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Omelia II QUARESIMA B del 12 Marzo 2006

Omelia 12 marzo Tenterei di dare un’interpretazione di questo racconto della trasfigurazione che non è convenzionale e potrebbe essere una sciocchezza¸ ma ho l’impressione¸ forse sbaglio¸ che sia fondata nel testo e che vada d’accordo soprattutto con la prima lettura. Perché capita un fenomeno in tutti i campi¸ ed è capitato anche nella cultura cristiana e ci sono certi passi che si leggono col senno di poi¸ a distanza di tempo¸ quando già si sono formate delle convinzioni teologiche chiare¸ addirittura dogmatiche¸ dopo di che il testo¸ letto alla luce di questo¸ viene interpretato e finisce per essere sempre compreso in quello schema interpretativo. Cosí la trasfigurazione è divenuta la rivelazione ella gloria di Gesù e¸ a maggior ragione¸ nelle Chiese orientali dove l’icona della trasfigurazione¸ come sapete¸ è considerata quella che più di tutte riassume la fede nella divinità di Cristo. Ma anche nel nostro mondo l’immagine del Cristo trasfigurato è diventata il preludio della risurrezione¸ il momento della gioia¸ della chiarezza¸ della luce¸ ma¸ in realtภquesta è una lettura che si può fare dopo¸ molto dopo perché se si legge attentamente il Vangelo di Marco e si cerca di ricostruire che cosa può essere stata quell’esperienza per quei tre poveretti¸ Pietro¸ Giacomo e Giovanni¸ chiamati ad assistere alla scena¸ ci si accorge che in realtà si trattò di un trauma e di un episodio sconcertante non di qualcosa di luminoso¸ chiaro¸ lampante¸ limpido¸ perché le vesti diventano bianchissime – Marco non dice niente del volto¸ parla solo delle vesti – appaiono Elia e Mosè che discorrono con Gesù. E l’evangelista fa capire che i tre¸ soprattutto Pietro¸ non capiscono nulla¸ sono sconcertati¸ può darsi anche che siano rimasti attratti da questa visione¸ ma in realtà Pietro non sa quel che dice. E qualche evangelista è più severo nel giudicare quanto fuori posto fosse la frase di Pietro “E’ bello stare qui¸ facciamo tre tende”. Marco però lo dice chiaramente: perché erano stati presi dallo spavento¸ che non è soltanto la venerazione religiosa¸ in questo caso¸ è lo spavento. Quindi la trasfigurazione… Cerchiamo di risalire a chi la visse. Fu un episodio terrificante¸ forse è troppo¸ terrificante può darsi che sia esagerato¸ fu un episodio sconvolgente¸ cercate voi l’aggettivo più appropriato per dire che erano pieni di spavento al punto di non saper cosa dire. Dopo¸ molto tempo dopo¸ potranno ricordare con consolazione interiore quell’episodio¸ ma non nel momento in cui lo vissero. Poi arriva la nube e gli esegeti dicono che ricorda la nube dell’Esodo e quindi è un elemento¸ direi¸ di conforto religioso¸ perché si sa che nella nube dell’Esodo è presente la voce di Dio. Certo¸ se si prendono le parole di Marco come parole con il significato che il Dizionario di Teologia Biblica spiega¸ allora è cosí¸ ma se si leggono le parole in italiano ed in greco “Si formò una nube che li avvolse nell’ombra e uscí una voce dalla nube”. Se voi non avete consultato prima il dizionario biblico che vi spiega cos’è la nube¸ che cos’è l’ombra¸ perché anche l’ombra nella Bibbia¸ nella letteratura biblica ha un valore salvifico¸ questo è un incubo¸ c’è d’aver paura: la nube¸ l’ombra¸ la voce. Oddio¸ cosa succede? E la voce dice: “Questi è il Figlio mio prediletto” – ignorando Elia e Mosè¸ il che non aiuta a chiarire le cose a chi è rimasto stupefatto perché sono apparsi Elia e Mosè – “Ascoltatelo”. “E subito¸ guardandosi intorno¸ non videro più nessuno”¸ e questo è un altro trauma¸ se qualcuno di loro era debole di cuore ci lasciava le penne¸ “se non Gesù solo”. Forse dico sciocchezze¸ ma è sbagliato leggere la trasfigurazione come il ricordo di una manifestazione di Dio sconvolgente? E la domanda che anticipo è questa: Fa parte della esperienza religiosa questa possibilità di manifestazioni sconvolgenti¸ che ti lasciano turbato senza che tu capisca nulla? Poi scendono dal monte e Gesù non spiega niente¸ ordina loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto. Anche questo non facilita le cose¸ loro ubbidiscono ma il silenzio ti lascia solo con quello che tu non hai capito¸ senza neanche il conforto di poterne parlare con qualcuno¸ perché la prima cosa che tutte le persone fanno quando gli capita qualcosa è aver qualcuno a cui raccontarla. Qui c’è l’ordine del silenzio. C’era il silenzio anche nella storia di Abramo. Il taglio liturgico purtroppo¸ come spesso succede¸ ha rovinato la lettura tagliandone dei pezzi. Ma il racconto della Genesi spiega che Abramo ubbidisce a Dio¸ la situazione di Abramo è forse ancora più tragica di quella di Pietro¸ Giacomo e Giovanni¸ perché Abramo non può pensare se non che Dio è impazzito¸ perché nessun Dio può ordinare al padre di sacrificare suo figlio che gli ha appena fatto nascere per grazia. E’ follia pura. Abramo dignitosamente ubbidisce¸ ma anche lui va con Isacco in silenzio. E il racconto dell’A.T. per due volte dice che procedevano insieme ed Isacco fa la domanda “Padre¸ dov’è l’animale per il sacrificio? Ed Abramo risponde: “Dio provvederà”. Il racconto vuole mostrare la dignità di questa persona. Ma anche qui¸ ripeto¸ c’è il silenzio¸ Abramo non sa cosa dire e non sa come dialogare con suo figlio. Ma non è cosí tragica la trasfigurazione. Però Marco dice anche che essi tennero per sé la cosa domandandosi però che cosa volesse dire “risuscitare dai morti”. Non c’è niente di luminoso nella trasfigurazione o meglio¸ sí c’è una luce che abbaglia ma non fa vedere niente¸ e nessuno spiega niente. E si chiede soltanto fede e riflessione e pazienza e silenzio e tenersi dentro la cosa che non si capisce e non aver nessuno che ti aiuta e sentire continuamente l’urgenza di dire: “Cosa significa¸ cosa vuol dire¸ perché?” Per Abramo al cosa si risolve dopo un lungo cammino e si risolve con la voce dell’angelo¸ l’approvazione¸ si scioglie la tragedia. Per i discepoli si scioglierà dopo la resurrezione¸ quando capiranno. Forse già quando sono sotto la croce qualcosa comincia a chiarirsi¸ ma la domanda che io vi pongo è questa: in quaresima ci fanno leggere nella seconda domenica questo testo. Si dice¸ come sentirete nel prefazio¸ che questo testo della trasfigurazione ha aiutato i discepoli a sopportare lo scandalo della croce perché questa visione anticipata della gloria li avrebbe incoraggiati nel corso della Passione. Io non sono sicuro che questo che si dice sempre sia l’intento degli evangelisti quando raccontano questo episodio perché loro nel testo non lo dicono¸ anzi¸ con gli elementi con cui costruiscono il racconto danno l’impressione che quella fu un’esperienza che nei tre suscitò paura¸ sconcerto e che essi dovettero¸ grazie a quello che avevano visto¸ tenersi dentro questo peso e cercare di risolverlo con fatica. Quello che voglio dire è questo: la religione può essere ancora cosí anche per noi? Per noi la rivelazione cristiana¸ le immagini che la Sacra Scrittura ci presenta dell’agire di Dio¸ pensate a quella del Dio di Abramo della prima lettura¸ che sarebbe un testo che non si può leggere cosí¸ en passant¸ sarebbe un testo da leggere con cautela¸ con prudenza¸ in ginocchio per cercare di capire cosa vuol dire¸ anche lí si risolve tutto alla fine quando si dice: “Perché Dio metteva alla prova Abramo”. Eh¸ caro mio¸ che prova! Senza nessun aiuto¸ senza nessun indizio chiarificatore all’inizio. La prova di Abramo è più grave di quelle di Giobbe. Dio che mette alla prova. Si¸ certo¸ ha ragione san Paolo “Non ha risparmiato suo Figlio¸ perché deve risparmiare noi?” Ma non c’è solo questo nella Bibbia¸ ci sono anche i momenti della consolazione¸ del conforto¸ della gioia¸ del convito¸ della danza¸ del banchetto. Nella seconda domenica di quaresima la liturgia ci mette di fronte due episodi che sono molto più tragici delle tentazioni di domenica scorsa. E cioè che Dio può presentarsi a noi come colui che ci stordisce¸ immagino perché vuole che noi diventiamo capaci di superare la prova¸ l’esperienza religiosa come origine della prova che non è la tentazione e¸ soprattutto¸ non viene da satana¸ perché quelle che vengono da satana sono sciocchezze¸ sono stupidaggini. Basta una persona intelligente e di buon senso per superare le tentazioni di satana. Sono le tentazioni che vengono da Dio¸ le prove a cui Lui ci sottopone. Dice san Paolo che Lui ci dà anche la forza per superarle ma non ci esonera dalla tentazione. La tentazione vera è il di più che la religione dice rispetto alla ragione. La prova della religione è la prospettiva¸ le ipotesi di un andamento del mondo e di una conclusione delle cose che non è quella che la scienza¸ la tecnica¸ il buon senso possono presentare come più probabile. E’ la possibilità di qualcosa di assolutamente diverso e per reggere a questa promessa occorre probabilmente una prova di coraggio interiore¸ di capacità di riflessione¸ di capacità di silenzio¸ di capacità di sopportare il peso di notizie che non si integrano facilmente nel nostro schema culturale¸ che abbiamo predisposto in secoli di cultura e nel quale ci siamo ambientati. Io penso che¸ specialmente oggi la proposta delle religioni serie non è una consolazione¸ non è un conforto¸ ma è una continua provocazione a credere o a prendere in considerazione quello che la maggioranza della popolazione¸ il buon senso comune¸ la cultura laica¸ la tecnica e la scienza considerano privo di senso. La fede oggi va vissuta¸ va capita¸ ripeto¸ ci possono essere momenti di conforto¸ ma il vecchio slogan “Per fortuna che la fede mi consola” vale ancora in alcuni casi¸ ma normalmente oggi la fede ci sconcerta¸ ci inquieta¸ ci obbliga a non pensare come la maggioranza¸ ci obbliga a non accontentarci delle dimostrazioni tecnico – scientifico – razionali che ritengono lecito quello che la nostra tradizione non ritiene tale. E noi non abbiamo argomenti da controbattere. Se facciamo i dibattiti non abbiamo nessun argomento razionale per convincere l’avversario sulla validità di certe opzioni della fede cristiana. Il catechismo fatto con domande e risposte è una bella trovata ma fa un po’ ridere perché la fede non dà risposte¸ la fede non è la macchina delle risposte¸ la fede è porre domande¸ la fede non risolve¸ la fede complica le situazioni¸ la fede è quella che dice ad Abramo: “Bene¸ sacrificami tuo figlio” che è¸ ripeto¸ l’assurdità più grande che si possa pensare. La fede è quella di Dio che non ha risparmiato suo Figlio. Ecco¸ io vorrei che rendessimo conto che certi luoghi comuni sull’utilità della religione e in particolare del cristianesimo come lenimento¸ come una specie di spirituale valeriana¸ sta diventando sempre più ridicola. Anche noi¸ forse¸ dobbiamo predisporci a vivere la fede come un problema che ci sconcerta.