienza¸ confrontando un brano con l’altro¸ evitando di illudersi che una singola parola¸ staccata dal contesto¸ possa essere considerata la dottrina infallibile che Dio ci insegna¸ la sua parola. Della Bibbia io preferirei che si dicesse¸ dopo averla letta¸ “Voce di Dio”. Non è una cosa molto geniale perché questo termine fa capire che c’è una presenza del pensiero di Dio in questi testi¸ ma non c’è la parola apodittica. C’è la dottrina formulata¸ c’è una serie di stimoli per la riflessione e per la meditazione di chi ha ascoltato. Tuttavia voglio aggiungere un’altra cosa. Dal momento che avevo incominciato parlando della necessità di analizzare le parole umane che vengono usate nella scrittura¸ parole nelle quali può risuonare la voce di Dio¸ e fare un’osservazione che non si collega direttamente a quello che ho detto finora sull’ultimo slogan: chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato. In greco c’è alzare – abbassare. In latino humilis deriva da humus¸ la terra ed indica quello che sta a terra. Voi come lo interpretate quando lo sentite dire questo proverbio? Probabilmente lo intendete come la pena del contrappasso¸ come nel Magnificat che ho citato molte volte: manda a mani vuote i ricchi¸ arricchisce i poveri. Il contrario¸ la vendetta. E’ cosí che va interpretato il testo? Se dietro questo versetto c’è l’ebraico¸ voi non potete saperlo¸ lo so¸ capisco¸ però siamo qui apposta noi per comunicarvi queste piccole conoscenze che sono poi curiositภin Palestina c’è una pianura celeberrima¸ nominata molte volte nella Bibbia¸ la Shefela¸ si chiama cosí anche adesso¸ è quella che incomincia dal monte Carmelo ed entra dentro. Ugualmente chiamavano Shefela la pianura di Gaza¸ la pianura costiera fino a Tel Aviv¸ la Shefela era il bassopiano¸ la bassura¸ il pianoro. Per gli ebrei era il paradiso¸ la terra coltivabile¸ irrigata¸ feconda¸ verde. L’unico verbo che in ebraico può significare abbassare¸ umiliare è questo verbo shafal¸ da cui deriva la Shefela. Il superbo sarà trasformato in un bassopiano¸ il superbo sarà trasformato in un verde pianoro¸ chi si esalta sarà ridimensionato e chi è un verde pianoro¸ ve qui è chiaro che è metaforico¸ sarà onorato¸ sarà ammirato¸ sarà desiderato. Il proverbio non va inteso “Colpito il superbo¸ innalzato l’umile”¸ non va inteso in senso antagonistico ma in senso evangelico-salvifico. Il Signore metterà a posto le cose e farà pari: chi si innalzava verrà leggermente abbassato e chi era troppo basso verrà innalzato e si farà uguaglianza. Avete mai pensato che il testo¸ questa volta¸ poteva essere interpretato in maniera rigida e polemica da noi mentre forse non aveva nulla di polemico e vendicativo? Perché chi è troppo alto entrerà nella media¸ chi è troppo basso entrerà nella media e si farà una Shefela¸ e si farà un pianoro¸ si farà un’oasi pianeggiante perché Gesù è venuto non per contrapporre¸ o meglio è venuto per far vedere dove stanno i contrasti e le contrapposizioni¸ ma con l’intenzione di sanarle non di rovesciare gli uni ed innalzare gli altri¸ in maniera che rimanga ancora¸ soltanto con il cambiamento dei personaggi¸ la stessa conflittualità. E’ venuto a rappacificare. Vi ricordate la famosa frase di Isaia¸ quella che si legge in avvento “I colli saranno abbassati¸ le montagne saranno spianate” è lo stesso verbo perché ci sia una strada diritta che tutti possono percorrere senza fatica. Ecco perché io oso pensare che il pubblicano è tornato a casa giusto ma anche il fariseo. E’ stato preso in giro per la sua eccessiva superbia ma anche lui¸ corretto il piccolo difetto¸ è tornato a casa giustificato.