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Omelia XXIV DOM. T.O. C del 16 Settembre 2007

Ho scelto la forma breve del vangelo e do per letta la parabola arcinota del Figliol Prodigo¸ che trovate sul foglietto¸ della quale forse terrò anche conto nell’omelia ma che potete leggere per vostro conto e che¸ in ogni caso¸ conoscete già praticamente quasi a memoria. A mio parere la prima lettura confrontata con le prime due parabole¸ anche con la terza¸ ma soprattutto con le prime due¸ permette un confronto tra un modo di presentare le cose molto interessante del Libro dell’Esodo¸ quindi di una delle tradizioni dell’A.T. con un diverso modo di presentare le cose nel N. Dopodichè ne aggiungerò un terzo modo che viene da un vangelo apocrifo che alcuni di voi conoscono già. La prima lettura dà l’impressione che se Mosè non fosse intervenuto ad intercedere¸ Dio avrebbe castigato il popolo che aveva costruito e adorato il vitello d’oro perché era un atto imperdonabile di idolatria. Aveva dimenticato¸ il popolo¸ i benefici dell’uscita dall’Egitto¸ aveva costruito questo idolo¸ aveva detto: “Ecco il Dio che ci ha fatto uscire dall’Egitto” e questa offesa cosí plateale¸ come la descrive il Libro dell’Esodo¸ aveva indotto Dio a dire: “Basta¸ io di questa gente non mi occupo”. Allora il testo racconta che Mosè ha dialogato con il Signore¸ ha interceduto¸ come si dice qui nel testo¸ e ha convinto il Signore a desistere. Tant’è vero che l’ultima frase diceva: “Il Signore abbandonò il proposito di nuocere al suo popolo”. Dal punto di vista della storia delle religioni e della riflessione sulla concezione di Dio nei diversi momenti della storia¸ questa immagine di un Dio che si lascia convincere da Mosè e passa dalla decisione di abbandonare a quella di continuare invece ad assistere è interessante. E’ un interessante modo che è presente anche in altri passi dell’A.T. che bisognerebbe avere pazienza e tempo per ragionarci sopra e studiarlo. L’idea del Dio che si pente¸ che per primo si converte e ritorna ad essere benevolo mentre avrebbe deciso razionalmente di essere severo e di castigare è presente più volte nell’A.T. Anche nel racconto del diluvio si dice che alla fine Dio si pentí e non avrebbe più mandato una catastrofe di questo genere. Sono delle maniere interessanti¸ antropomorfiche di presentare le cose. Soprattutto questa idea di Dio che cambia parere e si dispone ad essere di nuovo e per sempre benevolo. E’ un’idea che¸ se volete¸ si sviluppa nel N.T. ma il superamento di questa impressione che Dio debba vincere sé stesso per essere buono¸ che è quella che dà l’A.T.¸ come in questo testo per cui si immagina¸ in maniera quasi narrativa¸ che sia necessario che un uomo interceda e per fare un favore a questo amico lui ritorna ad essere buono¸ questa immagine¸ curiosa se volete¸ primitiva di un Dio che bisogna intenerirlo è la vecchia¸ classica immagine di tutto il mondo antico secondo cui Dio deve essere placato. Placare gli dei irati. E’ una cosa che quando andavamo a scuola noi ce la insegnavano parlandoci della mitologia greca¸ ma in tutto il mondo antico era diffusa questa idea. I sacrifici cruenti servivano sempre per placare la divinità irata e ciò è presente anche in questa vecchia tradizione dell’A.T. che poi già all’interno dello sviluppo della religiosità ebraica dell’A.T.¸ si trasforma¸ muta¸ cambia. Però è interessante e direi che è coraggiosa una liturgia che presenta questa prima lettura perché non ha vergogna di presentare questa immagine di Dio che¸ come dicevo¸ è un’immagine primitiva. La cosa interessante è che nel modo di parlare di Gesù la cosa si capovolge completamente perché le prime due parabole parlano di un pastore che ha perso una pecora su cento¸ di una donna che perso una monetina. La dracma non è la più piccola in assoluto delle monete¸ sono i cinquanta centesimi di euro di oggi. Probabilmente poi la monetina serviva¸ non tanto per le spese¸ ma per fare piccoli pendagli alle orecchie¸ la collanina¸ forse era d’argento ma piccolina. E presenta questa donna che mette a soqquadro tutta la casa perché ha perso una delle dracme che aveva e non sta in pace finché non l’ha ritrovata. Ed è proprio questa maniera emotiva di presentare le cose che sulle labbra di Gesù serve a dire: “Cosí più o meno fa anche Dio nei nostri confronti”. Allora capite che è completamente capovolta la situazione rispetto all’A.T. D’accordo che nelle prime due parabole non si parla di peccatori perchè sono cose¸ un animale ed una moneta¸ ed il tema del peccato è assente ed è quello che viene sviluppato nella parabola del Figliol Prodigo. Ma l’idea che Dio è cosí ossessionato dal desiderio di avere tutte le sue creature accanto a sé come una donna che perde tempo per una monetina¸ e poi va a dirlo alle vicine¸ cioè rasenta un cedimento emotivo al sentimento che non era consueto attribuire a Dio. Capite che il Dio a cui Gesù fa pensare non è l’impassibile giustiziere al quale non importa nulla di nessuno¸ è semplicemente una macchina indifferente che stabilisce buono¸ cattivo¸ condannare¸ assolvere. E’ un Dio appassionato. La stessa cosa vale per il pastore il quale¸ secondo il testo¸ ha lasciato le novantanove nel deserto non protette nel recinto e non è casuale la scelta della parola. Quindi per andare a prendere quella perduta che è un centesimo delle sue proprietภche non è pochissimo ma non è neanche molto¸ corre il rischio di perderne altre di pecore perché le novantanove lasciate sole nel deserto¸ non protette¸ sono segno che lui sta commettendo un atto insensato¸ scriteriato perché vuole a tutti i costi la pecora. Allora l’interesse rispetto all’A.T. è questo capovolgimento. Il Dio dell’Esodo è ancora presentato come un Dio buono¸ potente che ha programmato una liberazione dall’Egitto straordinaria e che si aspetta riconoscenza. E se la riconoscenza non la trova allora dice: “Non se ne parla più” e deve intervenire Mosè. In Gesù Cristo tutto questo scompare e Dio diventa colui il quale¸ come la donna per le sue monetine¸ come il pastore per la sua pecora è ossessionato dalla completezza¸ è interessato ad avere tutti attorno a sé. C’è un’idea di universalismo¸ di uguale interesse per tutti e addirittura di emotiva e sentimentale preoccupazione per quel poveretto che si è perso¸ che è piena di affettivitภdi sentimento¸ di amore. Questa diversificazione¸ questa modificazione dell’immagine di Dio è molto interessante. Ed è interessante notare che non è stata capita facilmente neppure nei primi anni della fede cristiana perché¸ come alcuni di voi già sanno¸ nel vangelo di Tommaso¸ che è uno dei testi apocrifi che si sono scoperti in Egitto alla fine della seconda guerra mondiale¸ quindi già noto da anni¸ esiste una forma della parabola del pastore che va in cerca della pecora¸ più breve di quella canonica di Luca¸ che per questa ragione alcuni studiosi riterrebbero più antica ed alcuni avrebbero ipotizzato¸ come spesso si legge in questi libercoli oggi correnti sulla ricostruzione storica della vita di Gesù¸ che in realtà in questo vangelo apocrifo si troverebbe un Gesù più storico di quello dei vangeli canonici. La parabola del vangelo di Tommaso è questa e come sentirete è completamente stravolta. “Il regno è simile ad un pastore che ha cento pecore. Una¸ la più grande¸ si smarrí. Egli lasciò le novantanove e cercò quell’una fino a quando la trovò”. E’ bastato aggiungere quel “La più grande” per cambiare tutto e tornare di nuovo a una vecchia idea per cui Dio è un salvatore selettivo. Va a cercare quella non perché è una qualunque perduta ma perché è la più grande¸ e un po’ come si dice nella parabola della perla che c’è anche nei vangeli “Vale più di tutto il resto quindi la si cerca”. Interessante perchè questo tema della cosa più meritevole che va ricercata c’è anche nei Vangeli ma non attribuita a Dio ma attribuita a noi che dobbiamo cercare Dio¸ non viceversa. Qui invece si immagina che Dio ha perso una pecora¸ la più grande e dice: “Che me ne faccio delle novantanove malaticce?” e corre a cercare la più grande. Allora l’immagine di Dio diventa quella di colui che cerca il campione come nel mercato dei calciatori ed è il Dio vecchio¸ il Dio degli eroi¸ il Dio dei forzuti¸ il Dio dei nerboruti¸ il Dio dei sapienti. Ed i poveracci? Ci se ne frega. La finale¸ poi¸ conferma questo. C’è ancora una frasetta: “Dopo che si era affaticato disse alla pecora “Ti amo più delle novantanove”. Ed anche qui c’è una concezione dell’agire di Dio e delle religiosità di tipo elitario. Questi vangeli¸ infatti¸ sono vangeli di gruppi dove i cristiani si sentono i top¸ quelli più avanti degli altri. “Ti amo più delle novantanove”. Perché? “Perché sei intelligente¸ perché sei monaco”. Non per nulla questi testi sono stati trovati in Egitto in monasteri. Ecco¸ vedete io vi ho detto queste cose che¸ come sempre¸ sono più da lezione che da omelia¸ innanzitutto perché vi rendiate conto come bastino piccoli particolari per impostare una riflessione non sciocca sui testi¸ ma il concetto che volevo proprio esprimere era questo. L’idea originale di Gesù che fecero fatica a capire gli antichi (forse facciamo fatica anche noi a capirla) è proprio questa: quando tu pensi a Dio pensa al Dio per il quale tutti sono uguali¸ che vuole tutti accanto a sé¸ che se anche si perde qualcuno che non vale niente lui si affanna per andarlo a cercare. E voglio dire che l’intento per cui nel vangelo sono dette queste nuove cose è sotto-sotto per spiegare quel concetto che Gesù ha detto nell’Ultima Cena “La nuova ed eterna alleanza”. In che senso il Dio di Gesù Cristo è alleato degli uomini? Perché non fa differenze¸ perché non aspetta riconoscenza¸ perché vuole tutti¸ perché paga lui per tutti. Sangue versato per la nuova ed eterna alleanza. Perché se si perde una pecora lui è disposto a morire per quella. Non è il Dio generoso¸ benefattore ma che attende un ricambio di riconoscenza del Libro dell’Esodo: quella è l’antica alleanza¸ che è già molto¸ ma il Dio del N.T. è un Dio sul quale tutti possono contare come benevolo protettore perché è quello che è più contento di aver trovato l’infimo che si era perduto e non è contento se manca questo infimo. E allora capite che il pensare Dio in questa luce prima che essere una lezione ed un esempio morale per noi¸ perché non abbiamo la forza di fare questo¸ è un cambiamento dell’idea di Dio ed è qui che il Dio caritภil Dio amore del N.T. si manifesta. Leggete per vostro conto la seconda lettura dove Paolo parla di sé come la pecora smarrita e ritrovata e troverete che¸ in un modo linguisticamente diverso di parlare¸ però la voce del piccolo brano della Lettera a Timoteo¸ che avete sentito leggere e che leggerete nel foglietto¸ sembrano essere le parole che la pecora smarrita dice al pastore che l’ha ritrovata.