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Omelia XXXII DOM. T.O. A del 6 novembre 2005

Se poi resterà tempo¸ parleremo anche del vangelo¸ ma ho l’impressione che in questa domenica sia necessario dire qualcosa sul brano della seconda lettura che è preso dallo scritto più antico del N.T. che è la prima lettera di Paolo ai tessalonicesi¸ uno scritto che dovrebbe essere degli anni 51 – 52. Perchè parla della venuta finale del Signore¸ quella che tutti noi nella celebrazione della messa diciamo di attendere: saremmo nell’attesa della sua venuta¸ celebriamo la morte¸ celebriamo la resurrezione nell’attesa della sua venuta. E poi si ripete¸ ancora dopo all’interno della preghiera che dice il sacerdote dopo la consacrazione¸ si richiama ancora questo pensiero che Cristo verrà. Ne abbiamo già parlato anche altre volte di questo problema¸ ma il testo che Paolo ha scritto ai tessalonicesi¸ e sulla cui autenticità non ci sono dubbi¸ descrive¸ presenta questa venuta del Signore in una maniera che è¸ almeno per noi¸ come minimo curiosa¸ direi una maniera molto primitiva¸ che poi¸ tra l’altro¸ lo stesso Paolo abbandona perché in testi successivi non usa più questo modo di parlare. E ci sono anche altri testi nel N.T. che presentano in maniera diversa questa venuta finale del Signore. Quindi è comunque interessante anche se più adatto forse a una lezione che non a una omelia nel corso della messa. Innanzitutto ci sono due frasi che sorprendono. Dice: “Noi che viviamo e saremo ancora in vita per la venuta del Signore¸ non avremo alcun vantaggio su quelli che son morti”. Vorrebbe dire che san Paolo pensa che lui e i destinatari della lettera¸ quando verrà il Signore saranno ancora in vita¸ quindi vuol dire che pensa ad un po’ di anni¸ tanti quanto bastano perché Paolo possa essere ancora in vita. Poi¸ più avanti dice ancora che prima risorgeranno i morti in Cristo¸ quindi noi¸ i vivi¸ i superstiti - quindi due parole per dire che saremo ancora vivi - saremo rapiti. E’ un errore? Si¸ occorre avere il coraggio di ammetterlo¸ Paolo ha sbagliato¸ si è confuso in questa prospettiva. Perché¸ già all’interno del N.T. ci sono altri testi dai quali si fa capire che la venuta del Signore sarà probabilmente lontana nel tempo e che¸ anzi¸ non solo la generazione di chi ha conosciuto direttamente Gesù¸ ma altre¸ molte generazioni scompariranno prima che il Signore venga. Quindi questo è un caso interessante perché c’è all’interno del N.T. un mutamento di descrizione. Certo¸ il problema è che al di sotto di questa descrizione che viene abbandonata¸ ad un certo punto bisognerebbe trovare cosa c’è di fondamentale¸ di importante¸ di permanente. Poi ascoltando¸ vi siete accorti che ci sono altre immagini che sono molto vive¸ molto pittoresche¸ dice: “Saremo rapiti insieme con loro tra le nubi per andare incontro al Signore nell’aria”. E le parole sono queste¸ non si usa neanche la parola “cielo” che può avere un significato metaforico per dire “dove c’è Dio” – il cielo può essere l’equivalente di Dio¸ ma si dice proprio “nubi e aria”. Io direi che fa un po’ tenerezza ma è simpatica questa ingenua immaginazione di Paolo che la prende evidentemente dalla cultura giudaica nella quale è stato formato e dalle concezioni che lui aveva del cosmo¸ della natura¸ delle cose che era poi comune a tutta la gente di quei tempi e cioè questo immaginare che quando verrà il Signore noi saliremo insieme con lui al di sopra delle nubi nell’aria. E poi conclude “E saremo cosí sempre con il Signore”. Probabilmente un laico potrebbe dire “Vedete quante sciocchezze quanti errori contiene la scrittura”¸ noi credenti non diciamo questo ma direi che anche un lettore neutrale che tratti con la giusta simpatia che meritano questi testi antichi¸ potrebbe appunto dire: “E’ curioso ma è simpatico questo testo¸ è grazioso!” Perché? Ma perché esprime il desiderio di rassicurare i tessalonicesi che veramente il Signore verrà e che tutti saranno recuperati¸ che tutti avranno la possibilità di stare per sempre con Lui e per assicurarli di questo¸ per rendere credibile questo messaggio si serve di una possibile descrizione¸ quella che ai suoi tempi gli sembrava che fosse la più trasparente della vicinanza con Dio. Noi adesso sappiamo che le nubi¸ l’aria non hanno niente a che fare con Dio¸ o meglio hanno a che fare con Dio come tutte le altre cose¸ sono diventati semplicemente degli elementi del mondo creato che hanno perso quella valenza simbolica di anticamera o¸ ripeto¸ velo che nasconde alle sue spalle la presenza di Dio. A quei tempi era cosí. Ecco perché non è sbagliato dire che in fondo sono funzionali queste immagini¸ il rapimento – come Elia – ripeto¸ sono semplicemente immagini descrittive¸ sono disegni per accompagnare la parola del messaggio invece di fotogrammi di chiarificazione che naturalmente sono fatti secondo il gusto¸ la sensibilitภla mentalità del tempo. E rivelavano il desiderio di crederci veramente alle cose¸ capite? E quindi¸ a mio parere¸ anche se va riconosciuto che non descrivono niente di oggettivo di quello che potrà accadere¸ vanno guardati con simpatia e apprezzati¸ e¸ se fosse possibile¸ andrebbero sostituiti da qualcosa di più adeguato al nostro modo di pensare. Solo che è difficile trovare qualcosa che possa illustrare l’affermazione¸ direi¸ nuda e cruda “Il Signore ci prenderà con se”¸ “Vedremo Dio”. Vi ricordate la beatitudine che abbiamo commentato il giorno dei Santi? Anche vedere Dio è una forma più pulita¸ più pura¸ non ci sono nubi¸ non ci sono. Oppure abbiamo il suggerimento¸ che c’è molte volte nella letteratura giovannea della luce: “Saremo nella luce”. Tra l’altro dall’A.T.¸ l’abbiamo letto nella preghiera iniziale¸ viene un’altra immagine¸ che io in altre occasioni ho in parte criticato¸ cioè quella del banchetto che¸ direi¸ è ancora più materializzata di quella della nube e dell’aria. E’ concreta¸ certo¸ il banchetto è il festoso stare insieme in cui non si pensa ad altro che alla gioia. Ma in altri ambienti culturali ci potrebbe essere qualcosa di più raffinato per indicare quel tipo di gioia che Dio può fornirci: la gioia del conoscere¸ la gioia del contemplare la veritภla gioia più raffinata¸ appunto¸ del sapere. Ma questo è solo per dire che dobbiamo imparare noi cristiani a filtrare questi testi del N.T.¸ quando è necessario farlo¸ perché altre volte le immagini che essi presentano¸ possono essere perfettamente utilizzabili anche oggi. Sono dati culturali¸ questi¸ ci sono immagini che durano e che noi apprezziamo pur essendo semplici metafore¸ le usiamo anche nei rapporti tra di noi perché tutto quello che diciamo sul cuore quando si tratta di amore¸ la metafora della mano¸ lo stesso dare la mano significa molto di più che non una semplice trasmissione di batteri da una persona all’altra come è di fatto. Quindi¸ anche noi abbiamo una simbologia che passa attraverso la corporeità per indicare qualcosa che è nello stesso tempo corporeo ma travalica la corporeità. Che la stessa cosa succeda nei testi della sacra scrittura non deve scandalizzare nessuno. Bisogna quindi imparare ad apprezzarli questi testi e vedere dove ci vogliono condurre. Ora il testo di oggi ci vuole condurre a questa convinzione: “Credeteci anche se sembra impossibile¸ in un qualche modo il Signore ci ricontatterภsi rimetterà in contatto con noi¸ ci videochiamerà”. E noi potremo essere sempre con Lui. Se ci mancano immaginazioni¸ possiamo usare quelle antiche. Ma quello che conta è che¸ anche qualora le immaginazioni venissero meno¸ perché la nostra cultura scientifica ci impedisce di usare con convinzione quelle antiche¸ dobbiamo fare la fatica di rafforzare la nostra fede e credere anche se non possiamo immaginare¸ che è quello che tante volte io vi ho ripetuto per ciò che riguarda le prospettive dell’aldilà. Ci sono stati periodi nella storia della Chiesa in cui molte persone sono state capaci di accontentarsi del concetto¸ ma ci sono altri ambienti dove il concetto è difficile da recepire e¸ se anche lo si recepisce¸ non è capace di suscitare emozioni mentre molte volte noi abbiamo bisogno anche dell’emozione. E¸ allora¸ ecco il ricorso all’immagine. Bisogna che noi¸ se vogliamo vivere un’esperienza cristiana nella nostra mente¸ nel nostro spirito¸ se vogliamo provare a pensare¸ ragionare¸ amare¸ sentire da cristiani¸ bisogna che transitiamo attraverso queste diverse forme: il concetto¸ l’immagine¸ variando¸ vagliando la loro eventuale capacità di esprimere¸ in maniera che tutto questo abbia la capacità di mantenere la fede e di renderci veramente credenti. Ecco¸ questa mi pareva la cosa più importante e interessante. Per quello che riguarda il vangelo¸ vi ripeto quello che vi ho detto molte volte e che dico sempre. E’ una parabola curiosa perché comincia in maniera allegra e paesana con le ragazzine del paese che vanno a far festa insieme con lo sposo. Poi alla fine però finisce per essere uno dei testi più severi del N.T. perché le ultime parole… Basti pensare alla clausola “In verità vi dico – che sarebbe Amen in origine¸ fa capire che il padrone di cui si parla è la controfigura di Gesù Cristo¸ non è semplicemente uno che si è sposato in un villaggio palestinese. Cioè alla fine la parabola diventa una allegoria del Signore Gesù il quale dice: “Non vi conosco perché siete arrivate in ritardo e non avete le lampade accese”. Direi che in Matteo questo fa un po’ da pendant con quello che leggeremo fra due domeniche cioè “Avete dato il bicchiere d’acqua¸ avete vestito¸ non lo sapevate neanche¸ lo facevate a me¸ venite benedetti”. Questa¸ in un certo senso¸ è l’illustrazione del “Lontano da me maledetti”¸ ma qui non tanto perché non hanno fatto la carità al povero¸ come vedremo fra due domeniche¸ ma perché non hanno avuto rispetto per il Signore stesso: non hanno preso l’olio¸ si sono dimenticate¸ non avevano più olio. Assomiglia alla parabola di quello che non ha la veste quando viene invitato alle nozze. Ora questi elementi¸ direi di severitภbisogna anche questi tenerli presenti nella nostra mente. Anche questi¸ vedete¸ riflettono una cultura antica dove il rispetto per l’onore della persona importante mette più soggezione di quanto non capiti oggi. Oggi i rapporti sono tutti i meno formali¸ c’è meno etichetta¸ nell’antichità ce n’era di più per cui bastava un niente per dire: “Esca!”. Non si poteva andare in jeans ad una festa di nozze e oggi le cose sono cambiate quindi¸ in fondo questa severità è una di quelle cose che facevano più colpo nella cultura di allora ¸ però rimane un ammonimento che non deve preoccuparci¸ non deve metterci in ansia¸ però deve farci pensare. Si può perdere l’amicizia con il Signore anche solo per distrazione. Questa è la frase che ripeto quando capita questa parabola. Solo perché si sono commesse delle colpe gravi¸ perché si è dimenticati di qualcosa. Tutto questo¸ vedete. Serve non a impaurire¸ guai: se mette in ansia non ottiene nulla ma serve per incoraggiare una lucidità nella mente nel programmare il nostro servizio al Signore.