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Omelia VII DOM. T.O. B del 19 Febbraio 2006

19 Febbraio 2006 – VII DOM. T.O. B – Is 43¸18-19.21-22.24b-25; Sal 40¸2-5.13-14; 2Cor 1¸18-22; Mc 2¸1-12 Omelia 19 febbraio Siccome vedo qualche somiglianza tra il brano di oggi e quello di domenica scorsa¸ tenterei¸ anche se forse non è la maniera più giusta di fare¸ però tenterei di interpretarlo in maniera simile a come abbiamo ragionato domenica scorsa sulla guarigione del lebbroso. Vi ricordate che là la lebbra¸ che poi non era lebbra¸ più che malattia veniva interpretata come impuritภed è appunto su questo tema dell’impurità che ho cercato di dir qualcosa¸ forse senza riuscire a spiegarmi chiaramente¸ ma¸ in poche parole¸ quello che io volevo dire era che¸ nelle società antiche¸ ma anche nelle nostre societภfino ad alcuni decenni fa¸ esistevano dei modi di comportarsi¸ delle regole di comportamento¸ degli stili¸ dei costumi che caratterizzavano l’appartenenza ad una determinata categoria o classe¸ se volete¸ e quindi erano mezzi per identificare l’appartenenza ad un certo gruppo¸ ad una certa popolazione¸ ad una certa nazione. E il pericolo di queste regole di comportamento era che coloro i quali non volevano¸ non erano in grado¸ non avevano le qualità che erano previste per questa appartenenza¸ venissero emarginati e umiliati nella loro emarginazione. Per cui il pericolo di queste regole è quello di essere discriminanti. Dopo di che aveva osservato¸ forse in maniera superficiale¸ che nella società contemporanea stanno scomparendo quasi del tutto queste regole di appartenenza che¸ alle volte¸ si manifestavano nel livello del linguaggio¸ per esempio: “Noi non parliamo in dialetto”¸ oppure si manifestavano nel modo di vestire¸ oppure nel frequentare certi ambienti: “Qui senza cravatta non si entra”. Queste piccole inezie¸ certo nell’ebraismo antico erano molto più minuziose e diffuse queste regole di vita¸ però queste regole tendono del tutto a scomparire. E io ponevo alla fine la domanda se questa evoluzione della societภche pare sia avvenuta per delle ragioni non certamente teologiche o religiose¸ non finisca per avvicinare la società contemporanea al cristianesimo¸ alla concezione di Cristo che ha toccato il lebbroso¸ più di quanto non pensassimo. Questa era la domanda finale a cui non so dare risposta. Però¸ secondo me¸ il Vangelo ci provoca anche a riflettere su queste cose¸ sono quelle che il Vaticano II chiama “I segni dei tempi”¸ cioè questa caduta delle diversitภdelle barriere¸ questa possibile mescolanza fra culture¸ costumi¸ usi¸ abitudini è qualcosa che¸ anche senza volerlo¸ però di fatto rende più disponibile il mondo attuale alla ricezione della sostanza del messaggio evangelico? Cioè è un segno dei tempi che si stanno avvicinando all’incontro con Gesù oppure no? Perché su queste cose dobbiamo pensare anche per renderci conto di quale posizione è più opportuna che noi prendiamo perché possiamo promuovere oppure ostacolare¸ sia pure nel nostro piccolo però lo possiamo fare¸ nella scuola¸ negli ambienti che frequentiamo¸ promuovere sempre più oppure ostacolare questa caduta delle piccole barriere esteriori che ci differenziano. Oppure¸ può darsi uno riflettendo dica: “No¸ alcune vanno mantenute”. Ecco¸ non so rispondere a questa domanda¸ non è neanche mia competenza¸ però secondo me è una domanda che viene suggerita dal confronto tra la lettura del Vangelo e la nostra vita. Qualcosa di simile¸ secondo me¸ accade oggi perché questa volta la malattia non è più collegata con l’impurità ma è collegata col peccato. Però anche questo già ci fa pensare¸ perché noi non la colleghiamo più a niente la malattia¸ se non all’igiene. Il mondo antico¸ e mi domando se è tutto da buttar via il mondo antico¸ quello soprattutto ebraico che ha lasciato traccia nella Bibbia¸ collegava la malattia al peccato non è che in maniera¸ cosí alle volte un po’ grossolana¸ come si dice¸ pensassero¸ magari qualcuno lo pensava¸ che ogni malattia è la punizione di un determinato peccato¸ come se ci fosse una tariffa. Non penso che fossero cosí grossolani gli antichi¸ soprattutto quelli che han lasciato traccia nella Bibbia¸ ma c’era una relazione. Cioè come la malattia lebbra faceva porre la domanda “Ma questo qui lo possiamo accogliere come un altro o è meglio che gli diciamo di stare lontano perché non si sa mai¸ non è del tutto dei nostri”¸ cosí di fronte al malato si poneva un’altra domanda “Ci sarà qualcosa di moralmente male a monte¸ come si dice oggi¸ di questa malattia?” Il salmo responsoriale queste cose le accenna con molta finezza: Il Signore – parla del malato – il Signore lo sosterrà sul letto del dolore¸ gli darà sollievo nella sua malattia¸ perciò io ho detto “Pietà di me¸ Signore¸ risanami¸ contro di te ho peccato”. Vedete che nomina il peccato¸ ma c’è anche nel Miserere questa connessione. E’ la memoria di un modo umano di interpretare le cose¸ se volete molto primitivo¸ si può anche scartarlo però quando sono malato mi vien da pensare: “Sono anche un peccatore¸ forse la malattia è quello che mi spetta perché sono peccatore¸ ha un nesso con il peccato?” Ecco¸ questa è la domanda antica che il Vangelo di oggi suscita¸ perché al paralitico¸ se ci pensate¸ è capitato proprio questo: è andato lí per farsi guarire e si è sentito dire: “Ti sono rimessi i tuoi peccati”. Marco non ci dice che cosa ha provato il paralitico in quel momento¸ può darsi che abbia pensato: “Sí¸ è una bella cosa¸ ma io preferivo avere anche la gamba che funziona”. E¸ alla fine¸ il Signore¸ lo accontenta anche perché è provocato dalle facce stupite dei presenti e¸ sembra che in fondo Gesù in questo caso non cancelli questa specie di nesso fra peccato e malattia che¸ ripeto¸ non va considerato un nesso troppo banalmente inteso. Ma quello che volevo dire è un’altra cosa¸ simile a quella che ho detto domenica scorsa: checchè ne sia di questo nesso malattia – peccato è chiaro che il Vangelo di oggi ci dice che la cosa più importante che Gesù voleva donare a quell’uomo non era la guarigione fisica¸ ma era il perdono dei peccati¸ la guarigione fisica gliel’ha data in sovrappiù. E’ chiaro che Marco racconta questo testo per farci capire: “Guardate che la cosa più importante¸ la cosa più utile per l’uomo è il perdono del peccato” e allora la mia domanda adesso è questa: nella nostra cultura contemporanea ha ancora peso la preoccupazione per il peccato? Una trentina – cinquantina di anni fa¸ come dicevo domenica scorsa¸ si tuonava contro le discriminazioni ma trenta¸ quaranta¸ cinquant’anni fa noi predicatori constatavamo anche nelle prediche “Ormai si è perso il senso del peccato¸ è scomparso il senso del peccato”. Oggi siamo arrivati al punto che i preti non lo dicono neanche più¸ danno per scontato che non c’è il senso del peccato¸ non ce l’ha più nessuno. Cosa vuol dire senso del peccato? Che a uno “ruga dentro”? Intanto vorrei sapere se è rimasto ancora qualcosa che venga vissuto come peccato nella vita comune delle persone. Certo che è peccato ammazzare un innocente¸ ma noi non ammazziamo gli innocenti. Ma dalla sfera sessuale il peccato è stato completamente cancellato¸ non c’è più niente che sia peccato. Nella sfera dei rapporti tra le persone c’è un po’ più di attenzione¸ però alla fin fine sono le cose grosse che si capisce che inquietano la coscienza. In quanto a uno sgarbo… son cose che succedono! Poi¸ in ogni caso¸ quello che ci preoccupa sarebbe eventualmente il fatto che abbiamo rovinato una relazione fra di noi¸ non che abbiamo offeso Dio. Ecco¸ la mia domanda è questa: questa perdita della tematica “peccato” è un bene o è un male? Secondo gli psicologi¸ probabilmente è un bene¸ ma noi non siamo psicologi¸ siamo credenti. Vorrei che noi non dimenticassimo una cosa¸ perché anche di questo bisogna tener conto: che la storia del cristianesimo è stata tutta una storia di ossessione del peccato. L’antichità cristiana imponeva penitenze severissime¸ l’adulterio non si perdonava se non dopo digiuni¸ penitenze e una volta sola in vita. Anche l’omicidio¸ ma l’omicidio anche adesso è sentito come una cosa grave. Poi sono arrivati¸ lo saprete¸ i monaci irlandesi che hanno inventato la confessione personale per rappacificare le coscienze con un perdono e le penitenze si dilazionavano nel tempo. Ma l’incubo del peccato rimaneva. Una quantità di chiese¸ monasteri¸ grandi opere d’arte sono state costruite da conti¸ marchesi¸ imperatori che consapevoli dei peccati che avevano commessi¸ soprattutto nelle loro guerre¸ cercavano di ripararli fondando monasteri. Se voi leggete le guide del Touring¸ una quantità di chiese è nata cosí¸ comprese le grandi cattedrali¸ perché ci fossero persone che pregassero¸ i pellegrinaggi. A Santiago¸ cosa ci si andava a fare? A riparare i peccati¸ è un incubo del peccato che sovrasta. Dico una battuta maliziosa ma che ha un fondo di verità: quelli che erano più disinvolti erano gli ecclesiastici perchè loro si sentivano più di casa con le cose di Dio ed erano più pronti a giustificarsi. Alessandro VI Borgia¸ con tutto quello che aveva fatto¸ si pentiva sinceramente¸ è storicamente sicuro che si pentiva¸ e poi ricadeva in peccato. Ma era più disinvolto nella questione. Ma certi laici¸ certi nobili che sapevano di aver fatto del male… pensate a fra Cristoforo dei “Promessi sposi”¸ è una storia verosimile. Aveva l’incubo: “Devo riparare¸ devo riparare¸ ho il peccato¸ non sono a posto”. Lutero¸ il luteranesimo perché è nato? Per rispondere all’incubo del peccato dicendo che una fede forte meritava il perdono dopo di che tu finalmente sei tranquillo e puoi vivere serenamente la tua vita. Questa è la bella notizia “Se hai fede non c’è bisogno che ti maceri con le penitenze¸ che vada a Santiago di Compostela¸ che tu paghi il monastero¸ puoi anche farlo se vuoi¸ ma non è questo¸ è la fede. Ed è stata una rivoluzione benedetta da Dio forse questa di collocare la chiave… L’ “Alzati e cammina” lo diceva ciascuno a sé stesso perché diceva: “Se ho fede Dio mi perdona” e respiravano. Tutto questo¸ che tracce ha lasciato nella nostra sensibilità cristiana contemporanea? Poche¸ sarei tentato di dire quasi nessuna. Ecco¸ io mi fermo qui¸ come l’altra volta e vi domando: questo è un bene? Era forse una visione storica esagerata¸ certamente sí¸ quella di una volta? Il fatto di aver fatto in gran parte piazza pulita¸ ma non all’esterno ma nella nostra coscienza¸ di non essere più sotto questa preoccupazione – siamo preoccupati per l’aviaria capisco¸ ma per il male¸ il male morale¸ la tendenza al peccato che può inserirsi nella nostra vita¸ nella vita dei nostri figli¸ dei nipoti¸ c’è una qualche preoccupazione? Almeno tanta quanta per dei virus che sono ancora lontanissimi dal contatto con noi ma per i quali siamo in ansia? C’è qualcuno ancora in ansia perché dice: “Non sono a posto¸ mi sento attratto da cose cattive”¸ qualcuno c’è¸ per caritภma si ha l’impressione che sia un residuo di un mondo passato. E’ un segno dei tempi che siamo diventati più liberi¸ più uomini¸ come Dio ci vuole¸ o dobbiamo recuperare qualcosa in questo? Capisco che non è una predica da fare quando comincia il carnevale¸ bisognava farla all’inizio della quaresima¸ può anche darsi che la ripeta¸ ma intanto cominciate a pensare anche a questo. Io non sono capace di dare risposte e voi direte “Neanche noi” e¸ allora¸ continuiamo a pensarci.