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Omelia III PASQUA C del 22 Aprile 2007

Questo famoso brano del capitolo 21 che è stato aggiunto al vangelo di Giovanni che già aveva avuto una sua conclusione al capitolo 20¸ e che quindi rappresenta una specie di ripensamento posteriore di qualcuno che ha deciso di aggiungere al vangelo un altro capitolo¸ è un brano che¸ come spesso oggi si usa dire¸ è intrigante¸ del quale¸ però¸ si fa fatica a capire perché sia stato composto¸ scritto in questo modo e a che cosa veramente voglia alludere tutto quello che qui è raccontato. Per cui non si può pretendere¸ leggendo questo testo¸ di capire fino in fondo che cosa vogliono dire questi modi di presentare l’ apparizione di Gesù risorto perché gli stessi studiosi sono molto incerti su come interpretare un testo come questo. Innanzi tutto io partirei da una considerazione generale per interpretare questi racconti di apparizione. Sembrerebbe di capire che in questi tipi di racconti si cerca di dire quello che della vita terrena di Gesù rimane per sempre. Si ha l’impressione che essi vogliano dire che Gesù si è mostrato ai discepoli dopo la morte ricuperando dalle memorie della sua vita terrena alcuni elementi essenziali che dovevano essere fissati nella memoria¸ che dovevano costituire una specie di suo ritratto¸ di suo identikit che sarebbe dovuto rimanere per sempre. In altre parole¸ pare che questi racconti vogliano dire che cosa rimane di fondamentale? Che cosa è divinizzato e reso eterno di quello che Gesù è stato per noi? La finale del vangelo di Matteo¸ per esempio¸ che è brevissima¸ e molto più chiara¸ esprime in maniera molto più chiara queste intenzioni. Gesù appare sul monte e dice: “Ogni potere mi è stato dato in cielo ed in terra¸ andate¸ ammaestrate¸ battezzate”. Allora¸ è evidente che in quel brano molto stringato ma molto solenne di Matteo si capisce quello che rimane per sempre di Gesù: è il suo potere. “Mi è stato dato ogni potere in cielo ed in terra” è la sovranità del Messia e quello che si deve continuare per sempre è ammaestrare¸ battezzare. E allora è evidente che quella è una sintesi¸ direi quasi catechistica di cui è facile comprendere con immediatezza qual è il profilo di Gesù che deve restare per sempre. Luca ha altri modi di raccontare le cose¸ Giovanni ha i suoi modi di raccontare le cose ed¸ in particolare¸ questo ultimo brano è molto meno facile da decifrare che non quello che ho citato come esempio di Matteo perché presenta un Gesù il quale ritorna nell’atmosfera della Galilea dei primi tempi¸ quando Pietro e compagni¸ ne vengono nominati solo sette invece di dodici ma questo può avere senso¸ ma soprattutto nel tempo di un’omelia non si possono esaminare tutti i particolari¸ allora dicevo si ritorna sul mare di Galilea¸ come una specie di ritorno all’indietro. Gli apostoli vanno ancora a pescare come una volta e questa rievocazione del passato non è cosí facile da capire che cosa individua nella persona di Gesù come permanente. Anche perché il centro del racconto¸ alla fin fine¸ se volete è perfino¸ non dico scandaloso¸ ma sorprendente: “Venite a mangiare”¸ come se Gesù fosse colui che ci invita a mangiare¸ colui che fa in modo che ci sia qualcosa da mangiare. E’ curioso tutto questo¸ direi questo elemento cosí fisico¸ materiale all’interno di un vangelo che passa per spirituale come il quarto vangelo. Loro vanno a pescare¸ era il loro mestiere¸ pescavano per mangiare e per vendere il pesce¸ era la loro professione¸ la loro piccola attività industriale come poteva esserci a quel tempo. Non prendono nulla¸ arriva Gesù che dice: “Gettate lí la rete”¸ prendono una quantità enorme¸ ce n’è per tutti e lui dice: “Venite a mangiare”. E’ un’immagine di Gesù che non ci aspetteremmo in un vangelo che¸ appunto¸ passa per spirituale come quello di Giovanni¸ perché alla fine uno potrebbe dire: “Chi è Gesù?”. E’ colui che procura da mangiare a quelli che hanno bisogno di mangiare. Sembra molto banale¸ molto grossolano il modo di parlare¸ ma basta cambiare registro linguistico e tutto ridiventa solenne. Gesù risorto è il difensore della vita¸ è colui che dona ai suoi discepoli la possibilità di salvare delle vite¸ di nutrire delle persone¸ di fornire in abbondanza “roba” da mangiare. Poi si va su con il livello del linguaggio¸ facendo piccoli cambiamenti: i discepoli sono coloro che grazie a Gesù hanno il potere di rispondere ai bisogni degli uomini¸ di saziare ogni attesa degli uomini. E’ la stessa cosa del mangiare solo che basta cambiare parole ed è quello che probabilmente la parola ispirata dalla Bibbia vuole che noi facciamo¸ cioè che partendo dall’immagine che possa perfino sembrare volgare attraverso questi passaggi linguistici¸ di metafora in metafora ci rendiamo conto che attraverso questo episodio di una pesca con una enormità di pesci grossi significa abbondanza di vita¸ ricchezza e sicurezza di vita. Allora è questa l’immagine di Gesù che in maniera¸ se volete perfino infantile¸ viene presentata in questo episodio¸ però trasposta sul suo significato autentico che è nascosto tra le righe ma è coerente con quello che viene raccontato¸ Gesù è il datore della vita. Allora viene in mente il prologo del vangelo: “In lui tutto è stato fatto. Niente è stato fatto di ciò che fu fatto. E’ la luce¸ la luce è la vita degli uomini”. Allora capite che il “Venite a mangiare”¸ che è qualcosa di apparentemente fisico¸ carnale¸ corporeo¸ transitorio diventa l’immagine descrittiva di Gesù che rimane fonte¸ sostegno di ogni vitalità dell’ essere umano¸ da quella più elementare del mangiare a quella più spirituale o a quella più intellettuale e creativo del pensare¸ del capire¸ del produrre¸ dell’interpretare. E’ colui che dà nutrimento e vita a tutti gli esseri¸ il sostegno dell’esistenza. Questo diventa il senso della pesca miracolosa e del “Venite a mangiare”. Un ragionamento analogo andrebbe fatto per il dialogo con Pietro e quello che segue¸ ma siccome di fare questo non c’è tempo perché quando i vangeli sono lunghi come questo non si può pretendere che in un’omelia si possa spiegare ogni parte¸ lascio perdere il discorso con Pietro “Pasci le mie pecore¸ mi ami tu?”¸ aggiungo un’ultima cosa che è evidente. Vi ricordate che Giovanni¸ quando ha raccontato l’Ultima Cena di Gesù¸ nel capitolo 12-13 del suo vangelo non ha riferito¸ quello che invece fanno Marco¸ Matteo e Luca¸ i gesti e le parole di Gesù sul pane e sul vino¸ ha raccontato soltanto la lavanda dei piedi. Nel termine tecnico si dice che nel racconto della Cena del quarto vangelo non c’è l’istituzione dell’Eucaristia. In compenso Giovanni aveva presentato con molta solennità la moltiplicazione dei pani e dei pesci nel capitolo 6 del suo vangelo ed aveva fatto seguire un lungo discorso che sarebbe stato tenuto nella sinagoga di Cafarnao a commento di quella moltiplicazione dei pani nel quale spiegava che dava da mangiare la sua carne ed il suo sangue. Questo racconto del pranzo sulla riva del mare di Galilea è¸ secondo me¸ l’equivalente del racconto dell’istituzione dell’Eucaristia che i sinottici pongono nell’Ultima Cena. Non c’è il vino¸ però¸ insieme con i pesci¸ viene introdotto il pane perché¸ se avete notato¸ si dice che appena scesi a terra videro un fuoco di brace con del pesce sopra e del pane. Cioè Gesù ha già del pesce e del pane¸ “Venite¸ portate qualcosa di quel che avete pescato¸ venite a mangiare”. Allora Gesù prese il pane¸ lo diede loro e cosí pure il pesce. Sono le stesse parole della moltiplicazione dei pesci. E’ un modo non descrittivo ma simbolico di dire che Gesù nutre per sempre i suoi discepoli attraverso una distribuzione di pane¸ di pesce¸ di vino. Il menù può variare ma la sostanza è questa. Gesù istituisce un gesto simbolico che è la messa nella quale¸ in una maniera misteriosa che l’evangelista Giovanni non si cura di spiegare¸ nella quale lui stesso diventa il nutrimento delle persone. Che qui sia protagonista il pesce è un particolare interessante¸ non ci obbliga ad usare il pesce nella celebrazione dell’Eucaristia perchè preferiamo usare il pane ed il vino che simbolicamente sono citati negli altri vangeli¸ ma la sostanza delle cose non sta tanto negli elementi come tali. Pane e vino hanno un loro valore simbolico¸ i pesci hanno un altro loro valore simbolico. Se avessimo tempo¸ potremmo cercare di approfondire anche questo¸ ma la sostanza delle cose¸ ricongiungendomi a quanto ho detto prima¸ è semplicemente questo: il logos eterno di Dio creatore del mondo¸ quello che ha dato vita a tutte le creature¸ ora che è morto e risuscitato¸ diventa il nutrimento della nostra umana esistenza e lo diventa tutte le volte che ci dice: “Venite a mangiare”¸ cioè tutte le volte che ci invita a messa ed a nutrirci di lui nell’Eucaristia.