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Omelia XXVIII DOM.T.O. B del 15 ottobre 2006

15 Ottobre 2006 - XXVIII DOM.T.O. B -- E´ un brano complesso; la narrazione è intricata. E´ strano che Gesù¸ che ha il potere di fare i miracoli¸ non abbia invece il potere di convincere questa persona ad accettare la sua proposta. Non giustifica la non accettazione della sua proposta da parte di questa persona¸ che pure ha amato¸ dicendo che vuole rispettare la libertภma denunciando quasi una specie di fatalità - Quanto difficilmente quelli che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio-! E´ possibile solo a Dio. Non a suo Figlio! la tradizione che ha tramandato l´episodio e l´evangelista che lo ha scritto devono aver pensato all´impostazione¸ mettendo in bocca a Gesù due frasi su questa difficoltภsoprattutto per i ricchi¸ di entrare nel regno di Dio¸ per cui neanche Gesù su questa terra¸ pur essendo il figlio di Dio¸ può superare questo ostacolo. Tutto questo fa pensare¸ anche se non è facile per noi arrivare a delle conclusioni chiare e certe. L´unica cosa che sembra chiara è che il problema della ricchezza e del possesso dei beni è un problema grave¸ serio per le persone che intendono essere persone di fede. Questo rapporto con i beni è una situazione molto difficile da gestire¸ tanto è vero che questa persona¸ che pure è onestissima¸ non ha rubato¸ quindi possiede legittimamente quello che ha¸ non ha il coraggio di disfarsi dei suoi beni. Ma la cosa che più fa pensare alla problematicità di questa situazione è che Gesù è disarmato di fronte a questa situazione; non fa neanche una ulteriore esortazione: vedendo l´indisponibilità di quell´uomo i due si separano. Gesù parla ai suoi discepoli e si confida con loro come se fosse effettivamente sconfitto di fronte a questa "insensibilità"¸ ma si può anche dire "impotenza"¸ del ricco di fronte alla proposta di privarsi dei suoi beni. Per cui lui se ne va afflitto¸ e Gesù o non si accorge che quello è afflitto¸ o non fa nulla per dire - Venga qui¸ parliamo ancora¸ ripensiamoci¸ vediamoci un´altra volta-! Niente di tutto questo. Come se si creasse una specie di barriera. Il problema del rapporto ricchezza-povertภma anche e soprattutto la condizione in cui noi ci veniamo a trovare quando dobbiamo gestire le nostre piccole o grandi proprietà è un problema arduo da risolvere; è una cosa che ci accompagna tutta la vita e non sappiamo mai come districarci. Questo potrebbe anche contenere un´implicita consolazione. Nella storia degli ultimi due secoli ci sono stati vari tentativi di risolvere questo problema della perequazione delle ricchezze e della valutazione filosofico-morale del rapporto uomo ricchezza. L’ipotesi marxista di riflettere con determinati parametri su questo problema non è ancora sepolta. Tuttavia non abbiamo ancora trovato non solo nessuna formula operativa che sia efficace¸ ma neppure nessuna ipotesi teorica; ci sfugge ancora una specie di “regolamento di principio” su come valutare il possesso delle ricchezze. La stessa continua ripresa di una dottrina sociale della chiesa¸ che cerca di “assestarsi meglio”¸ è una cosa molto interessante e molto nobile¸ perché la chiesa è molto attenta a riformulare in maniera sempre più aggiornata e precisa i doveri in questo campo. Tutto questo però conferma la fatica e la difficoltà in questo ambito. Quindi la prima conclusione da trarre è proprio questa: abituiamoci a convivere da cristiani con questa difficile relazione con la moralità doverosa della gestione delle ricchezze. Nessuno di noi può sentirsi tranquillo pensando che il suo modo di comportarsi in questo campo sia irreprensibile¸ perché non appena ci si riflette un attimo ci si accorge che è difficile avere delle sicurezze circa la correttezza del proprio comportamento; non solo quando si può disporre di grandi capitali¸ ma anche quando si deve decidere di cosa farne dei pochi soldi che ci avanzano o di come spendiamo i nostri soldi¸ di come destiniamo le nostre offerte caritative¸ di che cosa pensiamo di questo bailamme di iniziative che vanno dalle organizzazioni delle nazioni unite alla caritas parrocchiale. Non dobbiamo ignorare questa nostra difficoltภe forse se ci si affliggesse un po’ di più¸ questa afflizione potrebbe aiutarci a cercare di trovare¸ con continui piccoli aggiustamenti¸ la strada meno sbagliata per la nostra piccola gestione del rapporto tra possesso¸ investimento¸ spese¸ assistenza¸ carità. Quello che dice la seconda lettura¸ della parola di Dio che entra dentro e si infila tra le strutture della tua persona¸ e ci disturba nella nostra apparente quiete¸ si può benissimo applicare a questo tema della ricchezza. Un ultimo pensiero. Sia nella prima lettura che nel vangelo c’è una strana conclusione. Salomone ha preferito a tutto il dono della sapienza; molti scritti del tardo giudaismo esaltano come cosa più importante nella vita chiedere il dono della sapienza. Quindi Salomone si presenta come colui che nella vita ha fatto una scelta - A me dei soldi non importa niente¸ voglio la sapienza-. Poi però c’è il trucco finale¸ che fa crollare tutta la nobiltà della scelta¸ perché insieme con essa gli sono venuti tutti i beni. Siccome ha chiesto la sapienza¸ Dio gli ha dato sia la sapienza sia beni inestimabili. Qui c’è il trucco: io faccio finta di chiedere la sapienza¸ faccio finta di trascurare i beni¸ perché poi alla fine mi arrivano gratis. Allora tutto diventa meschino. Ma è strano che anche Gesù ai discepoli che gli dicono - A noi che abbiamo lasciato tutto cosa fai-? Gesù non risponde - Avrete la soddisfazione del cuore¸ la coscienza pura¸ la contentezza interiore-. No. Dice - Riceverete il centuplo-. Anche in Gesù c’è questa idea che la ricompensa alla fine arriva¸ sia pure in maniera paradossale - Se avete lasciato casa e fratelli¸ riceverete¸ già su questa terra¸ cento volte tanto in casa e fratelli-. E’ curioso questo. Anche Gesù non esalta la povertà in quanto tale¸ non compensa la rinuncia ai beni con una specie di gioia puramente interiore¸ ma dice che¸ in forma diversa¸ riceverai un compenso. I commentatori dicono che quando Marco scrive queste cose pensa alla fraternità che si è creata nelle piccole comunità cristiane¸ dove il fatto che uno rinuncia ai suoi beni consiste nel mettere tutto in comune. E loro avrebbero avuto per un po’ d’anni l’esperienza che mettendo tutto in comune si risparmia¸ e alla fine chi ha rinunciato a gestire in privato i propri beni perché li ha consegnati ai piedi degli apostoli¸ e hanno fatto una cassa comune¸ si accorge che finisce per avere più di quello che aveva prima. Poi sappiamo dagli Atti degli Apostoli e dalle lettere di S. Paolo che questo esperimento è completamente fallito e le comunità che lo avevano iniziato vivono di elemosina perché la cosa non è riuscita. Le cose interessanti sono che Gesù non ci obbliga a fare a meno delle cose¸ perché riconosce che abbiamo bisogno di ricevere in cambio¸ e poi che se si fa questa rinuncia ai propri beni¸ se i propri beni si mettono a disposizione dei poveri¸ non ci si perde¸ ma si finisce per riavere in altro modo¸ attraverso la trasformazione dei rapporti sociali¸ addirittura di più. E qui c’è una convergenza tra questo ideale¸ presentato da Gesù¸ e le ipotesi del marxismo classico: se si rinuncia alla proprietà privata dei mezzi di produzione tutti¸ alla fine¸ hanno di più. E il marxismo era un tentativo di dire¸ in maniera scientifica¸ in maniera razionalmente documentabile¸ la stessa utopia che è presente nelle parole di Gesù. …(manca circa un minuto di registrazione)