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Omelia ASCENSIONE B del 28 maggio 2006

Omelia 28 maggio Quello che leggiamo nel Vangelo è sorprendente perché l’autore di questa finale¸ che non è Marco¸ elenca come segni che accompagneranno quelli che credono¸ quindi non soltanto i predicatori e gli apostoli¸ ma tutti i credenti¸ queste cinque cose che avete sentito: “Nel mio nome scacceranno i demoni¸ parleranno lingue nuove¸ prenderanno in mano i serpenti¸ se berranno qualche veleno non recherà loro danno¸ imporranno le mani ai malati e questi guariranno”. La prima e l’ultima di queste cinque cose fanno parte del tradizionale modo di presentare la realizzazione della bontà di Dio nel mondo¸ è quello che anche Gesù ha fatto nel corso della sua vita: ha scacciato i demoni ed ha guarito dei malati. E allora si comprendono questi due punti¸ vuol dire che anche i credenti potranno godere ancora di un potere¸ di una forza divina analoga a quella che Gesù ha esercitato nella sua vita. Un po’ più complicato è capire quale utilità e valore possano avere le altre tre cose che stanno in mezzo. Il parlare il lingue¸ è anche oggi valorizzato molto da certi gruppi¸ da altri è ignorato e considerato qualcosa di cui non si vede la vera utilità. In ogni caso anche questo è un elemento che ha il suo fondamento in situazioni che si sono create nella Chiesa apostolica¸ dove il parlare in lingue pare che fosse molto frequente. Il problema è di sapere se è destinato a continuare o se è qualcosa che rimane confinato agli inizi della fede cristiana. E¸ alla fine¸ le due cose più difficili: prenderanno in mano i serpenti¸ e qui una persona¸ direi di normale malizia si domanda a che pro¸ cosa c’entra prendere in mano i serpenti! Quanto a non aver danno quando si beve un veleno¸ questa invece è di nuovo una cosa utile. Ma bisognerebbe supporre che sia frequente questa possibilità di bere dei veleni. La possibilità di bere dei veleni è quotidiana per noi oggi¸ ma non lo era nell’antichità perché tra nitriti¸ solfiti e grassi vegetali idrogenati¸ noi abbiamo bisogno assoluto di questo aiuto dallo Spirito per non aver danno da queste cose che sono presenti in tutto quello che mangiamo. Ma questo sarebbe un modo scherzoso di interpretare il testo¸ e l’importanza che l’autore del testo dà a questo aspetto rimane quindi difficile da decifrare. E questo modo di presentare le cose direi che ci fa pensare. Innanzitutto c’è un tradizionale modo di intendere queste frasi che¸ in parte¸ era anche compreso in quello che dicevo all’inizio¸ cioè di interpretarle come delle immagini che vanno poi trasferite come delle metafore su un piano più globale o più spirituale. Quindi cacciare i demoni materialmente poteva significare cacciare via un demonio da un indemoniato che faceva versi da istrione¸ ma metaforicamente può significare purificare una coscienza¸ liberare una persona da incubi¸ paure¸ condizionamenti per lui invincibili. E non è scorretto interpretare in questo modo. Cosí imporre le mani e guarire; voi potreste dire “Non è cosí automatico”. Non deve essere automatico. Imporre le mani e guarire può voler dire innanzitutto esercitare l’arte medica e poi aggiungere all’arte medica la preghiera¸ la richiesta della divina benedizione che è l’imporre le mani¸ senza contare che anche la malattia può essere considerata qualcosa che ha comunque sempre dei riflessi sulla psiche: tutti quelli che sono stati a Lourdes e ne sono tornati dicono che la malattia rimane ma nel loro animo si è trovata una consolazione che può dipendere non necessariamente da un miracolo divino¸ semplicemente dall’atmosfera che umanamente si è creata¸ e tornano a casa più consolati. Non è un guarire totale¸ ma¸ ripeto¸ se si accetta questa chiave di tipo simbolico – metaforico rimane più difficile spiegare… Il parlare in lingue si spiega perché sarebbe l’entusiasmo della lode che si rivolge a Dio. E’ quello che dicevamo nel salmo: “Applaudite¸ acclamate con voce di gioia¸ scenda a Dio fra le acclamazioni¸ cantate inni¸ cantate inni…” E pare che il parlare in lingue fosse proprio questa esplosione di applausi¸ qualche volta non bisognosi di parole comprensibili¸ per lodare Dio. Rimane sempre più complicata la questione del veleno e quella del serpente. Anche qui non sono escluse interpretazioni metaforiche. Il serpente¸ effettivamente è simbolo di fecondità distorta nel mondo cananeo¸ cioè è simbolo di fecondità pagana per desiderio di lussuria. Nella Genesi è simbolo del primo inganno che ha offuscato l’immagine di Dio. Se il prendere in mano vuol dire avere potere sui serpenti¸ potrebbe essere anche questo un modo un po’ troppo cifrato¸ però¸ di dire “Vinceranno millenarie tentazioni ed equivoci che ci tiriamo dietro da sempre”. Per il veleno non so che dire¸ è una possibile lettura¸ questa. Però da queste considerazioni che sono più che legittime e che so bene che in maniera molto più convincente di quanto non abbia fatto io le ha spiegate ai bambini della Comunione ed ai loro genitori il parroco nella Messa precedente¸ è una buona e legittima lettura dei testi¸ però quello su cui vorrei riflettere è questo fatto: che la Bibbia¸ il modo di parlare della Bibbia¸ a volte¸ sembra essere volutamente¸ deliberatamente crittografico¸ cioè deliberatamente oscuro¸ allusivo¸ non definito e quindi anche non banale. Magari popolare come queste cose che impressionano nei mercati e alle fiere¸ dove ci sono persone che prendono in mano i serpenti e quelli che ingoiano il fuoco¸ che è più o meno come mangiare il veleno¸ e la gente dice “Oh!” per dire che Dio può servirsi dello stupore¸ anche qualche volta dello spettacolo per richiamare la nostra attenzione. Non c’è niente di male in tutto questo¸ ma la cosa più interessante è che la Bibbia non ricerca l’esattezza dottrinale¸ la precisione del linguaggio¸ ma piuttosto ricerca le immagini¸ ricerca i modi suggestivi di parlare. Anche nella seconda lettura¸ che è tutt’altro stile rispetto alla finale del Vangelo di Marco “Per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati¸ quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi¸ la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti¸ secondo l’efficacia della forza che Dio manifestò in Cristo. Qui c’è un altro procedimento che è quello della retorica¸ direi quasi pomposa. “Lo fece sedere alla sua destra¸ al di sopra di ogni principato ed autoritภpotenza e dominazione¸ ogni altro nome…”¸ che è molto retorico questo¸ e dà l’impressione di una intronizzazione celeste che rende Gesù Cristo di potere e anche di bontà infinitamente superiore a quella di qualunque imperatore terreno. E non è escluso che chi scriveva questo testo in Efesini¸ tenesse d’occhio quello che l’imperatore romano faceva dire per propaganda di se stesso. Tra l’altro di qualche imperatore romano si raccontano anche prodigi¸ non proprio come quelli del Vangelo di Marco¸ pochi¸ pochissimi¸ però anche l’impero romano si serviva di questa propaganda dello straordinario per valorizzare il suo impero¸ il suo potere. Allora si dice: “Guardate che Cristo è al di sopra di tutti: di ogni principato¸ potestภdi quelli di adesso¸ di quelli che verranno dopo…” e si comunica un’impressione di grandezza non definibile con concetti¸ o se volete¸ anche descrivibile¸ che può essere esemplificata con gli esempi concreti di Marco¸ può essere suggerita allusivamente con la retorica di Efesini. Ma io volevo dire¸ per concludere¸ non credete che sia già finito tutto¸ dico per concludere per indurmi ad essere breve¸ volevo dire questo: che quello che abbiamo trovato nelle letture oggi¸ oltre che parlarci di come immaginare l’ascensione di Cristo e soprattutto le sue conseguenze per la nostra vita¸ ci insegna anche un metodo di lettura della Bibbia e¸ direi¸ di comprensione della fede. Cosa significa dare contenuti alla propria fede¸ cioè rispondere alla domanda “Tu che cosa credi?”. Molti pensano¸ forse a causa di una tradizionale impostazione di tipo catechistico¸ magari fatta con domande e risposte. Lo so che un compendio di catechismo di questo genere è appena stato pubblicato e avrà la sua utilitภperò c’è anche un difetto in questo modo di parlare che uno pensa di poter dire con una ventina di parole l’essenza delle cose. Questo modo di ridurre a sentenza chiara¸ quasi a formula¸ alle volte¸ è tipico dei catechismi¸ non direi della dogmatica¸ almeno di quella antica¸ perché per arrivare alle decisioni dei primi Concili hanno litigato per decenni e hanno soppesato le parole scomunicandosi a vicenda¸ quindi lí si toccava con mano il rispetto del mistero che bisogna esprimere con parole¸ che non si permettono¸ non si illudono di poterlo descrivere¸ forse neanche esemplificare adeguatamente. Cosí come non si può dire che una esemplificazione adeguata alla potenza e alla bontà di Cristo il prendere in mano il serpente. E’ un’esemplificazione utilizzabile¸ ma non è il top. Qualche volta¸ ma raramente¸ la Bibbia raggiunge la piena riuscita dell’immagine e della metafora¸ ma in ogni caso¸ la Bibbia si completa¸ un testo completa l’altro e ci fa circolare in una serie di immagini¸ allusioni¸ ipotesi. Tutto questo¸ vedete¸ salvaguarda la ricchezza del mistero. Forse lo rende un po’ generico¸ lo capisco¸ però¸ se noi impariamo a leggere questi testi appunto come esemplificazioni¸ come modi possibili di immaginare e di dire l’indicibile¸ allora noi troviamo in questi testi una lezione di vita di fede. Cioè¸ alla domanda “Cosa credi tu?” uno dice “Non ti posso rispondere con una formula¸ neanche con quello che io recito nel Credo¸ perché quando lo recito nel Credo¸ io so¸ se sono istruito¸ che c’è dietro una caterva di discussioni per cui non lo dico a te¸ Io credo alla vita eterna¸ credo che tornerà a giudicare i vivi ed i morti. Perché questo è una sintesi troppo precisa e¸ per questo¸ impoverita. Più fine il Libro degli Atti “Tornerà come l’avete visto salire in cielo” e¸ come non avete capito niente del suo salire in cielo¸ che è poi un modo di apparire¸ non una realtภio non vi posso dire niente di come tornerà. Quello che volevo dire¸ che questa festa ci dice¸ è che proprio il rispetto di questa grandezza sublime dell’umanità di Cristo che ci riguarda direttamente¸ che porta conseguenze nella nostra vita¸ ma guai se queste conseguenze si elencano come se fossero delle realtà circoscritte e precise. Queste conseguenze si possono esemplificare lasciando però spazio alla potenza di Dio di agire come vuole e spazio all’ignoto. La nostra fede deve essere fiducia nella bontà e nella potenza di Cristo che¸ essendo stato uomo come noi è morto. Sa cosa vuol dire vivere da uomo¸ che fatica comporta. E tutto questo lo vive in eterno con la saggezza e la potenza di Dio. Questo mi dà una generica fiducia¸ meglio sarebbe dire una globale fiducia¸ che qualche volta esemplifico con parole¸ esempi e formule¸ ma che parole¸ esempi e formule non riducono. Guai se la fede si esaurisce a ciò che identico Alla rispostina alla domanda. C’è bisogno della rispostina e della domanda ma la fede è il cuore e la mente che si aprono ad un mistero indicibile¸ come dice Efesini “Illuminare gli occhi e la vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati¸ quale tesoro racchiude¸ quale straordinaria grandezza”. E il capire¸ direi che non significa poter concettualizzare o descrivere con precisione¸ significa intuire¸ sentire. Ecco¸ questa dimensione della fede¸ direi super catechistica¸ che va oltre il catechismo e che è propriamente il modo di fare della teologia è quello che io suggerisco ed è quello che io vi raccomando di mettere in opera quando leggete nella liturgia questi testi. E quando un testo vi sembra improprio¸ inadatto¸ approfittatene perché è un segnale che quel testo umilmente dice: “Sono solo una metafora”. Lo diceva bene Luca all’inizio¸ quando fanno la domanda “E’ questo il tempo?”¸ “Non spetta a voi conoscere il tempo e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta”. Avere fede non significa avere fede in un Padre che non necessariamente ci comunica il calendario dei suoi interventi.