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Omelia XXV DOM. T.O. A del 18 settembre 2005

Sia le sintesi che le versioni integrali sono dovute alla gentilezza e disponibilita´ di due sole persone; se qualcuno vuole aggiungersi al gruppo dei "trascrittori" puo´ segnalarlo con una mail agli indirizzi della sezione contatti del presente sito. Grazie. ***************************************************VERSIONE INTEGRALE*************************************** Omelia 18 settembre Questa parabola¸ come qualche altra¸ per esempio quella famosa del fattore che falsifica le ricevute¸ è sempre stata di difficile interpretazione. Tant’è vero che gli stessi evangelisti¸ alla fine della parabola¸ cercano di suggerire diverse motivazioni per far capire ai lettori il comportamento del padrone. “Io non posso fare delle mie cose quello che voglio? Sei invidioso perché sono buono? Non avevi contrattato per un denaro?” sono motivazioni differenti. Si assomigliano¸ ma sono differenti una dall’altra. Poi¸ alla fine¸ c’è la frase che spesso loro ripetono e che non sempre è adeguata al tenore del testo: Gli ultimi saranno i primi e i primi gli ultimi. Questo per dire che è una parabola che fin dall’inizio ha suscitato dei problemi¸ cioè cosa intende dire Gesù quando fa questo tipo di esempi e¸ soprattutto¸ quando li racconta in questa maniera cosí dettagliata¸ dando l’impressione che questo padrone abbia effettivamente commesso non dico un’ingiustizia ma certamente una scorrettezza. Uno può dare lo stesso salario uguale tutto il giorno¸ ma perché ostentarlo facendo in modo che i primi se ne accorgano. Questo è necessario per la storia delle parabola. Quindi è un padrone che fa apposta a far vedere che lui intende essere arbitro della situazioni senza rendere conto a nessuno perchè¸ appunto¸ lui delle sue cose può fare quello che vuole. Certo¸ il mondo antico capiva di più questi comportamenti perché era abituato al comportamento dei tiranni¸ dei grandi signori¸ i quali¸ effettivamente¸ delle loro ricchezze facevano quello che volevano. Ma l’uomo contemporaneo che ha un certo maggior senso della giustizia e che ha capito il valore sociale della ricchezza – su questo punto spero di poter tornare anche alla fine - rimane ancora più perplesso di fronte a questo tipo di uomo che viene presentato come uno capace di far pensare a Dio. Non dico che sia immagine di Dio¸ ma la parabola serve a dire: il regno dei cieli¸ cioè il modo di comportarsi di Dio¸ ha qualcosa a che fare con questa storia. Ed è la storia¸ ripeto¸ di un uomo il quale¸ generoso se si vuole¸ però in un certo modo provoca una reazione¸ offende quelli della prima ora¸ o meglio¸ suscita una speranza che poi non viene esaudita e platealmente compie questa specie di scortesia dando agli ultimi quanto ai primi. E’ una cosa strana. Adesso non voglio dilungarmi troppo nel presentare le difficoltà perché dovrei¸ invece¸ arrivare a dei tentativi di soluzione. Tradizionalmente le interpretazioni che sono state date dopo la stesura dei vangeli¸ sono tutte molto teologiche. Per esempio¸ ad un calvinista o ad un luterano tradizionale piacerebbe molto quello che la prima lettura suggerisce. C’è poco da fare. I pensieri di Dio non sono i nostri pensieri¸ distano da noi come il cielo dalla terra e non si può capire quello che Dio fa¸ bisogna chinare la testa e accettare. Anche perché¸ effettivamente¸ quello che Dio fa è un atto di generositภdirei¸ non di equa distribuzione¸ non di riconoscimento dei singoli meriti e questo può sembrare offensivo agli operai della prima ora¸ però ci si deve rendere conto che lui è animato da questa bontà. Noi umanamente¸ diremmo: “Un maggiore equilibrio ci sarebbe piaciuto di più”. Dice: “Questo è il buon senso umano”. Ma il buon senso umano non serve per capire l’agire di Dio¸ di fronte a Dio bisogna inchinarsi. Già dai tempi di Occam circola questa idea¸ dai tempi del Nominalismo¸ lo sanno quelli che hanno fatto un po’ di filosofia. Le cose che fa Dio sono buone perché le fa Dio¸ non perché la mia ragione capisce che sono buone. E il protestantesimo¸ direi tradizionalmente¸ si orienta tutto su questa linea che è molto bella perché è la linea dell’ubbidienza della fede. Ragione e fede possono andare d’accordo ma non coincidono mai perché la fede va al di lภmolto¸ troppo al di là delle possibili considerazioni razionali. E questo¸ direi¸ è alla base di tutte le successive esplicitazioni del significato della parabola¸ che partono¸ però¸ tutte da questo concetto: se Dio fa cosí vuol dire che è giusto cosí e se noi uomini questo non lo comprendiamo¸ facciamo una specie di sacrificio della nostra ragione e¸ comprendendo che Dio è più grande di noi¸ chiniamo la testa e accettiamo. Allora¸ si è detto: gli ebrei non sono stati capaci di fare questo atto di umiltà e¸ quando i pagani sono entrati nella loro eredità e si sono appropriati di tutti i loro beni spirituali a cominciare dalla bibbia e sono diventati i primi¸ loro come gli operai della prima ora han detto: “Ma questi qua che sono arrivati alla fine¸ che non hanno alle spalle la fatica di una secolare osservanza della legge¸ perché li hai trattati come noi se non addirittura meglio di noi?” E¸ allora¸ vedete¸ occorre che si dispongano a comprendere che la generosità di Dio nei confronti dei pagani ha fatto diventare primi quelli che erano ultimi e li ha parificati. E’ una interpretazione frequente questa. Poi¸ la si è estesa alla vita delle persone¸ alla vita degli individui e si è detto¸ tant’è vero che è diventata un’espressione della nostra lingua: operaio dell’ultima ora. La bellezza di questa parabola è che ci fa capire che Dio accetta la conversione anche all’ultimo momento. Il delinquente che si pente subito prima della morte riceve lo stesso diritto alla vita eterna di colui che per tutta la vita è stato fedele. La teologia¸ cattolica soprattutto¸ per rimediare a questa specie di incoerenza ci ha infilato dentro il purgatorio. “Però¸ certo avrà bisogno di una purificazione!”¸ ma il purgatorio non cambia la sostanza delle cose. E’ un’esigenza¸ se volete¸ di giustizia ma non cambia il fatto che la bontà di Dio arriva al punto di accettare il pentimento del buon ladrone. E tra l’altro¸ nel testo di Luca per il buon ladrone non c’è nessun purgatorio perché si dice: “Oggi sarai con me nel paradiso”. Ecco¸ allora¸ che la parabola diventa una parabola volutamente paradossale per far capire che bisogna aprire il cuore e la mente ed accettare una generosità di Dio che va oltre il senso umano della giustizia¸ sia distributiva che commutativa. Ovviamente¸ se si accetta questo tipo di interpretazioni dal padrone della parabola non c’è niente da imparare per quello che riguarda i rapporti sociali tra i padroni e i dipendenti. Cioè¸ non dà una lezione morale la parabola¸ dà un punto¸ un’illuminazione sul paradossale agire di Dio¸ che soltanto a Dio è possibile e noi non possiamo imitare. Anzi¸ noi nella nostra vita¸ certo che ci è lecito qualche atto di generositภma nella nostra vita dobbiamo soprattutto stare attenti che ognuno abbia il suo in proporzione dei meriti che ha acquisito¸ della fatica che ha fatto… Al pensionato senza contributi si dà la minima. La parabola non servirebbe per questo insegnamento morale. Io¸ sinceramente¸ mi domando¸ e l’ho messo anche sulle due righe che faccio per “La Provincia”¸ mi domando se invece questa volta non sarebbe il caso di riflettere su questo aspetto molto pratico – economico che riguarda i soldi¸ perché il testo della parabola insiste molto su questa questione. Sul contratto¸ per esempio¸ “Avete convenuto per un denaro¸ che vedano che io do il denaro!. Certo il denaro può essere simbolo del paradiso¸ ma se il denaro fosse veramente un denaro… Allora la parabola potrebbe voler dire che là dove Dio è riconosciuto come Dio¸ cioè là dove ci sono dei credenti in Dio¸ quello che è indispensabile per la sopravvivenza¸ perché questo è il denaro nella cultura biblica. La paga di un giorno¸ appena sufficiente per dar da mangiare¸ poco¸ alla famiglia. Alla sopravvivenza han diritto tutti¸ anche quelli che non hanno lavorato¸ anche i fannulloni¸ per il solo fatto che sono uomini. E¸ capite che io ritengo che si possa anche leggere questa parabola in questo senso. E allora potrebbe diventare¸ potrebbe servire da fondamento alla dottrina sociale della Chiesa la quale la quale molto prima che queste cose le capissero altri¸ già a partire dalla famosa Rerum Novarum di Leone XIII¸ ha parlato¸ per esempio¸ di un diritto al salario familiare che non corrisponde affatto al valore della produzione che l’operaio ha compiuto. Certo¸ quando si va oltre il minimo indispensabile¸ si possono calcolare le proporzioni: hai lavorato tanto¸ ti do di più. Ma c’è un minimo che va garantito a tutti. E questa è un’idea che¸ vedete¸ fa parte della morale sociale del cristianesimo da più di un secolo¸ ma che stenta ad entrare nella consapevolezza e nella coscienza di molti cristiani. Il fatto che ci siano una quantità di persone che non riescono a trovare lavoro e muoiono di fame¸ capisco in continenti poco sviluppati¸ poi¸ per cortesia¸ si cambiano le parole¸ si dice in via di sviluppo¸ ma in realtà nel profondo della mente¸ anche noi cristiani siamo tentati di pensare: “S’arrangino! Perché non si svegliano¸ perché non fanno come i cinesi?” Perché abbiamo l’impressione che sia immorale regalare anche il minimo vitale a chi non ha dimostrato una capacitภo almeno una volontภdi produrre ricchezza. Ripeto¸ questo è il regno degli uomini e questa è l’economia umana. Il regno di Dio¸ cioè laddove si riconosce che tutti siamo figli di un unico padre¸ laddove si riconosce che la ricchezza¸ chiunque la detenga¸ ha sempre una destinazione universale¸ è di tutti¸ perché la terra è di Dio e quello che noi abbiamo prodotto servendoci della terra è nostro ma rimane sotto la sorveglianza di Dio. Allora¸ laddove Dio regna o lo si riconosce come Signore e re¸ bisogna avere il coraggio di il minimo¸ ripeto¸ darlo a tutti¸ anche a chi umanamente non se lo merita. E¸ possibilmente¸ come dice la parabola o come diceva già il Manzoni col suo “Tacer pudico”¸ senza umiliare chi lo riceve. Perchè¸ ogni uomo¸ per il solo fatto di essere uomo¸ ha diritto non solo al minimo per la sopravvivenza ma al rispetto della sua dignità.