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Omelia XXVII DOM. T.O. C del 7 Ottobre 2007

E’ già capitato altre volte che leggendo il vangelo di Luca ci siamo trovati di fronte a dei passi enigmatici che non eravamo in grado di interpretare facilmente. E questa volta direi che c’è uno dei passi più caratteristici di questa redazione lucana del tutto incomprensibile. “Se aveste fede quanto un granellino di senapa¸ potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare ed esso vi ascolterebbe!”. Che io sappia nessuno ha dato una spiegazione accettabile di questa paradossale risposta di Gesù alla domanda dei discepoli e¸ a mio modesto parere¸ io non sono capace di dire niente di sensato su questi versetti. Forse alla fine potrò magari tentare di riprenderli¸ ma io non riesco a capire che cosa voglia dire questa parola. E approfitto¸ però¸ per ricordare un atteggiamento che il credente deve tenere in casi come questo¸ che non sono poi cosí infrequenti¸ perché il lettore laico o lo studioso indifferente alla fede prenda semplicemente atto che questa è una frase difficilmente comprensibile¸ da considerarsi dal punto di vista letterario scadente e trascurabile. E magari¸ dà un giudizio complessivo sul N.T. dicendo che¸ accanto a pagine molto ben riuscite¸ contiene anche dei momenti di cedimento che rivelano l’imperizia dello scrittore. Anche il credente può fare queste osservazioni quando osserva la Sacra Scrittura e la giudica come giudica ogni altro testo e dice: “Io qui mi trovo a disagio perché non capisco come si possa rispondere ad una domanda dicendo che se aveste fede fareste trapiantare un albero nel mare. Non ha senso. Vuol dire che se io ho più fede faccio cose insensate?”. Mi rifiuto di accettare questa che sembrerebbe l’interpretazione più ovvia. Da dove viene questa stranezza di dire sradicare una pianta e piantarla nel mare¸ che è cosa priva di senso? Perché Gesù ha detto una cosa priva di senso? Ripeto: lo studioso laico ne prende atto e dice: “Sarà una caduta di stile”. Il credente¸ seguendo una tradizione che risale anche all’antico ebraismo dice invece: “Ci deve essere sotto un mistero che io non comprendo”. Questa è la fede nell’ispirazione della Sacra Scrittura. Forse abbiamo bisogno che questa nostra fede aumenti¸ la mia in particolare. La fede nella Scrittura dice: “C’è una frase che io non comprendo¸ dovrò cercare di ripensarci su a lungo finché riesco a capire qualcosa; se non capisco per il momento taccio¸ conservo nella mia memoria questo testo¸ continuo a ripensarci perché niente c’è nella scrittura che non abbia una sua funzione”. Questo viene dettato dalla fede per cui è diversa l’attitudine spirituale di chi legge la Bibbia come una persona semplicemente incuriosita dal testo¸ come leggerebbe qualunque altro testo profano¸ dal credente che legge la scrittura dando credito in anticipo alla stima che la scrittura sempre merita. Il fatto¸ quindi¸ che io non sono in grado di commentare questa frase non significa affatto che sia una frase da trascurare¸ significa semplicemente che io non riesco a capire dove vuole arrivare e non posso quindi dirvi nulla a proposito di questo testo. Ma¸ ripeto¸ più volte può accadere questo: il credente accetta umilmente di non capire ma spera di potere in un domani comprendere anche il senso di questi paradossi. La seconda parte del vangelo mi disturba ma è meno difficile da comprendere. Mi disturba per una ragione che vi ho già comunicato molte altre volte e cioè ritorna quell’abitudine che Gesù deve aver avuto¸ e che Luca soprattutto continua ad usare¸ di adoperare l’immagine padrone – servo per alludere ai rapporti Dio – uomini. Io ho già detto in un’altra occasione¸ poche settimane fa¸ che questa immagine è molto diversa da quella che è diventata più consueta padre – figlio. Nel mondo antico anche il padre comandava¸ aveva autoritภdirigeva la famiglia. Bisognava dargli del “voi” perché il mondo antico era cosí¸ tuttavia nella figura del padre¸ per quanto in quell’epoca fosse una figura indubbiamente autoritaria¸ è sempre presente anche la dimensione dell’affetto¸ della comprensione¸ dell’indulgenza¸ della stima¸ come nella parabola del Figliol Prodigo. Quando si usa l’immagine servo – padrone molto spesso¸ specialmente in Luca¸ il padrone è presentato in maniera molto dura¸ come una persona insensibile. “Quale padrone direbbe al servo che ha lavorato tutto il giorno nei campi: Vieni¸ mettiti a tavola. Ma gli dice piuttosto: Preparami da mangiare¸ servimi e dopo mangerai anche tu”. E la conclusione è ancora più rigida. “Si riterrà obbligato verso il suo servo perché ha eseguito gli ordini ricevuti?” Domanda retorica¸ la risposta è: certamente no. E’ un padrone fra i più spregevoli quello che viene descritto in questo testo. Io non penso che tutti i padroni che avevano degli schiavi in Giudea fossero cosí insensibili e indifferenti¸ cosí disumani. Noi nella conoscenza che abbiamo della civiltà greco – romana abbiamo esempi di persone che trattavano gli schiavi in maniera molto più cortese e cordiale. Cicerone non trattava cosí i suoi servi. Qualche padrone carogna c’era anche allora¸ forse erano la maggioranza¸ ma esisteva anche la figura del padrone il quale¸ pur avendo degli schiavi sui quali mantiene il diritto di vita e di morte¸ che non hanno orari di lavoro¸ questo lo capisco¸ come gli operai cento anni fa¸ però c’erano padroni che si affezionavano ai servi¸ che chiedevano le cose per favore¸ anche allora c’erano. Gesù sceglie il caso estremo. Sembra che voglia dire ai suoi discepoli: “Quando pensate a Dio non crediate di avere diritto che vi dica grazie. Quando avete fatto quel che dovevate fare non aspettatevi nessuna riconoscenza. Come un servo che ha un padrone di questo genere non si aspetta riconoscenza. Se avete fatto tutto quello che vi è stato ordinato dite: Siamo inutili servi. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”. Questo per noi direi che è¸ non voglio dire ripugnante¸ però nella nostra cultura rispettosa della dignità di ogni uomo¸ dove la schiavitù non esiste più¸ mentre ai tempi del N.T. esisteva¸ di fronte a questa figura del padrone noi diremmo una brutta parola che io non posso dire in una predica. E’ strano tutto questo. Perché Gesù per parlare di Dio in maniera indiretta¸ velata è cosí duro¸ rigido¸ severo? Certo che questo serve per mettere in luce la maestà inarrivabile di Dio¸ la sua grandezza per evitare troppo facili antropoformismi che trasformano Dio in una specie di nonno rimbambito¸ per il quale va bene tutto perché non ha più la forza di sorreggere il mondo. C’è in questi testi la trasmissione di una autorevolezza¸ di una potenza suprema e di una necessità da parte dell’uomo di chinare la testa e non pretendere spiegazioni e risposte¸ una idea assolutista di Dio. Ora di nuovo¸ io forse esagero nel tradurre con le mie parole l’impressione che mi fanno questi testi del vangelo¸ può darsi che esageri¸ però anche qui¸ come dicevo all’inizio¸ il credente china la testa e dice: “Questa dimensione autoritaria del divino la devo accettare perché Gesù me l’ha comunicata. Mi ripugna ma devo pensarci su. Secondo Gesù mi occorre perché io diventi un vero credente. La dice in una maniera che mi dà più fastidio¸ a me¸ persona di questa epoca¸ di quanto forse non desse allora¸ ma la devo accettare¸ devo anch’io imparare a dire: Di fronte a Dio sono come uno schiavo dell’antichità con un padrone insensibile. Sono un servo inutile”. E’ duro eh? Forse in devozioni di secoli passati molti cristiani¸ spontaneamente o più facilmente di noi¸ accettavano di essere niente di fronte a Dio¸ un nulla. Noi facciamo più fatica perché la nostra cultura ci ha portato a dare alla dignità della persona¸ qualunque essa sia¸ un rispetto che è ignoto all’estensore di questi testi. E’ una delle tante difficoltà che l’uomo di oggi fa nell’accettare il vangelo. Per fortuna che la maggioranza non lo legge tutto perché se lo leggessero tutti perderebbero ancor più la fede in un maggior numero di persone. Di nuovo parlo ancora anch’io per paradossi. Il protestantesimo delle origini ha utilizzato molto questa immagine del servo inutile: “Le nostre opere non contano¸ conta solo la fede. E’ solo la fede che ci salva¸ la sola fides”. E cos’era quella fede? “Dio è tutto¸ io non sono niente¸ faccia lui quello che vuole”. Intendiamoci bene¸ l’hanno detto e l’hanno scritto molti dei primi riformatori a parole¸ alcuni di loro sono anche stati umili nella loro vita¸ altri sono stati dei violenti e dei prepotenti che contraddicevano quello che insegnavano sulla natura della fede perché il protestantesimo delle origini in tutti i paesi è stato un movimento di superbi¸ presuntuosi e violenti¸ questo va detto. Ma l’incoerenza tra quello che si dice e quello che si fa è comune a tutti. Io ho una sola idea per riuscire a riconciliarmi con questo tipo di testo. Secondo me questo è uno di quei passi in cui Gesù parla ai i discepoli ma¸ mentre pare che dia istruzioni ai discepoli¸ pensa a se stesso e sta parlando di sé. La persona che nella sua vita ha fatto tutto quello che doveva fare e ha detto di sé: “Ho fatto quel che dovevo fare¸ sono un inutile servo” è Gesù crocifisso. Gesù qui sta parlando di sé¸ Gesù che sulla croce pone la domanda: “Dio mio¸ Dio¸ mio perché mi hai abbandonato?” e nessuno risponde. Questa è la profondità che va scoperta di questo testo. Quando il Figlio di Dio viene come uomo sulla terra prende questa posizione di servo che non si aspetta nessuna riconoscenza¸ nessun aiuto per sé. “Ha salvato gli altri¸ salvi sé stesso se è il Figlio di Dio¸ l’eletto!”. Ma il Figlio di Dio¸ l’eletto ha accettato di essere colui il quale dice: “Sono un servo inutile¸ non posso pretendere niente”. Non può neanche porre la domanda che Abacuc poneva nella prima lettura: “Fino a quando?”. Quando l’ultima frase di Abacuc¸ che è quella che sta alla base della lettera ai Romani e del protestantesimo “Il giusto vivrà mediante la sua fede”¸ quella parola è la parola che Gesù dice sulla croce¸ dove fede significa: “Dio è tutto¸ io non sono niente¸ sono qui per fare la sua volontà”. Ha fatto fatica nell’orto degli ulivi Gesù ad assumere questa posizione ma è la posizione che lui ha vissuto per primo: “Non la mia ma la tua volontà si compia”. E tutte queste cose sono dette da Gesù nell’assoluta assenza di ogni divina risposta¸ anche se Luca dice che gli angeli vengono a confortarlo¸ ma l’impressione è che questo sia un abbellimento dell’evangelista per rendere meno tragica la scena. Io ritengo che questi testi sono dei testi che più che essere antropologici¸ cioè più che dirci quello che noi siamo¸ ci dicono quello che Gesù è stato. Certo noi dovremmo metterci sulla sua scia¸ cercare di diventare in parte simili a lui¸ ma quello che conta è questa concezione che Gesù aveva di Dio. Nel suo pensiero¸ mi pare di capire¸ il mondo era cosí rovinato dal peccato¸ dall’ingiustizia¸ da una storia di violenza e sopraffazioni per cui bisognava aver fiducia in quello che Dio avrebbe fatto. Ma il modo di manifestare la bontà e la giustizia secondo Gesù¸ per lui personalmente¸ era quello di subire¸ tacere¸ accettare. E’ dura¸ eh? La domanda se sia giusto quel che ho detto¸ se sia questo il cristianesimo o no¸ se sia questa la fede¸ quella che ne basterebbe un granellino di senapa¸ ma non per avere il potere di sradicare i gelsi ma per avere la capacità e la forza di sradicare sé stessi¸ di essere noi trapiantati in un altro mondo rinunciando a tutto quello che adesso siamo: schiavi di un Dio buono ma che tace. E’ questo il cristianesimo?