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Omelia III QUARESIMA C del 11 Marzo 2007

Paradossalmente¸ nelle letture di questa messa Gesù è il cattivo e il Dio dell’A.T. è il buono perché il Dio dell’A.T. ha ascoltato il grido degli oppressi e scende per liberarli e non controlla¸ prima di farlo se sono peccatori o giusti e Gesù¸ invece¸ spiega che “Se non vi convertite perirete tutti allo stesso modo” e racconta una parabola nella quale non è il padrone benevolo verso il fico che gli lascia ancora un anno di prova ma i servitori. E tutto questo è molto curioso¸ ma siccome non ci sarebbe tempo per spiegare sia il vangelo sia la prima lettura¸ che questa volta è più importante del vangelo¸ io incomincio con la prima lettura e so che non resterà tempo per il vangelo. La prima lettura è importantissima perché è la famosa visione del roveto nella quale sono fuse insieme almeno due antiche tradizioni¸ perché ci sono delle ripetizioni che si spiegano soltanto supponendo che il testo ha raggruppato insieme due diverse recensioni di questo avvenimento¸ li ha intrecciati insieme¸ cosa che capita moltissime volte nell’A.T. ed anche nei vangeli. Però è un testo che¸ siccome per tre anni non capita più¸ direi che bisogna conoscere la sostanza di questa rivelazione del nome di Dio. Quindi sarà più una lezione che non una predica quella che faccio¸ ma penso che possa essere ugualmente utile. Negli ultimi versetti¸ che non sono stati letti¸ andrebbe reintrodotto¸ almeno in uno¸ al posto della parola italiana Signore il nome ebraico di Dio quello che le traduzioni indicano sempre con Signore¸ per cortesia verso gli ebrei che non desiderano che questo nome venga pronunciato. Allora non lo si riproduce e lo si sostituisce¸ come già aveva fatto la traduzione greca con Signore che in greco era Kurios; ma non è un delitto se per una volta o due noi ripetiamo il nome ebraico e lo reintroduciamo dove esso in ebraico si trova. Gli ebrei non lo leggono¸ lo sostituiscono con un’altra parola ma il nome c’è¸ perché questo aiuta a capire come si arriva alla parola “Io sono¸ io sono quello che sono”. Reintroducendo il nome il testo diventa “Dio disse a Mosè: <Io sono colui che sono>. Poi disse <Dirai agli Israeliti: Io sono mi ha mandato a voi>¸ aggiunse a Mosè <Dirai agli Israeliti – vedete le ripetizioni – Iahvè¸ il Dio dei vostri padri¸ mi ha mandato a voi.>. Dove c’è Signore dobbiamo aggiungere questa parola. Tutti i commentatori sono del parere che il testo più antico non conteneva i versetti che precedono. Queste sono delle spiegazioni posteriori che i redattori hanno introdotto nel testo perché il nome Iahvè lo hanno interpretato¸ questo è il punto di partenza¸ il nome Iahvè gli studiosi ritengono che non si sa cosa volesse dire¸ ammesso che avesse un significato. Si sono fatte infinite ipotesi sulla derivazione possibile di questo nome ed un suo ipotetico significato etimologico. Gli ebrei probabilmente non conoscevano di questo retroterra del nome Iahvè che è in uso anche presso altri popoli del vicino oriente¸ era in uso. La cosa interessante è che gli ebrei¸ per assonanze fonetiche¸ l’hanno interpretato come la terza persona dell’imperfetto di un’antica forma del verbo essere e questo è il punto. Detto in altre parole uno studioso¸ un filologo direbbe che Iahvè non significa essere¸ quasi certamente non significa. Gli ebrei l’hanno interpretato come una forma del verbo essere¸ intendiamoci¸ non mancano studiosi di ebraico i quali ritengono che hanno indovinato perché è vero che è esistita questa forma antica del verbo essere da cui potrebbe derivare Iahvè¸ altri dicono di no ma la cosa è priva di importanza. La cosa curiosa è che loro hanno interpretato questo verbo come una voce del verbo essere. E’ difficile dire se hanno inteso “Egli è” perchè è una terza persona o se hanno inteso¸ nella cosiddetta coniugazione causativa che esiste¸ in ebraico come in arabo¸ “Egli fa essere”. E parecchi studiosi sono del parere che questo sia la primitiva interpretazione ebraica di questo nome misterioso del loro Dio¸ “Colui che fa essere”. E’ già bello “Egli è” ma voi capite che il “Fa essere” è molto più significativo perché significa che è il creatore. Una volta interpretato il nome in questa maniera¸ in una fase successiva della stesura del testo¸ unicamente qui perché in tutto l’A.T. questo accade in un versetto di Osea e qui e in nessun altro punto¸ è stata messa in bocca a Dio la coniugazione del verbo essere in prima persona “Io sono colui che sono…” e forse anche “Io sono quel che sono” e poi ancora “Dirai io sono”. C’è un’altra ricorrenza nel profeta Osea e poi c’è questo testo¸ ma altrove¸ nella Bibbia¸ non si usa mai questa prima persona come se Dio¸ parlando di sé dicesse “Io” mentre gli altri¸ parlando di lui dicono “Egli”. E questo è la prova che loro hanno voluto che si interpretasse questo antico nome di Dio come una voce del verbo essere. Anche qui non sarebbe impossibile¸ anche se più difficile¸ interpretare il causativo “Io sono colui che faccio essere. Io faccio essere mi ha mandato. Io creatore”. La cosa più interessante è però un’altra e cioè che quando gli ebrei adoperano il verbo essere per loro è un verbo meno usato che nelle nostre lingue¸ stessa cosa vale anche in arabo¸ ed è un verbo che significa molto di più che il nostro essere è più equivalente ad esistere¸ essere presente¸ essere operante¸ essere attivo. Spesso viene usato al posto di accadere¸ avvenire¸ avverarsi¸ per esempio quando nei profeti si scrive “E sarà in quei giorni…” non è una semplice previsione sul futuro¸ sta per “avverrà davvero in quei giorni”. Cosí se si usa in una formula “Tu sei” non è semplicemente una indicazione di un attributo¸ ma significa “Ti farò diventare¸ dimostrerai di essere”. “Tu sei giusto” non è una constatazione¸ “Il Signore sia con noi” non è un augurio¸ è qualcosa di più “Veramente sarภvuole esserlo”. Insomma¸ bisogna trovare i modi¸ come fanno alle volte anche i traduttori e sempre i commentatori¸ bisogna trovare il modo di dare a questo verbo essere una potenza più forte di quello che ha nello smorto uso delle nostre lingue dove essere serve come ausiliare per coniugare i verbi¸ cosa che non accade in ebraico per cui il verbo essere grammaticalmente¸ morfologicamente è ridotto ad un verbo che serve ad altri verbi. In ebraico è un verbo forte perché non serve né per coniugare¸ né per fare gli attributi. Per dire “Tu sei italiano” né in arabo¸ né in ebraico non c’è bisogno del verbo essere¸ si dice “Italiano tu” senza verbo. Il verbo essere lo si riserva per quanto succede qualcosa. Allora l’ “Io sono”¸ come poi giustamente intuiva la teologia medioevale¸ indica che lui si identifica con l’essere¸ è in un senso pieno e totale¸ come dice la frase latina che avrete sentito¸ è l’ “ipsum esse subsistens” - L’essere che c’è del tutto. Tant’è vero che le traduzioni protestanti italiane invece di Signore¸ che sostituisce questo nome che dico¸ traducono “L’eterno”. Se voi andate in una comunità protestante dove si usa una traduzione italiana dei protestanti¸ che è la vecchia Luzzi riveduta¸ loro direbbero “L’Eterno¸ il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi” ed è una buona equivalenza anche questa¸ proprio perché insistono su questo fatto che il verbo essere significa permanenza¸ forza¸ solidità. La traduzione cristiana lo ha sostituito con “Onnipotente”. Quando nel Credo diciamo “Onnipotente” rievochiamo il nome ebraico Iahvè¸ Quello che è. L’altra cosa interessante che è implicita nel testo dell’Esodo¸ ma che poi viene sviluppata nei versetti del salmo¸ ecco perché mi interessava questa prima lettura e salmo¸ è che questa potenza dell’essere divino nell’ A.T. tende sempre ad essere riversata sul piano della bontภdella misericordia¸ dell’aiuto¸ della protezione¸ anche del castigo in certi detti profetici¸ ma più frequentemente la solidità della decisione presa a favore¸ la fedeltà per cui quel “Egli 蔸 quel “Io sono” veniva inteso come “Colui del quale ci si può fidare¸ perchè se ha detto una cosa la mantiene”. “Sono sceso per liberare” dice qui il testo. “Ti chiederanno <Come si chiama?> e la risposta è <Quello che non tradisce. Quello che è quel che è¸ se ha detto di fare una cosa la fa>”. E qui nasce la fede ebraica¸ la fede nella solidità dell’essere divino che proclama fedeltภmisericordia¸ interesse¸ costanza¸ fermezza. Voi potete trasgredire¸ ma lui rimane fermo¸ è il punto di appoggio. E allora si moltiplicano una serie di parole che andrebbero esaminate una per una perché ognuno ha una sua ricchezza di significato che le traduzioni non riescono mai a coincidere perfettamente con l’area di significati dell’uso ebraico della parola¸ che sono quelle del salmo cioè grazia¸ misericordia¸ giustizia¸ diritto¸ lento all’ira¸ grande nell’amore. Rileggetelo il versetto del salmo: “Ti corona di grazia e di misericordia. Agisce con giustizia e diritto verso tutti gli oppressi. Ha rivelato a Mosè…”¸ il salmo si riferisce chiaramente al testo dell’Esodo: “Buono e pietoso”¸ che si potrebbe anche dire fedele e misericordioso. La formula “Buono e pietoso¸ lento all’ira¸ grande nell’amore” io preferirei fedele a pietoso perché è cosí l’ebraico¸ sono gli attributi caratteristici del parlare ebraico di Dio perché loro questa forza dell’essere l’hanno percepita in questo senso. Ecco¸ mi pare che sia utile che anche noi cristiani ricordiamo che l’immagine di Dio che anche Gesù uomo¸ Gesù ebreo aveva in cuore era questa. Scherzando all’inizio dicevo che¸ a dire il vero¸ il Vangelo è come se l’avesse da parte questa immagine dicendo: “Se non fate perirete”¸ ma evidentemente aveva le sue ragioni per dare questa provocazione alludendo non solo ad un castigo ma addirittura alla rovina totale. “Perirete” e questo meriterebbe un’altra omelia perché anche questa è una cosa seria¸ però mi sembrava più utile vedere come la base della conoscenza divina dell’A.T. che permane nell’uomo è questo: una potenza di essere finalizzata al bene¸ alla vita¸ quello che fa esistere. Tutto questo mi pare che dobbiamo recuperarlo se vogliamo rivitalizzare¸ e anche questo è un compito quaresimale¸ l’idea di Dio¸ tra l’altro questa è coerente anche con il piccolo particolare che può anche essere leggendario¸ ma questo non ha importanza¸ del roveto che brucia ma non si consuma¸ e anche questa è immagine di potenza che non distrugge¸ si manifesta in un prodigio che è luminoso¸ potrebbe essere distruttivo¸ ma non lo è. Non importa¸ ripeto¸ se è una leggenda¸ è una leggenda intelligente per cui Mosè dice: “Voglio avvicinarmi e vedere” e nel roveto appare colui che è potenza che non distrugge¸ mai¸ neanche quando minaccia perché è colui che è e che fa essere. Mi pare che sia una bella idea di Dio che¸ se volete¸ è di nuovo sintetizzata nel Credo con l’insieme delle due parole “padre onnipotente”. Ma forse¸ se ci pensate bene¸ la parola padre si è deteriorata col passare del tempo e ritornare¸ invece¸ a questo più ricca terminologia dell’A.T. è un modo per rivitalizzare la visio