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Omelia II QUARESIMA C del 4 Marzo 2007

Abbiamo parlato più volte negli anni passati¸ ed in particolare l’anno scorso¸ dell’episodio della Trasfigurazione che nell’anno liturgico passato è capitato due volte perché¸ oltre che in Quaresima¸ abbiamo fatto anche la celebrazione il 6 agosto¸ nella domenica in cui si celebrava un’altra festa della Trasfigurazione. Quindi non ci sarebbe molto di nuovo da dire e quelli che normalmente vengono a messa hanno già sentito i diversi commenti che abbiamo fatto a questo episodio. Tutti sono d’accordo nel dire che questa visione ha come scopo principale quello di far superare agli apostoli lo scandalo della passione e della crocifissione di Gesù¸ e questo dirà anche il prefazio di questa domenica. Quindi¸ sarebbe un sostegno¸ un aiuto alla fede dei discepoli perchè capiscano che la crocifissione di Cristo¸ a differenza di quello che può accadere per altre morti¸ comprese quelle dei martiri¸ non è la fine¸ non è la sconfitta ma si apre ad una possibilità futura di gloria. E¸ tra l’altro¸ è interessante il fatto che Luca¸ nel suo modo di raccontare l’episodio¸ adopera due volte il termine “gloria” perché “Mosè ed Elia apparvero nella loro gloria e i discepoli videro la sua gloria ed i due uomini che stavano con lui. Quindi è la ragione per cui questo episodio viene ripreso dalla liturgia quaresimale è di affermare che¸ come attesta questo fatto e come attesta soprattutto l’esperienza della risurrezione fatta dai discepoli¸ non è sicuro che la morte sia l’ultima parola per la vita dell’uomo. E’ possibile sperare in un’apertura verso il futuro. Questo è il senso fondamentale e globale di questo testo. Ed io direi che il tema che potremmo oggi affrontare è proprio questo: porci la domanda se nella situazione nella quale oggi viviamo abbiamo ancora una certezza sufficiente nella possibilità di una speranza che vada oltre la morte. Io ho l’impressione che diventi sempre più difficile credere al dopo morte ed ho anche l’impressione che pochi lo confessino ma coltivino dentro di sé delle incertezze a questo proposito. Può darsi che mi sbagli¸ ma è cosí¸ penso che sia cosí. E’ per questo che a mio parere ¸ l’ho già detto anche questo altre volte¸ se si vuole che questa fede in qualcosa che ci attende di positivo e di glorioso dopo la morte¸ se si vuole che questa fede rimanga¸ che non venga messa in difficoltà dallo Spirito¸ dalla sensibilità contemporanea bisogna che questa fede rimanga molto generica¸ molto oscura¸ molto misteriosa ovvero che non entri nei dettagli. Mi spiego meglio: è una cosa vecchia questa che i teologi dicono dagli anni ’50 del secolo scorso: bisogna che dal cosiddetto “Trattato sui novissimi”¸ come una volta si chiamavano le realtà che ci attendono dopo la morte¸ giudizio¸ purgatorio¸ inferno¸ paradiso¸ bisogna che del discorso su queste ultime realtà (questo è il significato latino della parola “novissimo”) passiamo alla fede in Cristo perchè quello che noi dobbiamo credere non è¸ parlo in maniera forse superficiale ed esageratamente provocatoria¸ ma quello in cui noi siamo chiamati a credere non è il giudizio¸ il purgatorio¸ il paradiso¸ l’inferno¸ quello in cui siamo chiamati a credere è l’amore di Dio manifestato in Cristo che farà in modo che non tutto vada perduto dalla persona umana. Secondo me la maniera più biblica¸ la maniera più antica¸ la maniera più prudente e più saggia di fondare questa speranza che è ovviamente un elemento essenziale nella Quaresima¸ perché fare come dice san Paolo¸ se la nostra fede si limita a questa vita siamo i più miserabili di tutti gli uomini quindi è indispensabile che ci sia una fede nel futuro. Ma la fede deve rimanere fede cioè fiducia nella persona di Gesù Cristo e deve possibilmente imparare a fare a meno di eventuali informazioni come se ci fosse una specie di guida turistica la quale spiega che c’è un inferno¸ un purgatorio¸ un paradiso dopo un giudizio e¸ per di più¸ si sforza anche di descrivere che nell’inferno c’è il fuoco¸ ci sono i diavoli¸ nel paradiso ci sono gli angeli. Tutta questa topografia dell’aldilà direi che deve essere umilmente archiviata perché tutto si concentri¸ come nell’episodio della Trasfigurazione nella fede del Gesù solo. Capisco che è un paragone molto superficiale però le tre tende che vuole costruire Pietro per fermare la visione¸ come dice Luca “Sono parole di chi non sa quel che dice”. Cosí¸ oserei dire¸ anche se questo può disturbare qualcuno di voi¸ che anche parlare di inferno¸ purgatorio¸ paradiso significa non sapere quel che si dice. Io non me la sento di dire alle persone che devono credere che c’è un inferno¸ c’è un purgatorio¸ c’è un paradiso¸ mi pare che sia più cristiano e sia più autentico dire che le persone devono credere che il Dio di Gesù Cristo non abbandona le sue creature e che è serio¸ sensato¸ direi documentato e provato¸ che è bene ed è giusto avere fiducia nella sua bontภnella sua intelligenza¸ nella sua potenza la quale prepara certamente una gloria per coloro che hanno creduto in lui. La Bibbia mi ammonisce che non devo dire che la prepara per tutti gli uomini perché la Bibbia discrimina. La Bibbia parla di una gloria che viene preparata per coloro che hanno creduto. Se io voglio essere fedele alla Bibbia devo dire questo: che per coloro che hanno avuto fede Dio prepara una Trasfigurazione¸ come dice Paolo¸ “Del nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose”. Io ho l’impressione che la fede nel dopo morte debba smettere di essere una topografia dell’aldilà che si sforza di dire quali zone¸ aree¸ condizioni di vita ci sono¸ ma si limiti ad essere una fiducia¸ possiamo benissimo usare l’aggettivo cieca¸ una fiducia totale nella volontà di Gesù Cristo di non abbandonare coloro che l’hanno seguito. Cioè¸ in altre parole¸ vorrei che quello che dice il racconto della Trasfigurazione che dopo una visione che non avrei paura a chiamare allucinata¸ quando tutto scompare¸ quando non c’è più niente¸ quando la visione è terminata¸ la voce che viene dalla nube dice: “Questi è il Figlio mio¸ l’eletto¸ ascoltatelo!”¸ questa centralità della fede in Cristo mi pare che possa essere il sostituto molto più valido di quella che credevamo fosse la fede nei luoghi dell’aldilà. In epoche passate l’interesse per questi luoghi dell’aldilà era molto forte¸ appassionava le persone: Dante ha scritto il suo poema parlando dei luoghi dell’aldilà e del modo di essere degli uomini nei luoghi dell’aldilà. Tutte queste cose sono molto belle¸ poeticamente sono attraenti ed interessanti¸ sono romanzo ed allucinazione poeticamente pregevole¸ non hanno niente a che fare con la fede. La fede è fiducia nelle capacità di Dio di inventare per noi qualche cosa di nuovo che non possiamo immaginare e dobbiamo rinunciare a fare le tre tende. Direi che dovremmo usare¸ per parlare di queste cose¸ lo stesso criterio che ha usato san Paolo il quale¸ a differenza dei folli liturgisti che hanno scelto come prima lettura per la Messa di oggi l’orrendo brano che avete sentito senza tener conto dell’offesa al buon senso dei fedeli che essi facevano inserendo questo brano: la giovenca di tre anni¸ la capra di tre anni¸ l’ariete di tre anni spaccati in due¸ questa macelleria priva di senso¸ questa concretizzazione delle cose¸ questa materializzazione del culto e dei pensieri religiosi è una delle debolezze dell’A.T.¸ molto frequenti nell’A.T.¸ che mantiene alcune tracce nel N. e che deve essere superata come un arcaico impiastro che bisogna scavalcare. La Bibbia è piena di queste cadute di stile¸ di queste debolezze¸ soprattutto nell’A.T. Ma il pregio della Bibbia è che pure attraverso questa confusione di cose¸ ogni tanto emerge la sostanza¸ l’essenza che è appunto quella totale fiducia¸ quell’abbandono alla creatività di Dio che¸ ripeto¸ come dice san Paolo: “In forza del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose potrà darci quello che veramente è la nostra salvezza”. San Paolo utilizza questo capitolo 15 della Genesi ¸ lo utilizza nel capitolo 4 della Lettera ai Romani¸ ma siccome era più intelligente e più cristiano dei compilatori della liturgia¸ Paolo si limita ad utilizzare questo brano soltanto per il suo inizio “Dio condusse Abramo fuori e gli disse <Guarda in cielo¸ conta le stelle¸ tale sarà la tua discendenza> e poi Paolo cita e ragiona nel capitolo 4 della Lettera ai Romani sulla frase che segue <Egli credette al Signore che glielo accreditò come giustizia> e di tutto il resto¸ dei giovenchi¸ degli animali¸ degli uccelli non dice nulla¸ cancella queste cose. Questa intelligenza di Paolo che è grande¸ che è il più intelligente degli scrittori del N.T. e il più profondamente credente¸ è l’inventore del valore della fede¸ cancella la materializzazione¸ la topografia¸ il forno fumante. Non dice nulla di tutto questo¸ commenta nel quarto capitolo e pone come esempio per i cristiani la figura di Abramo che crede sulla parola: “credette e gli fu accreditato come giustizia” cioè Dio lo approvò. Dove credere non significa avere l’elenco delle cose da conoscere ma significa avere intuito che il Signore è tutto¸ che può fare tutto e che di lui bisogna semplicemente fidarsi senza chiedere informazioni. Eventualmente una parola vaga¸ generica: gloria¸ luce¸ vita¸ salvezza¸ gioia¸ pace¸ gli astratti. Guai se uno pensa ai diavoli¸ al fuoco¸ al paradiso¸ l’alto¸ il basso¸ il cielo. Occorre che impariamo ad estrarre¸ sotto la guida di Paolo¸ il grande ermeneuta¸ il grande interprete del modo di parlare della Bibbia che seleziona¸ distingue¸ cancella¸ ignora e sottolinea invece quel che conta¸ imparare¸ alla luce di Paolo e del racconto della Trasfigurazione¸ come si fa a partire dalla Bibbia per arrivare alla fede. Si attraversano le descrizioni¸ i particolari¸ le nozioncelle¸ gli aneddoti¸ gli arcaici condizionamenti culturali della Bibbia¸ si arriva al nocciolo ed il nocciolo è uno solo: Dio è grande¸ in Cristo ha manifestato di essere buono¸ in Cristo ha manifestato di amarci al punto di non rifiutare la morte¸ ma non può abbandonarci¸ ci preparerà certamente qualcosa¸ non so cosa e proprio perché non lo so ho il coraggio di credere.