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Omelia XXIX DOM. T.O. B del 22 Ottobre 2006

Omelia 22 ottobre L’ultima frase del Vangelo potrebbe servire ad avvalorare la Giornata Missionaria Mondiale¸ ma non è questo il tema che noi approfondiremo perché l’espressione “Dare la propria vita in riscatto per molti”¸ soprattutto l’uso del termine molti¸ che nell’uso ebraico ed aramaico di parlare indicava soprattutto la moltitudine degli altri popoli¸ le nazioni¸ indubbiamente contiene il significato che¸ a differenza di quello che molti ebrei pensavano¸ il Figlio di Dio è venuto per dare la sua vita prima vivendo e poi morendo. Ma¸ come ho già spiegato tante altre volte¸ dare la vita non significa semplicemente morire¸ ma spendere la propria vita per una causa¸ per la liberazione di molti¸ quindi con un’estensione di tipo universale. E mi pare che sia giusto ricordare che la tensione verso la missione universale è caratteristica già della persona di Gesù¸ non era caratteristica dell’ebraismo il quale non si curava di andare a cercare convertiti o aderenti alla propria fede¸ a differenza del cristianesimo che è invece missionario fin dall’inizio. Basta pensare a Paolo ed a tutto lo sviluppo del cristianesimo. Quindi questa idea di una missione che deve interessare tutte le persone e tutti i popoli e tutte le nazioni è caratteristica del cristianesimo fin dalla sua origine. E’ anche curioso¸ sempre a questo proposito¸ poi passo all’altro argomento¸ è anche curioso quello che dice Gesù il quale¸ alla pretesa dei due apostoli di sedere uno alla sua destra ed uno alla sua sinistra¸ per scoraggiarli e dimostrare che questa richiesta non ha senso¸ prende come esempio coloro che sono ritenuti capi delle nazioni e i loro grandi che esercitano il potere. Ed anche questo è un sintomo abbastanza significativo. Se Gesù avesse pensato che la comunità dei suoi discepoli doveva rimanere una pia comunità religiosa¸ doveva essere una specie di confraternita di devoti¸ non avrebbe fatto l’esempio dei capi delle nazioni e dei loro grandi perché se io voglio dire ad un gruppo di persone come devono comportarsi¸ che devono essere umili¸ generosi¸ caritatevoli¸ non prendo come esempio¸ se voglio parlare della vita comune¸ privata¸ normale¸ i capi delle Nazioni. Se io devo dire a delle persone “Comportatevi bene” prendo come esempio i loro compagni di scuola¸ i commercianti del posto¸ sto al limite della base. Strano che Gesù nomini i vertici¸ uno potrebbe dire: “Cosa interessa a me il paragone con i capi della nazione¸ io sono un pescatore”¸ è perché probabilmente Gesù aveva già in mente una Chiesa la quale ha a che fare con le nazioni e con i popoli altrimenti non avrebbe molto senso tutto questo. Se voi mi dite che non è stato Gesù a dire questa frase ma l’hanno pensata gli evangelisti siamo lí¸ vuol dire che attorno agli anni 60 – 70 i cristiani ritenevano già di poter avere una missione che sfiorava il livello della grande politica. Che ci sia quindi una dimensione di contatto con la grande politica da parte dei credenti cristiani è un’idea che affiora già nei testi evangelici¸ ripeto¸ altrimenti non avrebbe senso fare l’ esempio con i capi delle nazioni. Io non posso dire ad un ragazzino che chiacchiera in chiesa “Non sai che Bush non deve chiacchierare!”¸ mi ride in faccia. Lo posso dire se sto parlando a delle persone delle quali penso che in futuro avranno la possibilità di trattare con i potenti della terra. Questo per spiegare come mai il cristianesimo si porta dietro fin dall’origine questa pretesa di non essere soltanto una religione privata¸ una formazione dell’intimità della coscienza¸ ma pretende di poter dialogare con coloro che sono i grandi¸ che reggono il potere. Ma di tutto questo sarebbe interessante allungare il discorso¸ e adesso non c’è tempo di farlo. C’è invece un altro aspetto che è presente in tutte tre le letture e che è certamente più importante delle cose che ho detto fino ad ora¸ ed è la presenza sia nella prima lettura¸ come nella seconda¸ come nel Vangelo di questa specie di predominio della sofferenza che è interessante. Il calice che Gesù dice di dover bere¸ e che concede anche ai due discepoli di bere insieme con lui¸ non è certamente un brindisi¸ bere il calice significa¸ nel linguaggio tradizionale dell’A.T.¸ accettare le prove che Dio ti manda nella vita. In alcuni testi anzi¸ e se lo domandano infatti gli esegeti¸ significare accettare il castigo che Dio ti manda¸ bere il calice. E’ comunque un’accettazione di un dovere gravoso¸ certissimamente. Meno chiara è l’immagine del Battesimo: “Ricevere il Battesimo con cui io sono battezzato”. E anche qui¸ la maggioranza dei commentatori ritiene che in questa frase la parola battezzare¸ battesimo non hanno lo stesso significato che hanno quando battezza Giovanni Battista¸ quando si battezzano i cristiani perché Gesù¸ in questo senso¸ non è stato battezzato. Il battesimo di Giovanni è lontano nella memoria. Gesù parla di un battesimo che deve adesso ricevere e il battesimo che deve adesso ricevere è come il calice¸ è la sua passione e morte. Allora¸ siccome anche qui ci sono testimonianze nella lingua biblica dell’A.T. questo battesimo è le acque che ti travolgono¸ come quelle del diluvio. Ci sono salmi in cui si dice “I mali mi opprimono come acque impetuose”. Allora ricevere il battesimo per Gesù significa essere travolto dagli eventi¸ essere soffocato come avverrebbe dalle acque di una piena¸ di un’alluvione dalle fatiche¸ dalle sofferenze¸ dalle calunnie¸ dalle accuse¸ dai guai¸ da quello che volete. E’ la dimensione della vita come una realtà nella quale si incontrano continuamente ostacoli che bisogna avere il coraggio di accettare¸ di affrontare. La prima lettura¸ poi¸ è ricolma di queste cose¸ è il famoso “Canto del servo” della seconda parte del Libro di Isaia: “Disprezzato e reietto dagli uomini¸ uomo dei dolori che ben conosce il patire¸ al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori... Il suo ultimo tormento”. Anche qui però¸ scusate se torno al pensiero di prima¸ alla fine “Il giusto mio servo giustificherà molti¸ si addosserà la loro iniquità”¸ e c’è sempre questa idea dell’estensione senza limiti alla quale¸ però¸ è funzionale¸ deve essere prima preceduta da questa sofferenza¸ possiamo chiamarla prova¸ da questo accumulo di difficoltà da affrontare che i testi esprimono con diversi vocaboli e con diverse parole. Lo stesso la seconda lettura¸ la Lettera agli Ebrei¸ questa¸ tra l’altro ha anche in brani che abbiamo letto in domeniche precedenti e che non abbiamo mai avuto la possibilità di commentare con calma. Ma la Lettera agli Ebrei¸ anche in due o tre domeniche fa¸ parlava in fondo di questa vocazione di Gesù di soffrire: “Fatto di poco inferiore agli angeli¸ lo vediamo coronato di gloria”¸ sí¸ “Ma a causa della morte che ha sofferto. Perché Egli provasse la morte a vantaggio di tutti”¸ era due domeniche fa “Ed era ben giusto che Dio¸ per portare molti figli alla gloria¸ rendesse perfetto¸ mediante la sofferenza¸ il capo che li ha guidati alla salvezza”. E’ continuamente presente questa idea della necessità di passare attraverso la sofferenza per raggiungere la metà che Dio si prefigge. E nel testo di oggi “Il sommo sacerdote ha attraversato i cieli ed è arrivato a Dio perché sa compatire le nostre infermità essendo lui stesso stato provato in ogni cosa a somiglianza di noi escluso il peccato”. In fondo bere il calice ed essere battezzato è essere provato in ogni cosa. E la presenza ripetuta¸ e volendo¸ se avessimo tempo troveremmo altre decine di testi che dicono queste cose¸ la presenza ripetuta di questo tema: il Figlio di Dio¸ secondo la nostra fede¸ è venuto nel mondo per provare come noi¸ tranne che nel peccato¸ tutta la sofferenza che la vita comporta. Adesso non voglio fare il pessimista¸ il tragico¸ ma concepire la vita come sofferenza o¸ se preferite¸ concepire la vita come prova¸ concepire la vita come lotta e combattimento contro le difficoltภconcepire la vita come l’impegno per affrontare pericoli¸ rischi¸ prove da superare è la tipica concezione dell’uomo della Bibbia ebraica e cristiana e la figura di colui che è venuto nel mondo per essere l’uomo modello¸ Gesù Cristo è colui il quale lascia perdere la gloria¸ lascia perdere anche la quiete ed il riposo e si presenta come colui il quale affronta e non ha paura della fatica e della sofferenza. Ed è questo che mi interessa di più perché da questo modo di parlare¸ da questo modo di presentare Gesù Cristo¸ sia pure¸ se volete¸ con parole eccessive¸ con parole forse esagerate¸ possiamo annacquarle un pochino queste parole¸ appunto¸ invece di sofferenza dire prova¸ invece di dolore dire fatica¸ invece di affrontare la morte dire resistenza e coraggio¸ abbiamo il diritto di aggiungere altri termini¸ direi più realistici¸ meno enfatici¸ questo è giusto però l’antropologia soggiacente¸ per usare parole tecniche e difficili¸ è evidentissima. La vita dell’uomo è questa fatica di andare avanti. Qualche studioso ha notato che il mondo antico concepiva tutto come lotta faticosa. Per esempio¸ a quei tempi¸ a differenza di quello che accade per noi oggi perché le cose sono molto migliorate¸ anche con la natura l’uomo si sentiva in dovere di lottare perché la natura allora non si aveva ancora la capacità purtroppo di violentarla come si può fare oggi. Allora di fronte al terremoto¸ al temporale¸ alla pioggia¸ alle malattie¸ alla peste che rovina alberi e raccolti l’uomo era impotente e doveva subire e vedeva¸ allora¸ la natura come la nemica da sopraffare. Oggi¸ purtroppo¸ si è capovolto tutto¸ ma a quel tempo era presente questa idea: che cos’è la vita? La vita è un combattimento continuo contro tutti i mali che mi insidiano da ogni parte. Ripeto¸ è esagerato tutto questo¸ è enfatico però confrontiamolo con il concetto o l’immagine di vita che oggi sono portati a farsi i più giovani¸ soprattutto i ragazzi¸ vostri figli¸ vostri nipoti. Quando c’è tutta una congiura a dare l’impressione che la vita debba essere facilissimo percorso dove si ride e si scherza fino alla fine e dove tutto è assicurato da protezioni sociali e dove la minima difficoltà da affrontare fa scandalo e viene concepita come un’ingiustizia. Bisogna rendersi conto che tutto questo è il contrario ed un cristiano deve rifiutare il contrario di quello che dice la Sacra Scrittura¸ probabilmente è anche il contrario del buon senso. Ora questi discorsi di Gesù che ci dicono: “Ma lascia perdere la gloria¸ cosa vuoi sedere alla destra o alla sinistra¸ preparati a bere un calice e ad affrontare un battesimo di acqua che ti travolge”; fuori di metafora: preparati a vivere con impegno¸ serietà e con la disposizione a dover anche patire qualcosa per raggiungere risultati perché questa è la dignità dell’uomo¸ perché nel pensiero di Dio l’uomo è colui al quale è affidata la comprensione dei misteri e delle problematiche che il mondo continuamente fa sussistere e l’uomo molte volte con la fatica¸ con la fatica intellettuale prima di tutto¸ la fatica della ricerca¸ la fatica delle ipotesi di spiegazione nel funzionamento dell’universo. Qui in chiesa ci sono un astronomo ed un matematico che sono miei amici¸ e lo dico volentieri. Per loro bere il calice e subire il battesimo vuol dire avere fiducia nella fatica della ricerca scientifica¸ avere la fiducia di ricercare¸ proporre¸ confrontare ipotesi che possono rivelarsi in parte giuste¸ in parte sbagliate¸ non demordere mai dalla volontà di sapere e di conoscere. E poi ci sono tutti gli altri che cercano di rendere possibili¸ attraverso lo sviluppo della tecnica una vita migliore. Questi¸ secondo me¸ sono i continuatori dell’opera di Cristo¸ non i pigri che si limitano a godere di risultati¸ a gingillarsi e a giocare credendo che tutto debba essere facile¸ facilissimo da usare¸ quasi che ci fossero miracolose possibilità di risolvere tutti i problemi con un tocco di bacchetta magica. Io non dico che i dolori debbano essere la malattia¸ la mortificazione¸ i flagelli¸ dico che i dolori di cui ci parla Gesù e di cui è modello sono questo servizio (Sono venuto per servire) alla ricerca seria¸ alla cultura vera¸ all’onestà intellettuale¸ alla fatica di provare prima a sé stessi la validità di quello che si pensa e in cui si crede.