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Omelia IV Domenica di Quaresima, anno C del 21 marzo 2004

21 Marzo 2004 - IV QUARESIMA C - Gs5¸9a.10-12; 2Cor 5¸17-21; Lc 15¸1-3.11-32 Oggi e domenica prossima abbiamo due testi che parlano della misericordia di Dio: questo del figliol prodigo e domenica prossima quello dell´adultera che è nel Vangelo di Giovanni¸ ma che probabilmente è anche questo di Luca. La parabola del figliol prodigo è paradossale. Io la spiego alla mia maniera e probabilmente sbaglierò. Secondo me questa parabola è un tentativo di parlare della bontà di Dio¸ da parte di una persona che è consapevole che quando si parla di Dio non si sa mai come fare¸ perché Dio supera ogni possibilità di immaginazione e di razionalità nostra. Perché se si vuole parlare di Dio bisogna parlare di una bontà che è superiore¸ diversa¸ infinitamente migliore della nostra; lo stesso se si vuole parlare di giustizia. Insomma Dio è una realtà che in un certo senso¸ in qualche misura ci assomiglia¸ ma in realtà è di una trascendenza superiore¸ assolutamente inimmaginabile; tanto è vero che qualcuno dice che di Dio sarebbe meglio non parlare mai¸ ma tacere. Ma se bisogna dire qualcosa che alluda¸ che ci faccia pensare a lui¸ bisogna cercare tra le cose umane qualche avvenimento¸ episodio¸ figura che vada talmente al di là del modo umano di comportarsi da farci immaginare che Dio è ancora di più di quello che riusciamo a pensare. Io penso che qualunque teologo debba ragionare cosí del resto è quello che insegnava anche il grande S. Tommaso¸ che quando si parla di Dio bisogna sempre seguire una sopraeminenza; cioè bisogna esagerare¸ bisogna ingrandire¸ bisogna diversificare rispetto a quello che capita all´uomo. Il povero Luca in questa parabola ha cercato di scrivere un testo¸ lungo come vedete¸ più del solito¸ che cercasse di descrivere questa bontà esagerata di Dio¸ e¸ poverino ( forse anche Gesù¸ chissà se ha detto questa parabola¸ c´è soltanto in Luca¸ quindi questo lascia un po´ perplessi¸ una parabola cosí bella in Matteo non c´è¸ in Marco non c´è¸ in Giovanni non c´è¸ c´è soltanto in Luca) certo la parabola mostra questo sforzo: per parlare della bontà di Dio bisogna dire chissà cosa. E¸ poverino¸ lo scrittore¸ dicevo¸ per fare in questa parabola l´esempio della bontà di Dio ha finito per trasformarlo in una persona che per mostrare il suo perdono e il suo amore al figlio che ritorna rasenta¸ rasenta l´ingiustizia. C´è poco da dire¸ bisogna essere onesti nel leggere il testo: un padre equilibrato¸ onesto e saggio non deve comportarsi come questo vecchio; ha esagerato. Ma Luca voleva esagerare¸ voleva far capire che della bontà di Dio bisogna avere una fiducia infinita. Un padre saggio fa festa¸ ma poteva aspettare¸ invece tutto in un giorno¸ di corsa: l´anello¸ il bacio¸ il vestito¸ il vitello; la miseria! E´ tornato¸ starà qui¸ sperum¸ na stimana! Un padre bene educato pensa anche ad altre cose: puarin e so fradel! E manda un servo per avvertire il fratello: vieni a casa! Invece lui¸ inebetito dal ritorno del figlio¸ si dimentica del fratello¸ e giustamente il fratello maggiore¸ che è l´unica persona di buon senso in tutto questo racconto perché il padre il buon senso l´ha perso. Ma è perché lo scrittore vuol parlare dell´amore di Dio e non sa come fare: come si fa a descrivere l´amore di Dio? Bisogna esagerare! Può darsi che nel corso della storia qualche altro scrittore o santo sia riuscito a dare un´immagine dell´amore di Dio che¸ pur esagerando ed esaltando¸ riuscisse pur a mantenere un equilibrio nella verosimiglianza del racconto. Ho l´impressione che Gesù o Luca in questa parabola sono stati un po´ affrettati nel compilare il racconto¸ e hanno lasciato queste tracce¸ che sono preziose: rasenta la scortesia verso il figlio maggiore¸ rasenta l´ingiustizia¸ rasenta l´imprudenza. Poi si è dimenticato il narratore¸ forse¸ non so¸ ha fatto bene¸ ma si è dimenticato di aggiungere una frasetta che noi avremmo aggiunto¸ del tipo¸ se volete un po´ borghesuccia¸ ma vorrei sapere che peccato c´è ad essere borghesi¸ una frasetta alla fine che dicesse- Bravo¸ caro figlio minore¸ sei tornato¸ abbiam fatto festa¸ i sandali¸ il vestito bello¸ però domani mattina vai a lavorare¸ con il tuo fratello maggiore nei campi¸ cosí di tutti i soldini che hai buttato via almeno qualcosina recuperiamo-. Perché manca questo ammonimento? Perché non ce l´hanno messo? Ci voleva tanto? In tante chiacchiere che ci sono nella parabola¸ ci poteva essere anche questa! Non c´è stata. Perché? Per disattenzione? Ma no! Probabilmente per esagerare¸ per cercar di dire che Dio è cosí buono¸ più buono di un padre iperbuono¸ per cui di Dio non si deve mai avere paura¸ vergogna¸ timore di accostarlo¸ nonostante tutto quello che si è fatto¸ e nonostante non si sia veramente pentiti. Perché il figlio minore non è pentito¸ ha soltanto fame¸ e ha fatto il calcolo: i garzoni in casa di mio padre mangiano e io no¸ io torno da mio padre e gli recito la filastrocca. Il testo non ci fa pensare che il figlio minore è sincero. Il figlio minore è un furbastro interessato. Ma Dio è cosí buono da rasentare l´ingenuità. Di Dio non si deve mai aver paura¸ questo vuol dire l´evangelista. In dialetto cremonese c´è una parola che dice meglio la cosa¸ in italiano non è traducibile con il suo corrispondente che sarebbe soggezione: Del Signur bisugna mia vighe sudusioon! E´ quella sudusioon che sarebbe soggezione¸ ma è un´altra cosa! E´ quella specie di timore reverenziale della persona di fronte a Dio. -Cuma fo-? No¸ no! Vedete¸ queste cose che io vi ho detto in forma dialettale sono contenute con linguaggio più prudente¸ più dotto¸ più colto¸ perché Paolo è il più colto di tutti tra gli autori del n.t.¸ anche se Luca è abbastanza istruito anche lui. Se ci badate¸ anche nel testo di Paolo c´è un qualche cosa che corrisponde a quel rasentare l´ingiustizia che c´è nel testo di Luca- Colui che non aveva conosciuto peccato Dio lo trattò da peccato in nostro favore-. Frase che è già difficile in greco¸ non è facile tradurre. E´ un tentativo¸ da parte di Paolo¸ di fare un´operazione simile a quella di Luca. Cioè¸ quando Dio perdona i nostri peccati¸ le nostre colpe¸ le tragedie che noi uomini abbiamo commesso¸ qualche volta perfino in buona fede¸ credendo di far bene roviniamo tutto¸ Dio si serve di un mezzo¸ col patimento di un innocente! Questo è il grande¸ il grande aspetto¸ direi¸ razionalmente tragico della passione di Cristo. Che tutti i teologi si sforzano di dimostrare che non è un´assurdità e un´ingiustizia¸ ma è inutile negarlo: la passione di Cristo rasenta l´ingiustizia. Ma perché il nostro modo di parlare di giustizia e di bontภrapportato a Dio¸ è imperfetto. E noi dobbiamo chinare il capo e dire: sarebbe meglio che non dicessimo niente¸ perché non sappiamo in che senso l´infinita intelligenza di Dio è buona¸ giusta. Allora quando vogliamo parlare della divinità di Dio necessariamente finiamo per dire cose che umanamente sono scorrette¸ come il comportamento del padre della parabola. -Lui che non aveva peccato lo trattò da peccato -! Non è giusto! Umanamente parlando non si può trattare da peccato quello che non è peccato. Ma Paolo vede nella croce di Cristo qualcosa di... e lo interpreta come una specie di strumento per trasformare il mondo. - Perché noi potessimo diventare¸ per mezzo di lui (e anche qui c´è una frase che non ha neanche senso¸ a pensarci; è uno di quei modi di parlare che alle volte ci sono nella Bibbia dove si accostano parole per creare le scintille) potessimo diventare in lui giustizia di Dio -. Cosa vuol dire? Che noi diventiamo giustizia di Dio! Insomma Dio è Dio. Per parlare di Dio bisogna dire stupidaggini dal punto di vista umano. Intendiamoci bene¸ per far capire quanto Dio è superiore al nostro modo di ragionare! Cosí anche qui¸ in S. Paolo¸ c´è una parola che rasenta l´ingiustizia. E´ stato Dio a riconciliare il mondo a sé in Cristo - Non imputando agli uomini le loro colpe -. Ora qui uno potrebbe dire- D’accordo generositภbontภma non è giusto non imputare le colpe-. Si può anche non castigare le colpe¸ si può graziare¸ condonare¸ ma perché non imputare? Il non imputare significa il non dire niente¸ far finta di niente. Come fa il padre del figliol prodigo¸ che non gli dice neanche: Ah! Te set turnat finalment! En parlarum! Niente! Silenzio sul peccato! Si ignora! Non imputare le colpe! Guai se noi umanamente prendessimo esempio da questo e dicessimo che il Vangelo ci insegna a non imputare le colpe! Ma ci mancherebbe altro! Il Vangelo cerca di parlare di Dio¸ non dà regole di comportamento¸ neanche per la Chiesa¸ che giustamente ha un diritto penale nel codice di diritto canonico; le sue pene sono scomuniche e maledizioni¸ ma ci sono. - Non imputare le colpe. E trattare da peccato colui che non è peccato -. E´ peggio quello che dice Paolo della ingenua benevolenza eccessiva del vecchio padre della parabola. Ma¸ ripeto¸ lo scopo di tutto questo è farci capire che Dio è veramente inimmaginabile¸ le sue vie non sono le nostre vie¸ la sua grandezza di mente¸ di bontภdi amore non è la nostra. E´ un totalmente altro rispetto alla logica delle cose. E la fede¸ la religione¸ la pratica religiosa servono proprio per introdurre nella nostra vita questo di più che non può essere totalmente razionalizzato¸ che deve servire per la nostra crescita e speranza interiore¸ che difficilmente può tradursi in legge o comportamento umano. La vita umana deve continuare ad essere regolata da altri criteri¸ sia pure pieni di indulgenza¸ quel che volete¸ ma non sono i criteri di Dio; soltanto Dio può perdonare in questo modo¸ soltanto in lui si può avere quella fiducia senza sudusioon di cui parlavo prima.