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Omelia XXXI DOM. T.O. A del 30 ottobre 2005

30 Ottobre 2005 - XXXI DOM. T.O. A -Ml1¸14b-2¸2.8-10;1Ts 2¸7b-9.13; Mt 23¸1-12 Omelia 30 ottobre Quello che abbiamo letto è l’inizio del capitolo 23 del Vangelo di Matteo che¸ in gran parte¸ è una sua creazione nel senso che in Marco e Luca non c’è un equivalente completo di questo discorso. Questi primi versetti sono ancora moderati¸ ma poi è tutta una requisitoria contro gli scribi e i farisei che vengono accusati di ogni tipo di infedeltà nei famosi “guai”: “Guai a voi scribi e farisei ipocriti…” E’ un testo molto difficile da gestire perché è presentato da Matteo come il penultimo discorso tenuto da Gesù¸ perché dopo c’è quello sulla fine del mondo e poi c’è la passione e la morte. Veramente¸ scusate¸ dopo questo inserisce ancora delle parabole¸ ma l’ultimo discorso pubblico¸ fatto rivolgendosi alle folle¸ è questo. Ed è una specie di condanna senza appello della sbagliata religiosità di scribi e farisei che indubbiamente serve poi alla chiesa apostolica per giustificare il distacco dall’ebraismo dalla comunità di Gesù Cristo. E come sempre in Matteo¸ nello sfondo¸ c’è questo problema¸ per noi non più attuale per loro invece drammatico¸ che era appunto quello di giustificare questa separazione che si crea fra i discepoli di Gesù¸ l’ebreo e il vecchio ebraismo. Quindi tutti questi testi sono¸ non dico inquinati¸ ma sono condizionati da questa loro problematica che¸ come ho già detto altre domeniche¸ talvolta viene trattata con una severità nei confronti degli ebrei a nostro parere eccessiva e direi che questo vale anche per il brano che abbiamo appena letto. Dove un qualunque commentatore riscontrerebbe un difetto di tipo linguistico¸ per carità io non voglio dare la colpa a Gesù e neanche a Matteo¸ prendiamo però atto che l’evangelista non è in grado di padroneggiare non la lingua intesa come lingua greca¸ ma non è in grado di padroneggiare il linguaggio in maniera di utilizzarlo in modo equilibrato. Cioè la generalizzazione per cui dicono e non fanno. Tutti gli scribi e i farisei dicono e non fanno? Tutte le loro opere? Quando si generalizza si usa sempre il linguaggio in una maniera scorretta. Perché non dico la carità cristiana¸ ma l’intelligenza distingue. Quando si nominano categorie e si butta addosso all’intera categoria una serie di accuse e difetti¸ spesso si agisce in modo superficiale e non onesto dal punto di vista dell’uso del linguaggio. “Ma¸ sa¸ a molti scrittori non pratici non viene in mente di usare i partitivi¸ vale a dire perché molti di loro dicono e non fanno. Si poteva anche dire alcuni perché spesso o talvolta dicono e non fanno. Sono questi piccoli artifici che possono anche essere ipocriti¸ per caritภma che rispettano quella buona educazione con cui si devono comporre i testi. Questo è un testo maleducato. Ma la colpa è¸ secondo me¸ dell’imperizia dell’evangelista. Ma non è di questo che voglio parlare¸ anche perché le osservazioni che faccio varrebbero soprattutto per le parti che noi non leggiamo¸ dove appunto l’intera categoria di scribi e farisei¸ tra l’altro accostati insieme come se fossero due categorie che vanno sempre d’accordo¸ il che storicamente non è vero. Quindi Matteo non conosce più com’era la situazione del tempo di Gesù e¸ ripeto¸ è tutta una serie di accuse generalizzate che devono essere da noi filtrate e leggermente annacquate con questa sapienza nell’uso del linguaggio che modera la sentenza ed evita le generalizzazioni. Ma quello che¸ invece¸ su cui voglio riflettere è un’altra cosa che può sembrare se non scandalosa¸ sorprendente. Voi sapete dirmi perché tutte le chiese – tranne le chiese riformate – ma tutte le chiese¸ pur essendoci scritto Non fatevi chiamare rabbí¸ non chiamate nessuno padre¸ non fatevi chiamare – andrebbe tradotto “guide” l’ultimo – maestri. Perché¸ invece tutte le chiese hanno continuato a farsi chiamare? Noi abbiamo il reverendo¸ il monsignore¸ l’eccellenza¸ l’eminenza poi abbiamo sua santità. Gli orientali preferiscono vostra beatitudine e gli anglicani vostra grazia. Ma nessuno dice “Signor Brambilla”. Tutti usano un titolo onorifico. Non fatevi chiamare Padre. A Roma i preti si chiamano tutti padre e dicono che è molto più fine che non dire don. Adesso si dice il don. E’ perché la chiesa non hanno soppresso questi titoli se il vangelo lo diceva con tanta chiarezza? Hanno sbagliato tutte queste chiese? Anche il Dalai Lama permette che lo si chiami santità vostra. Per dire che non è solo nel cristianesimo che esiste quest’abbondanza di titolature di eccellenza. E’ strano tutto questo¸ se ci pensate. Ha sbagliato la Chiesa? Dobbiamo fare una piccola petizione perché si aboliscano questi titoli? Oppure c’è sotto qualcosa che non funziona se l’interpretazione del Vangelo viene fatta in maniera cosí letterale. E io per prima cosa direi¸ anche qui forse mi sbaglio perché in fondo faccio una critica al testo evangelico¸ direi che le cose in realtà sono un pochino più complicate di come le presenti il Vangelo. Non è un male che si usino titoli onorifici¸ non è un male che si manifesti il riguardo che si ritiene dovuto a certe persone e a certe cariche¸ è una raffinatezza culturale. La società ha bisogno anche di questo. Che il prestigio venga riconosciuto¸ che qualche volta si faccia anche credito dando un onore maggiore di quello che forse sarebbe meritato¸ è segno di quella capacità di creare all’interno della società la sottolineatura dell’importanza dei diversi ruoli ed è uno degli elementi che costituisce la civilizzazione dei popoli. Sono cose¸ se volete¸ molto marginali rispetto ad altri valori più importanti come la giustizia¸ il rispetto¸ l’uguaglianza¸ ma non esiste societภnon esiste nessun ambiente dove non ci siano distinzioni manifestate con segni di onore. Chi vince le gare olimpiche¸ ma anche chi vince il giro d’Italia¸ ha la classifica: 1°¸ 2°¸ e 3°¸ e c’è lo champagne¸ e c’è la maglia¸ e c’è il bacio della fanciulla¸ e c’è il mazzo di fiori. E questo non ci deve essere per il preside¸ per l’insegnante¸ per una carica pubblica¸ per il predicatore¸ perché non l’apostolo? Paolo¸ quando ai tessalonicesi si vanta di essersi comportato come una madre e dice: “Ricordate¸ fratelli¸ la nostra fatica e il nostro travaglio!” non sta compiendo un atto di superbia¸ sta presentandosi ai tessalonicesi con sincerità d’animo e con confidenza. Voglio dire che le stesse strutture di tipo fraterno e familiare comprendono anche il complimento¸ l’applauso¸ il regalo¸ la riconoscenza manifestata¸ il bel vestito regalato¸ “Mettiti a capo tavola”. Non c’è niente di male se si accetta tutto questo. Il testo di Matteo¸ nel suo apparente rigore¸ è semplicemente un testo che non ha avuto la possibilità di analizzare e di conoscere il valore positivo e culturale di tutte queste cose. Per questo le Chiese non sbagliano e mantenere i titoli. Potrebbero regolarli meglio¸ potrebbero qualche volta abbassarne qualcuno¸ riformarli e restaurarli¸ ma non si può dire che è più cristiana una società dove non esiste più la cortesia¸ il complimento e anche quel tantino di recitazione. in greco non è l’ipocrita¸ è l’attore¸ quel tantino¸ insomma¸ di comportamento studiato¸ un pochino calcando la mano¸ che però dà soddisfazione¸ compensa delle fatiche sopportate¸ rallegra una persona¸ rende bella ed elegante la vita comunitaria. Perché non basta l’amore¸ ci vuole un tantino di eleganza. E’ civiltà questa. Il vangelo non può essere contro la civiltà. Bisogna quindi accontentarsi di capire che questo è un testo¸ direi¸ provocatorio¸ un pochino brutale¸ primitivo. Certo¸ per far capire delle cose importanti ma non difficili da comprendere. E cioè che tutto questo contorno che è semplicemente umano¸ capisco¸ che fa parte della convivenza raffinata¸ non è un male per la Chiesa a condizione che il valore primario non venga dimenticato. I valori primari¸ come è apparso con chiarezza in tutte queste domeniche - vi ricordate due domeniche fa il più grande comandamento? - sono sostanzialmente due: che il vero onore va reso soltanto a Dio e che tutti gli onori e i privilegi che si danno agli uomini sono regalati e immeritati¸ ma che l’uomo ha il dovere di chinare la testa soltanto di fronte a Dio. Questo è il primo valore. Certo¸ lo capisco¸ l’onorificenza rischia di metterlo in ombra e¸ quindi¸ va tenuta sotto controllo¸ ma quello che va ricercato non è l’abolizione materiale dell’onorificenza¸ ma è¸ invece¸ la difesa del primato di Dio¸ il quale¸ solo¸ merita i grandi titoli¸ ma soprattutto la grande¸ interiore adorazione. E il secondo elemento che va tenuto presente¸ come diceva il vangelo¸ è l’ amore per il prossimo. Certo¸ se tutta questa specie di onorificenza serve per distaccare una classe dal resto degli altri¸ se serve per creare privilegi ingiusti¸ se serve per evitare di avere compassione e interesse per il più povero e il più disgraziato¸ allora tutto questo diventa grave colpa. Ora¸ tutto questo se invece non ostacola o¸ addirittura¸ qualche volta favorisce la caritภil servizio¸ io sono del parere che una persona è disposta ad umiliarsi e a servire¸ ma è contenta se¸ alla fine¸ la ringraziano e le fanno un regalo. Se alla fine gli dicono: “Come è stato bravo lei¸ merita di essere chiamato una guida!” non ostacola¸ capite¸ il titolo¸ la riverenza non è un ostacolo che impedisca l’amore. La carità ed il servizio sono due cose in fondo tra loro indipendenti e che possono a vicenda completarsi.