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Omelia XXVII DOM. T.O. A del 2 ottobre 2005

2 Ottobre 2005 - XXVII DOM. T.O. A - Is 5¸1-7; Fil 4¸6-9; Mt 21¸33-43 Omelia 2 ottobre Quella di oggi è una tra le parabole più studiate e la sua interpretazione¸ come del resto per tutti i testi perché interpretare un testo¸ soprattutto un testo religioso nel quale si desidera credere¸ è un’operazione¸ anche se uno non se ne accorge¸ molto complessa¸ anche difficile da analizzare. Voi sapete che una buona parte della filosofia contemporanea è dedicata proprio ad analizzare questo problema dell’interpretazione. L’ermeneutica è uno dei settori più presenti nella ricerca filosofica attuale. La parabola è rivolta¸ secondo Matteo¸ ai capi del popolo ebraico. Parla di un padrone di una vigna. La maggioranza dei commentatori antichi¸ ma anche moltissimi moderni¸ ritengono che¸ a differenza di altre parabole le quali raccontano dei fatti molto realistici¸ ritengono che¸ invece¸ questa parabola¸ fin dall’inizio¸ voglia indurre l’ascoltatore a pensare che la vigna rappresenta il popolo di Israele e che il padrone rappresenta Dio. Quindi avrebbe fin dall’inizio una dimensione di tipo metaforico – allegorico. Questo sarebbe confermato dal fatto che nella cultura ebraica – avete sentito la prima lettura e avete detto voi nel salmo responsoriale La vigna del Signore è il suo popolo. Quindi se l’hanno fatto dire e già questo direi è un pregiudizio che è stato dato alla vostra interpretazione¸ però già il fatto che Isaia paragonasse nell’ottavo secolo a.C. il popolo ad una vigna¸ ¸ giustifica il fatto che chi sente un maestro religioso come Gesù che parla di una vigna si alzino subito le sue antenne dica: “Questo finge di parlare di una vigna¸ in realtà parla del popolo di Dio”. Quindi ecco perchè in questo caso¸ anche se solitamente non è bene fare questo¸ si dice: “Il padrone rappresenta Dio¸ la vigna rappresenta il popolo”. La vigna di Isaia non ha portato frutti¸ ha portato uva selvatica¸ invece nel discorso del Signore non è tanto la vigna che non porta frutti¸ ma sono i vignaioli i quali non consegnano a Dio i frutti. E’ importante questo particolare o è sciocco e secondario? Siccome Matteo dice che è rivolta ai principi dei sacerdoti ed agli anziani del popolo¸ non direttamente al popolo¸ si ha l’impressione che sia importante. In altre parole¸ la gente¸ il popolo sarebbe capace di essere fedele a Dio. Sono i principi dei sacerdoti e gli anziani che rovinano tutto perché distolgono da Dio le persone¸ è per colpa loro se Dio non trova nel popolo la maturazione che avrebbe voluto¸ cioè i frutti che desiderava. Quindi è una parabola diretta non tanto contro gli ebrei in genere¸ tanto meno contro¸ direi¸ la sensibilità religiosa diffusa fra gli ebrei¸ ma contro il modo di dirigere il popolo dei capi. Questo lo dico perché bisogna stare attenti a non cadere nell’errore in cui sono caduti tanti commentatori antichi¸ cioè di dire che in questa parabola Gesù ha denunciato le colpe degli ebrei per cui l’ebraismo nel suo complesso non appartiene più a Dio. Vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato ad un popolo. Ora¸ a chi è rivolto questo pronome: VI sarà tolto? Ripeto¸ molta esegesi classica¸ antica¸ patristica diceva: “E’ tolto agli ebrei ed è dato ai cristiani che in gran parte provengono dal paganesimo” e si coinvolgeva in questa specie di rifiuto da parte di Dio l’ebraismo nel suo insieme dimenticando che invece la parabola parla soltanto dei capi e¸ in particolare¸ dei capi contemporanei al mondo di Gesù: il sacerdozio del suo tempo¸ il consiglio degli anziani¸ che poi era il sinedrio del suo tempo. Forse si riferiva anche a personaggi del passato¸ lo capisco¸ perché dice che fin dall’inizio Dio aveva mandato dei servitori quelli li lapidarono e li uccisero. E’ una critica che eventualmente Gesù fa in maniera molto velata al governo che ci fu nel popolo di Israele per secoli. Giustamente se la prende con i vecchi re¸ se la prende con i vecchi capi facendo capire che il popolo è fuori dalle prospettive della parabola. Se la vigna è il popolo¸ come avete detto voi¸ il popolo non c’entra sono i vignaioli cioè i responsabili¸ non si precisa chi sono¸ se non per i contemporanei di Gesù. Quindi è una critica alla conduzione da parte del governo religioso del popolo ebraico. Questo per dire che è stato un errore quello di dire “Il regno viene tolto agli ebrei”. Tradotto in parole più chiare Dio non è più il re degli ebrei. No¸ Dio non vuole più questi dirigenti¸ ma il popolo ebraico non è abbandonato. Purtroppo la Chiesa antica che non è stata capace di vivere con l’ebraismo un rapporto corretto¸ proprio perché l’interpretazione dei testi¸ come vi dicevo¸ è quanto mai difficile¸ ha diffuso questa idea che poi è rimasta praticamente fino ai nostri giorni: siccome hanno rifiutato il Figlio¸ Dio ha rigettato gli ebrei. No¸ solo i capi. Non bisogna dimenticare anche un’altra considerazione che andava fatta e che rarissimamente è stata fatta: sono eventualmente i capi di quegli anni¸ fino a quegli anni¸ l’ebraismo posteriore non può essere coinvolto in questa condanna¸ non lo può in nessun modo¸ sia cambiato o non lo sia¸ ed è di fatto cambiato rispetto all’ebraismo del tempo di Gesù perché gli ebrei del medioevo e gli ebrei di oggi non sono uguali agli ebrei di allora¸ come noi non siamo uguali ai cristiani di allora. Ed estendere nel tempo¸ capite¸ mettendo un’etichetta sul popolo è stato un errore ermeneutico¸ interpretativo di una gravità di cui ci si accorti soltanto recentemente. Questo per chiarire che voi¸ se leggete vecchie bibbie o vecchi commenti troverete nelle note¸ con molta ingenuità Gesù¸ in questa parabola condanna l’incredulità degli ebrei che hanno ucciso i profeti - storicamente¸ poi¸ non è neanche vero che uccidevano i profeti¸ era un’idea corrente al tempo di Gesù – e hanno rifiutato il Figlio. E’ vero¸ sí¸ è il rifiuto del Figlio ma il rifiuto del Figlio è fatto dai capi che non capiscono. Quindi non è il popolo ebraico che è coinvolto e Gesù è un particolare¸ se volete¸ secondario. Però¸ mi pare che sia necessario precisarlo¸ anche perché non appaia l’attuale amicizia con l’ebraismo¸ non appaia semplicemente un’amicizia politica per accontentare quel desiderio di universale fraternità che oggi si è diffuso fra gli uomini per cui la Chiesa¸ anche lei¸ fa finta di superare la sua ostilità verso gli ebrei. Non è cosí¸ è veramente una più matura comprensione della realtà affettiva di questa testo. Una seconda considerazione che oggi si fa è questa: Vi sarà tolto il regno di Dio è sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare. Questo popolo è veramente la Chiesa¸ lo capisco¸ la quale Chiesa¸ però¸ sulla base di altri testi¸ che sarebbe interessante esaminare e su cui sarebbe interessante riflettere¸ questa Chiesa¸ fin dagli inizi in fondo¸ ha avuto l’impressione di essere garantita che non avrebbe mai tradito¸ come invece avevano tradito i capi ebrei. E¸ in particolare¸ nel mondo cattolico¸ non in altre Chiese¸ si è diffusa l’idea che la gerarchia è talmente protetta da questa consegna che Dio ha fatto ad essa della Chiesa che¸ qualche volta¸ è perfino infallibile¸ anche se questo lo sappiamo e¸ ve l’ho già detto tante volte¸ è rarissimo che accada¸ secondo il dogma. Ma anche quando non è infallibile¸ imbrocca quasi sempre le strade giuste¸ cioè si usa un’altra parola per dire è indefettibile¸ cioè può sbagliare¸ può fare delle gaffes¸ ma alla fine ritrova la strada. E non perde la rotta¸ la gerarchia. Questa è un’idea cattolica caratteristica¸ ha il suo fondamento¸ però oggi molti commentatori riflettono e dicono: “Perché Matteo avrà messo nel suo vangelo questa parabola?” L’hanno messa anche Marco e Luca¸ ma perché l’ha ricordata? Non può darsi che volessero dire alla Chiesa del loro tempo¸ degli anni 70 – 80 – 90 d.C. “State attenti perché lo stesso errore che han fatto i capi ebrei potreste farlo voi”. La consegna che Dio fa a dei vignaioli¸ vale a dire a dei responsabili della garanzia della fedeltà del suo popolo¸ non è una firma in bianco¸ in un domani potrebbe toglierlo a voi e darlo ad altri”. Cioè¸ voglio dire¸ la cosa potrebbe valere anche per la Chiesa. Certo¸ qui nasce un problema teologico complesso¸ che non abbiamo tempo di trattare qui: come si può conciliare questo tipo di lettura della parabola con il dogma di fede che la Chiesa è indefettibile. Questo lo credo¸ è vero¸ ma bisogna capite in che modo. La Chiesa è indefettibile se è capace di pentirsi¸ se è capace di aggiornarsi e aggiornarsi non per seguire le vie mondane¸ ma quelle cristiane¸ se è capace di adattare e modificare le sue strutture¸ se è capace di tradurre la fedeltà ai comandamenti di Dio in maniera adeguata ai tempi. Che non significa concedere tante cose¸ potrebbe anche voler dire¸ come forse è giusto oggi¸ continuare a proibire molte cose. Ma il problema è che la Chiesa deve continuamente riflettere su se stessa e chiedersi ogni giorno: “Sto portando frutti? Aiuto il popolo di Dio a portare frutti?” Direi che quello che la parabola condanna¸ e che era poi la causa per cui i capi ebrei hanno meritato queste critiche¸ era il tradizionalismo acritico¸ il seguire abitudini senza mai verificare se vanno ancora bene. La pigra sicurezza di chi dice: “Ma s’è sempre fatto cosí!” Il tradizionalismo dell’ebraismo del suo tempo era una delle cose che hanno spento la capacità di conoscere Cristo nel popolo ebraico¸ l’attaccamento senza riflettere e senza valutare a certi standard di comprensione che si erano incancreniti nel popolo. Ma questo può succedere sempre a tutti. Scartare la pietra importante perché non ci si accorge che è quella che serve di più può succedere ancora. Ripeto¸ la Chiesa ha una promessa di assistenza¸ se volete¸ superiore a quella che poteva avere l’antico ebraismo¸ ma non deve essere cosí ingenua da credere che questa assistenza è talmente automatica da non costringerla a delle faticose e continue verifiche del suo modo di fare. Per caritภla Chiesa contemporanea di questo è consapevole. Il Concilio Vaticano II è stato convocato per questo¸ tutti i dibattiti che oggi ci sono all’interno della Chiesa nascono da questo¸ l’ecumenismo è un frutto di questo. Perché¸ quando noi ci domandiamo se per caso quello che diceva Martin Lutero non aveva qualcosa di vero e noi stiamo facendo questo esame di coscienza: è stato un capo che ha portato più frutti lui o stiamo portando più frutti noi? Come si fa a portare frutto? Bisogna ragionarci insieme. Ecco¸ mi pare che quindi la parabola¸ al di là della sua riduzione al caso ebrei – Chiesa¸ possa avere un significato più ampio che alla fine può valere anche per ogni singolo individuo. Molti di noi vanno avanti e dicono: “Io sono cristiano”¸ vanno avanti trascinandosi nelle abitudini prese dall’infanzia¸ senza mai verificare se nell’età che hanno raggiunto e nell’ambiente in cui ora vivono¸ riescono ancora a portare frutto quella forma di cristianesimo a cui si sono abituati da bambini. Perché anche per noi può valere che¸ ad un certo punto Dio dice: “No¸ guardi¸ lei è cosí invecchiato e arteriosclerotico che non intendo essere il suo re e neanche suo padre”. E bisogna stare attenti che questo non venga detto a ciascuno di noi.