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Omelia CRISTO RE - A del 20 novembre 2005

L’immagine del regno nel mondo antico era una delle principali per indicare la massima dignità di una persona¸ l’efficacia e l’efficienza nell’ottenere risultati¸ la protezione. Anche nella sacra scrittura sono diversi gli sfondi nei quali viene collocata l’immagine del re. Quello di S. Paolo¸ per esempio¸ ha una tonalità mitica¸ quasi che ci fosse un destino fissato da Dio¸ e probabilmente è cosí. - Tutti in Adamo morti¸ in Cristo vivi-! Poi la descrizione di questa regalità di Cristo non ha a che fare¸ come nel Vangelo¸ con gli ammalati¸ gli assetati¸ ma - ridotto al nulla ogni principato¸ ogni potestà e potenza-. C’è una connotazione mitica¸ come se esistessero delle forze cosmiche che sono nemiche della creazione e dell’uomo¸ e che Cristo deve mettere sotto i suoi piedi. - E l’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte-! Anche questa personificata¸ come se fosse una forza mortifera. Attraverso l’uso di questo tipo di immagini mitiche si fa capire alle persone la gravità della situazione¸ il livello profondissimo a cui arriva la potenza redentrice di Cristo¸ che è come se fosse un risanamento delle strutture del cosmo¸ nelle quali noi siamo inseriti e che influiscono su di noi. Alla fine anche il figlio si sottomette a Dio e c’è quella bellissima finale¸ di cui non è facile individuare il senso secondo la mente di Paolo¸ -Dio sarà tutto in tutti-¸ una specie di riassunzione di tutto in Dio. E’ una visione grandiosa¸ mitico-cosmica. Il regno di Dio consiste nell’annientare la morte¸ ed è lí che si focalizza l’attenzione di Paolo e il punto dove lui vuole che si indirizzi l’attenzione di chi legge. Anche Paolo in coda alle sue lettere dice sempre che nel frattempo bisogna perdonare¸ bisogna essere gentili¸ bisogna trattare bene le persone¸ ma il suo schema interpretativo¸ quando pensa a Gesù Cristo¸ scavalca queste questioni¸ che riguardano le fatiche della vita su questa terra¸ e proietta tutto verso la vittoria sulla morte. Anche noi¸ nell’esperienza interiore della nostra fede¸ dobbiamo seguire di volta in volta queste diverse prospettive: il regno di Dio è la vittoria sulla morte o¸ come nel Vangelo di Matteo¸ il regno di Cristo sarà anche annientamento della morte¸ ma prima di tutto è vittoria sulla miseria e sulla sofferenza di adesso. E’ una tonalità diversa. Spesso il Vangelo di Matteo¸ che è scritto abbastanza tardi¸ sembra che faccia da mediatore tra idee tra loro in tensione che circolavano nelle chiese. Nel racconto di Matteo viene il Figlio dell’Uomo¸ con gli angeli¸ si siede sul trono e non parla di principati¸ potestภpotenze; c’è questa straordinaria intuizione di una sentenza la quale si basa sullo sforzo dell’uomo di vincere¸ non tanto la morte¸ ma i prodromi della morte che sono la miseria e la sofferenza. Rispetto a Paolo Matteo ci dice che il regno di Cristo è anche¸ e per il momento soprattutto¸ la lotta contro la miseria e la sofferenza. E Dio stesso ha mandato Gesù Cristo perché questo diventasse un impegno che gli uomini prendono sul serio. Non bisogna dimenticare che l’A.T. ¸ a differenza del N.T. ¸ non ha queste proiezioni sull’aldilà; l’A.T. si preoccupa della vita su questa terra¸ ed è pieno di tentativi¸ soprattutto di tipo legislativo ed esemplificativo¸ di aspirazioni all’assistenza¸ alla fraternità. Tutti tentativi che storicamente sono falliti¸ non hanno prodotto nessun risultato positivo. Il giubileo per esempio¸ la teoria che al settimo anno si cancellano tutti i debiti¸ ognuno torna nelle sue proprietà e si azzera tutto¸ è un tentativo di aiutare gli affamati e gli assetati¸ gli indebitati¸ i poveri¸ i carcerati per debiti. Le leggi del Levitico che dicono di proteggere lo straniero sono tentativi di creare quaggiù questa fraternità. Soprattutto la figura del re¸ con la speranza che la monarchia fosse la protezione dei deboli; poi si sono accorti che i re mettevano le tasse sugli orfani e sulle vedove. La lettura di Ezechiele è una lettura provocatoria. Dio che dice - Visto che qui nessuno è capace di combinare nulla¸ io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura-. Anche qui c’è qualcosa di mitico: Dio viene immaginato come colui che come un pastore passa in rassegna il suo gregge¸ conduce le pecore al pascolo¸ le fa riposare¸ va in cerca della perduta¸ fascia la ferita¸ cura la malata¸ e anche la grassa e la forte¸ -con giustizia-. C’è una umanizzazione dell’agire di Dio. Diventa il sindaco¸ il bidello¸ l’infermiere. E’ la speranza che finalmente ci sia questo regno nel quale Dio stesso intervenga e si faccia appunto medico¸ infermiere. Il n.t. vede in Gesù Cristo l’attuazione di questa speranza. Ecco perché i Vangeli raccontano che guarisce la suocera di Pietro¸ il sordomuto¸ il malato¸ il lebbroso¸ e il 90% della sua attività è un’attività di assistente sociale. Ogni tanto fa anche qualche discorso¸ ma¸ fatto il discorso¸ moltiplica i pani. La cosa interessante¸ che è una delle caratteristiche portanti del cristianesimo¸ è che dice che a suo tempo verrà anche eliminata la morte¸ ma intanto si elimini la miseria¸ intanto ci si occupi dell’assetato¸ dello straniero. E tutto discende nella concretezza del quotidiano. E questa è una vera e propria demitizzazione: viene coi suoi angeli¸ si siede sul trono¸ e poi controlla se è stato distribuito il cibo agli affamati. Oggi affiora sempre più alla superficie questo concetto fondamentale: quello che Cristo Re vuole è che si sollevi¸ si assista la miseria¸ la sofferenza¸ il bisogno. L’annientamento mitico della morte ha come suo segno concreto nel presente questo piccolo modesto lavoro di lenire le sofferenze. Un ultimo punto. Ripete due volte il Signore giudice - Questi miei fratelli più piccoli-. Anche questa è una frase geniale. Quando Matteo scriveva pensava ai cristiani. In origine questo brano è nato per dire che Gesù si identifica talmente col più piccolo dei fratelli discepoli e credenti che considera fatto a sé il bene che si fa a lui. Col passare del tempo la Chiesa ha pensato che era giusto dire che il fratello più piccolo non è il più piccolo fra i cristiani ma il più bisognoso e il più piccolo fra tutti gli uomini. Matteo forse non pensava a questa estensione¸ perché viveva in un’epoca in cui i pochi cristiani infastidivano tutti; infastidivano gli ebrei che li vedevano come un pericolo¸ infastidivano il mondo pagano perché erano un’altra novità religiosa per disturbare l’ordinamento della vita; e da tutti venivano emarginati. E allora Matteo scrive per dire che Gesù non li dimentica e giudicherà le persone a seconda della carità che hanno avuto verso questo piccolo fratello che non conta niente. Noi abbiamo capito che in questa immagine di Matteo sta la volontà di Dio di dirci che ogni uomo che ha bisogno¸ ogni uomo che sta male è il fratello piccolo nel quale Gesù si identifica.