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Omelia XXI DOM. T.O. C del 26 Agosto 2007

Lo scopo principale di questo brano è quello di spiegare che Gesù aveva predetto che i suoi contemporanei non avrebbero creduto¸ almeno in maggioranza¸ e al loro posto sarebbero venuti da oriente e da occidente e il testo ritorna su questo tema¸ che tante volte abbiamo incontrato nella lettura del vangelo e che ci siamo sempre sforzati di interpretare in maniera che non diventi pretesto per una polemica antigiudaica. Quindi possiamo tralasciare questo aspetto del testo e al posto di questo vorrei fare due distinte riflessioni che hanno fondamento nelle letture. Ho tradotto “Perché molti¸ vi dico¸ cercheranno di entrarvi”¸ il foglietto ed il messale dicono “Ma non ci riusciranno” e nel leggere ho cambiato¸ nel tentativo di essere più fedele al greco¸ perché il testo in realtà dice “Non saranno forti” e per questo ho tradotto “Non ne avranno la forza”¸ perché il tema della forza è collegabile al discorso della seconda lettura della Lettera agli Ebrei. “Rinfrancate le mani cadenti e le ginocchia infiacchite¸ raddrizzate le vie storte per i vostri passi”. E si tratta di un tema che secondo me è collegato fra seconda lettura e vangelo ed è il tema della forza che deriva dalla correzione. La seconda lettura¸ lo avete sentito¸ ha un concetto di paternità completamente diverso da quello che oggi circola e che era¸ invece¸ il concetto di paternità probabilmente più diffuso certamente nel mondo dell’antico ebraismo ma¸ probabilmente¸ in tutto il mondo antico. E quando si dice che Dio è padre bisogna stare attenti a non sovrapporre alla parola padre soltanto la nostra idea di padre perché uno degli elementi della idea antica di padre era quello che abbiamo sentito nella seconda lettura: “Non disprezzare la correzione del Signore¸ non ti perdere d’animo quando sei ripreso”¸ di nuovo c’è il tema della forza d’animo¸ “perché il Signore corregge colui che Egli ama e sferza chiunque riconosce come figlio”. Per cui dal testo pare di capire che quando Dio ci chiama ad essere suoi figli¸ ci adotta come figli¸ nei suoi programmi c’è anche questo: sferzarci perché ci riconosce come figli. “Dio vi tratta come figli e qual è il figlio che non è corretto dal padre?”. E il tema che non è più attuale perché oggi dai padri non ci si aspetta più che correggano ma ci si aspetta che comprendano¸ che condividano¸ che approvino. E’ un po’ superficiale¸ capisco¸ questo modo di riassumere la situazione però¸ estremizzando¸ la situazione è questa ed i padri si trovano a disagio perché sarebbero desiderosi di correggere¸ sentono il dovere di farlo ma vengono respinti non solo dai figli ma da un costume sociale che disapprova chiunque corregge. E questa è semplicemente una riflessione di tipo culturale. Il mondo antico ragionava differentemente da noi. “Ogni correzione al momento non sembra causa di gioia ma di tristezza. Dopo¸ però¸ arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati”. E qui c’è un altro termine che è vicino all’idea di fortezza d’animo di cui parlavo prima. Qui c’è una immagine di Dio mescolata con la descrizione di un comportamento di un padre¸ che è interessante e siccome è un’immagine biblica deve far parte della nostra teologia¸ del nostro quadro che ci facciamo di Dio¸ comprende anche la correzione severa¸ la sferza¸ da interpretare in senso morale¸ educativo perché il frutto di pace di giustizia nasce da questa correzione perché la correzione rende forti¸ addestra¸ allena. Sono concetti che sembrano arcaici¸ che forse¸ se c’è qui qualche esperto di pedagogia penserà che io sono un antiquato che ignora completamente questa disciplina ed è vero. La Bibbia però è altrettanto arretrata¸ come lo sono io¸ e bisogna fare i conti con questa Bibbia arretrata che noi consideriamo parola di Dio. Anche la minaccia di Gesù: “Entrate per la porta stretta perché alla fine vorrete entrare ma non ne avrete più la forza¸ entrate subito perché poi la porta si chiude” sono tutti appelli a prendere delle decisioni che¸ giustamente¸ all’orazione iniziale diceva “Sono pesanti¸ la porta stretta della croce!”¸ e questo è un tema che mi è bastato illustrare perché se ne comprenda la capacità di provocazione che ha nei confronti del nostro modo di pensare. Oggi l’idea più diffusa è che ogni tipo di imposizione è diseducativo e ogni tipo di restrizione è altrettanto diseducativo. Può anche darsi che sia vero¸ però¸ ripeto¸ bisogna fare i conti con lo stile e la mentalità della Bibbia¸ che noi riteniamo contenere un messaggio divino¸ che¸ viceversa¸ invoca questa fiducia nella severità. Intendiamoci bene¸ non una severità per il gusto di essere severi e non una severità immotivata perché il padre che ha diritto di rimproverare¸ di correggere¸ di addestrare è soltanto quel padre che ha alle sue spalle una tradizione¸ una sapienza secolare¸ una esperienza che fa da guida. E questo mi induce a passare al secondo momento¸ che è un po’ stiracchiato a collegarlo con il primo¸ però può avvicinarvisi: la salvezza come ingresso in qualcosa che c’è giภentrare per la porta in una sala dove ci sono Abramo¸ i profeti e molti venuti da oriente e da occidente¸ che sono voluti entrare in qualcosa che Dio ha predisposto e lo ha predisposto direttamente e attraverso tutti gli accumuli che ci sono stati nella storia di saggezza e di esperienza. Entrare in una tradizione ed in quella tradizione trovare protezione¸ rifugio¸ salvezza¸ addestramento. A me pare che sia interessante questa concezione del salvarsi. Sono pochi quelli che si salvano o sono molti? Gesù slitta sul problema del numero ma piuttosto sembra suggerire questo: che cos’è salvarsi? Salvarsi è entrate¸ entrare in un ambiente dove c’è una millenaria¸ secolare tradizione¸ dove c’è una presenza di Dio collaudata nel tempo e¸ ovviamente¸ questo entrare¸ è sottinteso ma lo dicono esplicitamente altri brani nel N.T.¸ comprende l’accettazione di regole e costumi. Entrare. Ho l’impressione che di nuovo¸ anche qui¸ si crei un contrasto. La mentalità moderna ritiene che l’uomo si salvi uscendo non entrando. La cosa è naturale nei giovani ma si sta diffondendo a tutte le età: uscire dalla tradizione¸ abbandonare i vecchi costumi sclerotizzati¸ cercare vie nuove di assoluta libertà di espressione e di indipendenza. E’ anche per questo¸ non per altri più complicati motivi¸ che si esce dalla famiglia per entrare nella convivenza¸ perché uscire è salvifico¸ non entrare. L’anziano tende ad entrare perché è stanco¸ non ha più forza ed ha bisogno di sentirsi protetto. Ma quello su cui vorrei che voi rifletteste come sempre poi per vostro conto è questa dialettica¸ questo continuo confrontarsi tra l’aspirazione ad uscire e l’invito ad entrare. Certo¸ si può anche entrare in un mondo sbagliato¸ perverso ed iniquo¸ lo so¸ ci sono ancora giovanotti che in certi paesi del mediterraneo entrano nella mafia. Ci sono ancora persone che¸ la cosa qui è più seria e più nobile¸ entrano nella massoneria. Faccio questi due esempi per far capire come la sollecitazione ad entrare¸ che è fisicamente l’ entrare in un luogo ma è soprattutto entrare in un ambiente culturale¸ in una familiarità con costumi¸ tradizioni¸ idee¸ principi¸ modi di pensare. Entrare è sentito ancora moltissime volte come necessario per essere protetti¸ per essere salvi. Anche nella Chiesa si entra ed ognuno di noi nella sua vita¸ secondo me specialmente i giovani ma un po’ tutti¸ vivono questa continua tensione: il desiderio di scappar fuori per essere sé stesso¸ arrangiarsi da solo¸ reinventare tutto. Senza contare poi che per farlo si finisce per dover entrare in un gruppo di persone che la pensano come te e non si riesce mai a star fuori. Ed allora bisogna decidere dove e come e per quanto tempo si vuole entrare od uscire¸ a che scopo. E la cosa interessante è che ognuno di noi si domandi: nella Chiesa sono entrato? Nella chiesa – edificio certamente¸ a parte che più nessuno ci viene quando sono aperte durante la giornata¸ questo l’ho detto tante altre volte¸ stanno fuori¸ rarissimo che qualcuno entri e¸ anche questo¸ è significativo¸ è un rifiuto di entrare. Perché? Perché la porta è stretta? Perché c’è una correzione che non va bene? Perché è invecchiata? Perché è fuori del tempo? Ecco¸ esaminare ciascuno di noi il nostro entrare ed il nostro uscire. Che cosa speriamo di trovare uscendo? Che cosa desidereremmo trovare entrando? Potremmo anche aiutare la Chiesa a fornire cose più utili al suo interno. Ma quello che mi interessava dire è che in fondo tutta la nostra vita è questa specie di indecisione continua: da dove esco? Dove entro? Fin quando rimango? Perché ci sono entrato? In tutta una catena di diversi ambienti che vano dall’amicizia fino alla società strutturata. Oggi pomeriggio la città celebra in duomo l’edificio della cattedrale dove si entra. La stranezza di queste cattedrali¸ soprattutto medievali¸ è la loro grandiositภimponenza¸ prepotenza perché sono sempre l’edificio più forte¸ più fortificato¸ più imponente¸ più suggestivo della città ed invitano ad entrare. La cerimonia di oggi è un ricordo di questa antica¸ io la chiamerei perfino prepotenza¸ questa antica forza. Qui si entra per essere salvi perché qui c’è la tradizione che salva. Anche allora si tentava di fuggire¸ di uscire ma è curioso che la celebrazione odierna faccia pensare a questo perché¸ direi¸ in alcuni luoghi queste enormi cattedrali¸ imponenti rischiano di apparire come ingombranti. Molte volte¸ quando la Chiesa¸ uscendo fuori di metafora¸ quante volte la Chiesa sembra un luogo ingombrante per cui apre la porta ma non entra più nessuno¸ e di questo siamo spesso tentati anche noi¸ e certamente nelle vostre famiglie c’è qualcuno che ha ceduto alla tentazione di non entrare più in chiesa. E’ tutta una pista di riflessioni che lascio¸ come sempre¸ alla vostra buona volontà.