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Omelia CRISTO RE - B- del 26 Novembre 2006

Omelia 26 novembre La metafora del regno¸ per parlare dell’agire di Dio¸ non si può eliminare perché l’espressione regno di Dio è caratteristica della predicazione di Gesù¸ quindi¸ anche se con il passare del tempo e con l’evoluzione delle lingue le parole regno e regnare hanno perduto quella valenza positiva¸ o comunque densa di significato che avevano nel mondo antico¸ la parola deve rimanere perché¸ appunto¸ l’espressione regno di Dio è¸ come dimostrano gli studiosi della Scrittura¸ è caratteristica proprio della predicazione di Gesù. Non era affatto frequente nel modo di parlare degli ebrei¸ anche se esisteva come frase¸ non è attestata in altre tradizioni di tipo ebraico ed è una caratteristica¸ appunto¸ una specie di novitภalmeno come sottolineatura¸ della predicazione di Gesù. Per questo l’espressione va mantenuta. La si può estendere anche alla persona di Gesù perché un conto è parlare di regno di Dio¸ in Dio è compreso anche Gesù¸ ma non è isolato dal Padre e dallo Spirito. Parlare di regno di Dio e di regno di Cristo è un po’ meno corretto perché nella scrittura¸ nel Vangelo¸ nel N.T. la parola regnare è riservata a quando si parla di Dio nella sua completezza trinitaria: il padre¸ il Figlio¸ lo Spirito che l’umanità di Gesù¸ che il modo divino di essere dell’uomo Gesù meriti anch’esso la parola regno è una questione che andrebbe esaminata con più calma¸ non c’è tempo di farlo in questa omelia. E’¸ fra l’altro¸ una attribuzione che è diventata¸ che si è diffusa in epoca abbastanza recente¸ infatti¸ la festa di Cristo re è stata istituita negli anni ’30 del secolo passato. E’¸ comunque¸ una terminologia interessante¸ che merita di essere approfondita. Ma l’unica cosa che è interessante dire in questo momento è che quando si adopera questa titolatura regale per parlare di Gesù si scontrano o si incontrano¸ a seconda di come volete interpretarla la cosa¸ alcuni testi presi o dall’A.T. o da una letteratura caratteristica come l’Apocalisse¸ testi nei quali si sottolinea quello che comunemente si attribuisce¸ o si attribuiva nell’antichitภad un personaggio regale¸ vale a dire il potere e la vittoria. Perchè il re¸ nel modo di parlare comune di quando ogni nazione ed ogni popolo aveva un re e di quando la monarchia era l’unico sistema di governo praticamente esistente¸ regno indicava il potere di governare e la forza per vincere i nemici e liberare dal loro eventuale assalto. Quindi potenza e vittoria. Parole che rimangono ancora¸ anche nel N.T. quando si usa questo tema. Anche san Paolo parla¸ per esempio¸ dei nemici di Cristo che vengono messi sotto i suoi piedi¸ che è una delle immagini più caratteristiche per dire la vittoria¸ ed addirittura¸ calpestare i nemici. E’ chiaro che però diventano metafore tutte queste. Questa serie di immagini e di parole si scontra o si incontra con un’altra caratteristica¸ che si vede con chiarezza nella disposizione liturgica dei testi di questa domenica ed in tutti tre gli anni in cui le letture cambiano¸ e cioè che quando si deve trovare un testo evangelico che parli di Gesù re lo si va a prendere nel racconto della Passione. Questo è molto strano perché se c’è un momento in cui potenza e vittoria non hanno il significato consueto del modo di parlare del trionfo regale è la storia della Passione. Questo è significativo. Quando capita la lettura continua di Matteo il brano¸ a dire il vero¸ non è preso dalla storia della Passione¸ ma quando capita l’anno di Matteo si legge quella scena del giudizio in cui Gesù dice: “Quello che avete fatto al più piccolo del miei fratelli lo avete fatto a me”. Non fa parte della storia della Passione ma voi capite che è una presentazione della regalità di Cristo completamente diversa da quella politico – militare della normale tradizione perché Gesù si identifica con il più bisognoso¸ il più diseredato dei fratelli a cui si presta soccorso. Quando capita l’anno di Luca¸ che sarà l’anno prossimo¸ si legge il Vangelo del buon ladrone e Gesù¸ quindi¸ manifesta la sua regalità nell’istante in cui sta per morire¸ perdonando e promettendo beatitudine ad un suo compagno di sventura. Quindi capite che il Vangelo sposta¸ corregge l’immagine spontanea di regalità. Quest’anno¸ quando il Vangelo normale era Marco¸ ma nell’anno di Marco¸ come sapete¸ si ricuperano alcuni brani di Giovanni¸ perché una volta deciso di fare il ciclo triennale il quarto Vangelo bisognava infilarlo dentro da qualche parte e lo si fa nell’anno di Marco che è il più breve fra tutti gli evangelisti quindi lascia qualche spazio a Giovanni e si legge quello che avete sentito¸ una parte del dialogo tra Gesù e Pilato nel corso del processo nel quale Gesù verrà condannato a morte. Direi che potrebbe già bastare questo per una riflessione di base. Quando diciamo Cristo re¸ Gesù re dobbiamo stare attenti a fare in modo che l’immagine che prevale non sia quella suggerita dalle immagini di tipo trionfalistico o politico – militare delle figure del re¸ anche se sono presenti in alcuni passi biblici¸ ma deve invece diventare dominante l’immagine del crocifisso perché Cristo regna dalla croce ed è il crocifisso quello che i cristiani chiamano il Signore dell’universo ed il re. Tutto questo lo si celebra con maggiore profondità il Venerdí Santo infatti¸ a pensarci bene¸ la festa di Cristo Re è una delle tante feste superflue che sono state inserite negli ultimi tempi perché¸ di per sé come giornata della regalità di Cristo¸ bastava ed era più significativo il Venerdí Santo perché Cristo è re in quanto trasforma il male del mondo in bene¸ in quanto entra con divina potenza¸ che non si manifesta però come forza delle armi o capacità di prevalere¸ ma come forza nascosta ed interiore che¸ appunto¸ cambia il male in bene¸ trae il bene anche dal sommo male. E’ una forza che assomiglia più alla metafora del guarire che non a quella del regnare ed¸ in questo senso¸ il Venerdí Santo fa capire che l’ultima parola vincente¸ l’ultima cosa che vince è la pazienza¸ la sopportazione¸ la speranza¸ la sicurezza dell’aiuto divino anche nella difficoltà estrema cioè una forza interiore ad ogni persona che riesce a superare le difficoltà esterne. L’immagine di re¸ nella sua natura umana¸ nella sua realtà culturale¸ non indica questo perché il re è per natura sua colui che agisce all’esterno. La regalità di Cristo assomiglia molto di più a quel dominio di sé¸ a quella forza interiore che viene insegnata dai filosofi¸ dai saggi¸ da quegli uomini che danno un esempio non di potere esterno ma un esempio di sicurezza interiore¸ di forza d’animo. E anche noi dobbiamo interpretare in questo senso la regalità di Cristo anche perché nel testo odierno del Vangelo è proprio questo il tema che viene sviluppato. “Il mio regno non è di questo mondo¸ se il mio regno fosse di questo mondo i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai giudei”. Il “regno di questo mondo” non significa soltanto o subito che è il regno dell’aldilà. Quando Gesù dice che non è di questo mondo intende dire che non segue le procedure e le modalità consuete dell’esercizio del potere in questo mondo. Il testo non va immediatamente spostato all’ipotetico paradiso¸ tant’è vero che poi Gesù a Pilato spiega: “Per questo io sono nato e sono venuto nel mondo¸ per rendere testimonianza alla verità”. Questo è il regnare di Cristo. E’ vero¸ ed è stato osservato anche da competenti dello studio dei vangeli¸ che questa concezione assomiglia al compito che soprattutto nell’antichità era affidato al filosofo. Nello stoicismo che è la filosofia tra quelle antiche¸ che è più vicina al cristianesimo¸ l’immagine del re veniva applicata a ciascun uomo saggio che¸ avendo appreso la verità filosofica¸ diventa padrone di sé stesso ed affronta imperturbabile¸ se è possibile¸ tutte le avversità della vita perché ha conosciuto la verità. Il cristianesimo non è identico allo stoicismo e lo stoicismo¸ come filosofia è¸ se volete¸ antica e tramontata¸ ma c’è questo interessante punto in comune. Tant’è vero che nel Vangelo nel racconto di Giovanni c’è una risposta di Pilato a questa ultima parola di Gesù che il nostro testo liturgico non ha riportato ma che invece era forse il caso di trascrivere anche nella lettura di oggi. Dopo che Gesù ha detto “Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce” Pilato risponde: “Che cos’è la verità?” ed il dialogo finisce qui. E secondo me quella frase di Pilato è stata scritta dall’evangelista che ha molta simpatia per Pilato perché¸ come spesso capita nei racconti evangelici¸ anche l’autore del quarto Vangelo preferisce dare molte colpe agli ebrei nella condanna di Gesù ed in un certo senso assolvere Pilato. Può anche darsi che i primi cristiani lo facessero per interesse perché dovevano cercare di vivere pacificamente nell’impero romano e può darsi che per questa ragione cercassero di vedere gli aspetti buoni nel comportamento di Pilato. Mettendo in bocca a Pilato questa domanda l’evangelista è molto acuto perché non fa di Pilato un convertito¸ tant’è vero che poi Pilato pronuncia la sentenza di morte nei confronti di Gesù¸ ma fa di Pilato una persona che si pone una domanda: “Che cos’è la verità?”. E questo fa capire che il modo con cui regna Gesù non è il potere¸ ma neanche il potere di convincere¸ neanche quel presunto potere di dimostrare le cose in maniera cosí lucida e cosí seria da costringere all’assenso. La regalità di Gesù si presenta come qualche cosa che è umanamente debole: “Rende testimonianza”. Chi rende testimonianza non dimostra¸ parla di cose che l’ascoltatore non può verificare¸ altrimenti non ci sarebbe bisogno della testimonianza¸ come capita nei film polizieschi: il testimone ha visto qualcosa che non è più possibile verificare e controllare perché è un fatto passato di cui al massimo rimane qualche traccia molto oscura. Il testimone racconta quello che ha visto¸ quello che sa¸ quello che ritiene di poter dire. La credibilità del testimone dipende sostanzialmente da due cose: dall’intrinseca logica di quello che dice e dalla sua onestà personale che lo rende credibile. I punti di forza della testimonianza sono questi: che sia sufficientemente coerente quello che si dice¸ che abbia una sua interna validità e che colui che lo dice si mostri privo di interessi secondari o inaccettabili. Capite che tutto questo non è potere¸ è richiesta di stima¸ una richiesta di compartecipazione e condivisione nella comune ricerca della verità. Gesù non osa dire a Pilato “Io sono la verità” cosa che ha detto in altre occasioni a discepoli già disposti a credergli perché ne avevano avuto prove sufficienti della sua superiorità divina. Ma a Pilato¸ che è un estraneo¸ un lontano¸ un pagano Gesù non pretende con la forza di poterlo indurre a credere nella sua superiorità e dichiara soltanto di essere testimone. E la domanda di Pilato assomiglia alla domanda che molti oggi si porrebbero “Che cos’è la verità?”. E mi pare che sia molto bello proprio nella situazione attuale¸ in cui molte persone hanno ancora simpatia per il cristianesimo ma non sono più in grado di credere ad occhi chiusi¸ pare che sia molto significativo presentare questo dominio su un’umanità da parte di Cristo che non è un dominio ma è una proposta¸ un’offerta. Il cristianesimo rende testimonianza ad una verità che non può dimostrare¸ se non in minima parte¸ ma cerca di presentarsi come una comunità onesta¸ seria¸ che non imbroglia¸ che¸ pur avendo interessi da difendere¸ non falsifica la verità per difendere gli interessi e si accontenta che la gente si ponga la domanda “Ma che cos’è la verità?”. A pensarci bene quello che il cristianesimo oggi può fare¸ certo per alcune persone per fortuna è anche quello di convincerle a credere¸ ma nella maggioranza dei casi il cristianesimo è come una specie di appello a porsi la domanda “Che cos’è la verità?” suggerendo che oltre alle verità che si possono dimostrare fisicamente¸ le verità della scienza¸ ci può essere qualcos’altro. Forse la domanda avrebbe bisogno di un aggettivo in più “Che cos’è la verità tutta intera? Che cos’è la verità piena?” perché di verità parziali ce ne sono molte ed¸ in fondo¸ le verità che lo scienziato propone sono sempre verità settoriali¸ sono verità che riguardano alcuni aspetti e momenti dell’esistenza e del funzionamento delle cose. Hanno sempre bisogno di altre ulteriori verità che sono in fase di scoperta ma spesso manca a questo tipo di verità di tipo positivistico¸ manca la completezza. Come si fa a rispondere con verità alla domanda “Che cos’è l’uomo?”. Per essere più banali¸ come si fa a rispondere con completezza alla domanda “Che cos’è un embrione nell’istante del concepimento”. Si può dire¸ come direbbe il biologo¸ che è soltanto una cellula destinata a moltiplicarsi? Oppure si deve arrivare a dire¸ è solo un esempio non voglio fare propaganda su questo settore¸ essendo una cellula che è nata da un uomo e da una donna ha già qualche cosa della personalità umana. Come si fa a rispondere a queste cose? Ci si può limitare ad interrogare il biologo o il filosofo soltanto? O bisogna domandare se anche le religioni hanno qualcosa da dire su questo¸ se anche l’ipotesi Dio interferisce con la risposta a queste domande. Ecco¸ vedete¸ secondo me oggi come oggi Cristo diventa nostro re se ci aiuta a porci continuamente questa domanda¸ ma per quel che riguarda questo problema¸ quale è la veritภnon la parziale verità ma la verità totale¸ coltivare questo dubbio e tenere viva questa domanda¸ secondo me è per molti l’unico modo oggi possibile di sentirsi amico e discepolo di Cristo.