» Home » Domande - Risposte   » Libro deglio ospiti    » Contatti  
Omelia XXXII DOM. T.O. B del 12 Novembre 2006

Omelia 12 novembre Il Vangelo è composto di due brevi parti¸ la prima è un ammonimento a non fare come gli scribi ed è una brevissima osservazione sul comportamento degli scribi che è l’unico testo di Marco che li critica. Come invece saprete in Matteo c’è un intero capitolo di invettive contro scribi e farisei ed in Luca quasi altrettanto¸ anche se in maniera un pochino più morbida. E’ molto probabile che i testi di Matteo e di Luca non risalgano per niente alla parola di Gesù e che¸ al massimo¸ Gesù abbia detto quelle poche cose che testimonia Marco. Direi¸ quindi¸ che nell’anno di Marco non è il caso di fermarsi su questo testo ed inveire contro gli scribi¸ dal momento che lui si limita a queste poche osservazioni. Invece¸ come ci suggerisce la scelta della prima lettura¸ bisognerebbe riuscire a capire quale è il significato profondo di questa osservazione che Gesù ha fatto sulla vedova che ha gettato nel tesoro due centesimi che valgono però di più dei molti soldi che hanno gettato i ricchi¸ perché lei ci ha messo tutto quello che aveva e poi il testo greco ha soltanto due parole “Tutta la vita”. La parola bios in greco significa vita¸ può anche significare i mezzi per vivere e¸ giustamente¸ la C.E.I. ha tradotto “Quanto aveva per vivere”. Ma il fatto che in greco questa parola sia la stessa (anche noi in italiano possiamo dire vita e vitto¸ che non è esattamente la tessa parola ma viene dalla stessa radice). E’ curioso che in greco “Olon bion” cioè tutta la vita possa significare tutto il sostentamento per la vita¸ però è la stessa parola. Per cui¸ in fondo… certo che qui significa il sostentamento per la vita¸ ma non è escluso che Marco scrivendo¸ per quel poco di greco che riusciva a sapere¸ intendesse che il lettore potesse anche pensare che nella sua povertà aveva messo tutto quello che aveva¸ anzi tutta la sua vita perché questa donna¸ si può pensare¸ prevedibilmente morirà di fame o¸ in ogni caso¸ corre il pericolo di morire di fame. E quella piccola¸ inutile somma di denaro che aveva¸ che non è neanche una somma perché sono appunto due centesimi¸ ha pensato bene di darla al tesoro del tempio per un suo atto di devozione e preferirei dire di grande dignità. E¸ in questo senso¸ la vedova del Vangelo¸ come vedremo¸ assomiglia alla prima vedova¸ quella della prima lettura del tempo di Elia. Ma c’è anche un’altra osservazione¸ che molti commentatori fanno e che anche voi potreste fare se vi decideste a leggere il Vangelo di seguito¸ cosa che può darsi che abbiate fatto¸ ma ne dubito perché questo della vedova è l’ultimo aneddoto che si racconta di Marco nel Vangelo di Gesù e¸ secondo la sua cronologia¸ quella che il lettore può recepire leggendo il Vangelo¸ siamo nel pomeriggio del mercoledí ed alla sera tornano a Betania dove alloggiano¸ alla mattina dopo ritornano a piedi verso Gerusalemme perché alla sera dovranno mangiare la Pasqua e mentre tornano i discepoli gli dicono¸ vedendo da lontano il tempio “Vedi che bell’edificio¸ che grosse pietre!” e Gesù incomincia il discorso “Non rimarrà pietra su pietra…” e annuncia la fine del mondo. E¸ nel frattempo¸ sta avvicinandosi la sua fine perché¸ secondo la cronologia di Marco¸ giovedí sera c’è l’ultima cena e venerdí a mezzogiorno Gesù muore sulla croce¸ perché Marco anticipa per di più la morte all’ora sesta. Ora è curioso perché il Vangelo è stato scritto da uno scrittore e quando si scrive più o meno la vita di un personaggio e si mettono in ordine¸ in fila gli episodi e si permette al lettore di calcolare il tempo che passa¸ ha significato l’ultima cosa che si racconta. Prima del discorso sulla fine¸ lo capisco¸ però la sera di mercoledí¸ un giorno e mezzo prima di morire¸ Gesù ha visto questa vedova che ha intuito¸ con la sua capacità di vedere l’interno dell’animo umano¸ che non aveva più niente. Le erano rimasti due centesimi¸ e venuta nel tempio¸ li ha messi nel tesoro del tempio e cosí ha offerto la sua vita¸ non semplicemente il sostentamento per la vita. E a molti commentatori piace pensare che Gesù¸ il quale sa¸ prevede¸ teme¸ se volete¸ che verrà presto condannato a morte¸ sta domandandosi come reagirà lui alla condanna a morte. Anche lui sta per donare la sua vita¸ perchè è venuto il momento in cui bisogna lasciare tutto per non abbandonare Dio. Cioè se voi leggeste il Vangelo come si legge un romanzo¸ io lo so che non sono scritti con l’abilità evocativa e con la capacità di suscitare attenzione della letteratura posteriore perché gli evangelisti sono dei mediocri scrittori¸ però se uno leggesse il Vangelo con attenzione¸ di seguito come si legge un romanzo¸ capirebbe questa connessione. Questa donna¸ in un certo senso¸ anticipa l’offerta che Gesù farà della sua vita¸ è disposta a perdere tutto ma non la relazione con Dio e l’ultima cosa che fa è andare nel tempio a dare i suoi centesimi. E Gesù si rispecchia in questa donna e la donna¸ in un certo senso¸ è profezia vivente di quello che farà Gesù. Ed anche un laico¸ anche uno che non crede tanto¸ dovrebbe riconoscere che c’è in questo accostamento dei due episodi perché la vigilia della sua morte Gesù non compie più miracoli¸ farà un discorso ma è il discorso sulla fine¸ il discorso dell’addio. Direi che tutto questo aiuta a riflettere¸ come il Vangelo ci inviti a suggerire¸ a riflettere sull’atteggiamento dell’uomo di fronte all’ipotesi di perdere tutto¸ di terminare. Non son capace o non è forse il caso di dirlo in concetti o in formule riassuntive¸ si tratta soprattutto di un’emozione¸ di un sentimento interiore¸ di un senso che si dà alla propria vita. Quando non c’è più niente da fare¸ qualunque sia il campo¸ cosa si fa? Non si deve perdere la padronanza di sé¸ la serenitภla luciditภla propria dignità e¸ soprattutto¸ non si deve perdere il contatto con Dio. Ecco¸ questo è¸ secondo me¸ l’ammaestramento che deriva dall’accostamento che nel Vangelo c’è fra questi due momenti: il gesto simbolico della vedova e la morte di Gesù due giorni dopo. Ma c’è anche un altro pensiero che vorrei dire. Forse questo non lo condividerete del tutto però la prima lettura¸ che assomiglia molto all’episodio evangelico¸ fa pensare al fatto che i protagonisti di queste due scene sono innanzitutto due donne e sono due donne prive di mezzi¸ in miseria. Questa non è povertภquesta è miseria però sono due persone alle quali la miseria non toglie la dignità e non toglie la libertà interiore di affrontare il poco tempo di avvenire che viene loro incontro¸ senza spaventarsi più di tanto della morte che sta per venire ma mantenendo questa capacità di dominio di sé¸ di sicurezza interiore che nella prima lettura¸ cosí come è raccontata (la prima lettura è certamente una leggenda ma è appunto il modo in cui è scritta che è interessante) dicevo che nella prima lettura rasenta il cinismo perché l’autore che ha scritto il testo¸ che è un anonimo che non conosciamo¸ ha messo in bocca alla donna quella frase che avete sentito: “Non ho nulla di cotto¸ ho soltanto un pugno di farina nella giara¸ un po’ di olio nell’orcio¸ raccolgo due pezzi di legna¸ andrò a cuocerla per me e per mio figlio¸ la mangeremo e poi moriremo”. E’ la freddezza con cui la cosa viene descritta¸ dove l’autore¸ eppure gli sarebbe servito per rendere la scena ancora più drammatica¸ non dice che la donna ha pianto¸ non dice che la donna si lamenta¸ non dice che la donna chiede l’elemosina¸ ma la presenta¸ appunto… ¸ forse sarà perché non sa scrivere¸ ma io ho il sospetto che invece sia perché vuole scrivere cosí ed è capace di scrivere¸ vuole presentare questa donna come una che è tranquilla¸ serena¸ fatalista¸ se volete¸ dico anche la parola che ormai è diventato proibito dire¸ non so perché¸ rassegnata. Lo so che tutti lo dicono¸ dai medici ai preti “Bisogna lottare¸ bisogna reagire!”¸ rassegnarsi è diventato il peccato originale ed¸ invece¸ ci sono momenti in cui viene l’ora di rassegnarsi perché il rassegnarsi ti permette di avere l’unica forza per difendere la tua personalità e per non perdere¸ appunto¸ quella padronanza di te che queste donne mostrano di avere. E a me piace immaginare¸ cosí¸ come esempi… la donna del Libro dei Re¸ la vedova¸ se ha ancora un bambino in casa a cui fare da mangiare avrà 35-40 anni¸ il lettore di allora supponeva un’età al massimo di questo genere. “Adesso vado¸ faccio cuocere il pane¸ lo mangiamo e poi moriamo”. Certo che dopo c’è la leggenda del miracolo di Elia¸ lo so¸ tutto si risolve in bene¸ ma lo scrittore è stato capace di dirci che¸ e questo è il punto dove voglio arrivare¸ che alle volte la miseria rende l’uomo¸ la donna¸ più sicuro di sé¸ più intelligente¸ più forte¸ che perfino la miseria può essere¸ per chi ne sa cogliere il valore e la capacità di suscitare sentimenti e decisioni¸ perfino la miseria può essere una grazia. Ecco¸ questo è il punto paradossale¸ se volete¸ al quale volevo arrivare perché la mia impressione è che nella Bibbia coesistano due filoni¸ uno¸ che è dominante¸ è quello dei profeti i quali di fronte a povertภmiseria esigono che si reagisca¸ che si combatta. Condannano¸ inveiscono¸ pregano¸ supplicano¸ profetizzano. Ma c’è un altro filone¸ che appare in pochi testi¸ e che è questo: quando la povertà non si può risolvere¸ quando sei di fronte ad una situazione che non è soltanto una questione di povertภpuò essere una questione di salute¸ di libertà che non c’è più¸ quando non c’è più niente da fare¸ lasciati educare dalla miseria che ti colpisce. E questo lo suggeriva il salmo responsoriale “Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli” che è la prima beatitudine. Ora¸ questo suggerimento¸ che è di molte religioni¸ che¸ ripeto¸ non è dominante nella Bibbia ma è presente¸ è minoritario ma c’è¸ questo suggerimento: quando non c’è più niente da fare¸ abbi la furbizia di rassegnarti e di non perdere anche quelle forze spirituali che possono rendere ragionevole la tua sopportazione. Ecco¸ questo è quello che voglio dire¸ voglio dire che uno dei compiti della religione non è soltanto¸ come secondo me oggi accade¸ quello di denunciare l’ingiustizia¸ di invitare alla lotta¸ di superare… certo¸ quando¸ però¸ uno non ce la fa più¸ quando non ci sono le circostanze e le possibilità di ottenere risultati¸ la religione ha anche il dovere di dire: “Adesso acquietati¸ accetta¸ rassegnati e custodisci quel poco di spiritualità che ti rimane¸ compi un gesto che sia ancora segno della tua padronanza di te perché anche¸ ripeto¸ la miseria o la sconfitta può essere una grazia”. Se questo non lo dicono le religioni¸ se questo non lo dice la Caritas e si limita a parlare di promozione della giustizia e crea poveri dove non ci sono (i sette milioni di poveri della Caritas sono una manovra¸ probabilmente¸ per ottenere offerte)¸ quando non si distingue più tra un qualche secondario disagio economico e la vera povertภe la vera miseria¸ quando si fanno¸ cioè¸ discorsi propagandistici come quelli che la settimana della carità spesso induce a fare¸ allora non si è capito niente del valore delle religioni le quali servono per dare un aiuto nel momento assolutamente estremo¸ quello in cui ciò che vedi di fronte a te è la morte e¸ in quel momento¸ quello che ti serve è una parola spirituale che ti aiuti a rimanere te stesso fino ala fine¸ come quelle due vedove.