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Omelia XII DOM. T.O. B del 25 Giugno 2006

Omelia 25 giugno Il testo più interessane¸ dal punto di vista della cultura biblica di questa messa¸ è il salmo responsoriale¸ 106 nella edizione latina¸ 105 in ebraico. E’ un salmo che raggruppa diversi tipi di ringraziamento a Dio e¸ probabilmente¸ si riferisce ad una liturgia che si compiva nel tempio nella quale vari gruppi di persone guariti da una malattia o ritornate da un viaggio nel deserto celebravano il ritorno e ringraziavano Dio. La cosa curiosa è¸ dal momento che tutti diciamo che l’antico popolo ebraico non era un popolo di navigatori e non risulta infatti che lo fosse¸ è che uno dei gruppi è¸ invece¸ costituito¸ come avete sentito¸ da “Persone che scavalcavano il mare sulle navi e commerciavano sulle grandi acque.Venne la tempesta¸ un vento burrascoso sollevò i suoi flutti¸ salivano fino al cielo” e tutti avevano il mal di mare. “La loro anima languiva nell’affanno”. E’ il vomito¸ perché l’anima è la gola¸ come sapete. “Allora nell’angoscia gridarono al Signore. Ridusse la tempesta alla calma¸ si rallegrarono nel vedere la bonaccia” e adesso ringraziavano il Signore per la sua misericordia. E’ una testimonianza molto realistica di una preghiera aderente ai fatti della vita che ci informa su delle attitudini alla navigazione che altrove non sono testimoniate in maniera cosí bella e cosí vivace nell’A.T. Ma¸ al di là di questo e sotto questa superficie¸ cosí informativa¸ c’è in questo salmo anche la presentazione di un’attitudine che è sempre stata spontanea negli uomini¸ negli uomini coraggiosi¸ in quelli che affrontavano pericoli nei viaggi¸ nelle esplorazioni¸ nei commerci¸ e cioè la fiducia in un Dio protettore che ti può salvare nei pericoli¸ per cui hanno paura¸ ma superano la paura sapendo che in caso di necessità si può invocare qualcuno. Ognuno aveva le sue divinità e ci sono tanti i quali raccontano che quel qualcuno li ha aiutati¸ tanto che alla fine son giunti al porto sospirato. “Non aver paura perché c’è un Dio che ci protegge quando noi abbiamo osato forse al di là della prudenza”. Questo è un sentimento a metà strada fra l’umano e il religioso che si può trovare attestato in un’infinità di culture. Chi conosce le abitudini¸ le storie della gente di mare delle nostre coste sa che in tempi passati¸ forse in qualche vecchio ancora anche adesso¸ c’è questa medesima sensibilità interiore. Andar per mare per loro è la vita¸ però il mare è sempre più forte di noi¸ è imprevedibile¸ e il ritorno è sempre accompagnato da un senso di riconoscenza verso qualcuno che sta sopra. La cultura dei paesi di mare presenta attestazioni dappertutto di questo tradizionalissimo antichissimo modo di pensare. E le donne che stanno a casa¸ i bambini attendono¸ pregano¸ sperano e la festa del ritorno ha una sua annotazione religiosa. Hanno e non hanno paura nel senso che la paura ha una sua valvola di scarico che è una forma di fede. Ecco¸ questa è la cultura del passato. Ho l’impressione che nel nostro mondo¸ da quando il mondo si è industrializzato e soprattutto da quando il fare tecnico è diventato dominante¸ questa paura tende a scomparire¸ a non esserci più¸ per cui c’è un coraggio che alle volte rasenta l’incoscienza perché non riflette più¸ crede che il dominio sia assicurato dalla prevedibilità del comportamento della macchina e¸ in ogni caso¸ la paura è superata non più dal mito di un Dio protettore ma dalla fiducia nella macchina. E direi che non c’è più neanche il coraggio ma c’è semplicemente una fredda fiducia nella tecnica. Io non me ne intendo di storia¸ ma ho l’impressione che¸ per esempio¸ che l’interiorità di Cristoforo Colombo nel primo viaggio¸ poi è diventato anche lui un affarista e si è abituato¸ come diceva la preghiera iniziale che è intelligente in questa domenica quando dice: “Non ci esaltiamo nel successo”¸ il Colombo dei viaggi successivi era esaltato dal successo¸ ma nel primo viaggio c’era la fede che accompagnava l’audacia. E capite che questa situazione umana dove si mescolano insieme spontaneitภcultura religione¸ ha caratterizzato in una maniera molto interessante¸ ma anche direi molto promozionale¸ secoli di storia. Altri popoli avevano le loro religioni¸ noi avevamo il nostro tipo di Dio¸ ma c’era questa attitudine comune: l’uomo si sente portato ad osare al di là anche delle sue forze ma lo fa sulla base di una fiducia: che c’è qualcuno in alto che gli chiede di avere coraggio¸ che lo autorizza ad osare e che potrebbe intervenire nel momento opportuno. E la cosa viene vista in un dialogo con un misterioso Dio che¸ come diciamo nella preghiera eucaristica – bisognerebbe che riflettessimo qualche volta su queste parole che tutte le domeniche diciamo – “Con il tuo Spirito sostieni e fai vivere l’universo”. Questo Dio che fa vivere l’universo. Questa componente¸ capite¸ questo terzo personaggio¸ al di là di noi e del mondo¸ che è quello che lo fa vivere¸ che normalmente tace¸ è assente¸ dorme come Gesù sulla barca¸ ma che quando il grido d’angoscia si solleva¸ potrebbe ascoltarci. Affrontare la vita e vivere in questo modo¸ è stato¸ direi¸ l’anima di tutti¸ ma soprattutto delle persone più audaci¸ coraggiose: Marco Polo¸ ma di tanti altri piccoli perché è coraggioso anche il pescatore che esce tutte le notti in Sicilia. Tutto questo sta scomparendo e non possiamo farci nulla¸ però il vederlo scomparire ci dà l’impressione che forse perdiamo qualcosa di essenziale per la nostra vita. Ormai tutto è talmente prevedibile che quando capita l’incidente¸ il disastro la prima cosa che si fa è il pretore che apre il faldone dell’inchiesta giudiziaria. Perché non c’è più un mondo¸ una natura che provoca disgrazie¸ c’è il giudice inquisitore¸ la colpa è sempre dell’uomo. Questa ottusità mentale! E’ un segno che stiamo diventando soli nell’universo. Audaci¸ intelligenti¸ bravi¸ potenti ma soli¸ superbi¸ che ci esaltiamo nel successo e ci abbattiamo nella tempesta. E quando veramente la natura esplode nella sua violenza non siamo più allenati alla fiducia che dà coraggio. Vorrei accostare¸ in questo contesto¸ come vedete è molto estivo questo modo di parlare¸ però¸ secondo me¸ sono le cose che ci fanno pensare su quanto è stata utile la componente della fede cristiana nel vivere e nel progredire e quanto potrebbe essere pericoloso perderla del tutto avendo fiducia¸ ripeto¸ soltanto nella macchina e nella revisione della macchina fatta dal tecnico. Non c’è altro¸ l’orizzonte è chiuso qui¸ non c’è più neanche la natura¸ se ci pensate¸ che si dice di voler difendere¸ ma la si ignora¸ tanto meno c’è Dio. Mi domando se quei films che ogni tanto escono¸ si rifanno su quel segno simbolico di enorme valore¸ io lo dico in italiano perché so l’inglese ma non ho la mania di usare la pronuncia inglese¸ i films sul Titanic. Perché non lo si dimentica questo fatto e non lo si archivia? Perché è il segno che dimostra che la stupidità della tecnica viene travolta in maniera umiliante dalla natura e quella è proprio la stupidità dell’uomo superbo. E’ una storia di stupidi quella del Titanic¸ l’uomo può essere stupido¸ il tecnico spesso è stupido¸ è capace nel suo mestiere ma ha una mente chiusa¸ è fissato su un settore¸ verifica le valvole¸ controlla il voltaggio e non vede niente altro. Il pericolo oggi è questo: di non avere più paura perché siamo diventati stupidi.